TESTI MAGISTERO EPISCOPALE

DICASTERI CURIA ROMANA

 

 

 

 

PONTIFICIO CONSIGLIO DELLA PASTORALE PER I MIGRANTI E GLI ITINERANTI

 

 

«Orientamenti per la Pastorale della strada» 19 giugno 2007

 

INDICE

Presentazione

PRIMA PARTE: PASTORALE PER GLI UTENTI DELLA STRADA

I. Il fenomeno della mobilità umana

Movimento stradale e progresso umano

II. La Parola di Dio illumina la strada

Spunti dall’Antico Testamento

Spunti dal Nuovo Testamento

Cristo è la Via, Egli è la Strada

III. Aspetti antropologici

La particolare psicologia dell’autista

Evasione dalla quotidianità e piacere di guidare

Istinto di dominio

Vanità ed esaltazione personale

Squilibrio comportamentale e relative conseguenze

Diverse manifestazioni

Un fenomeno non patologico

IV. Aspetti morali della guida

Guidare vuol dire «convivere»

Guidare significa controllarsi

Aspetti etici

Guida di un veicolo e suoi rischi

Obbligatorietà delle norme stradali

Responsabilità morale degli utenti della strada

V. Virtù cristiane del conducente e suo «decalogo»

Carità e servizio al prossimo

La virtù della Prudenza

La virtù della Giustizia

La virtù della Speranza

«Decalogo» del conducente

VI. Missione della Chiesa

Profezia, in una situazione grave e allarmante

Educazione stradale

Soggetti a cui rivolgersi

Appello del Concilio Ecumenico Vaticano II

VII. Pastorale della Strada

Evangelizzazione nell’ambiente della strada

SECONDA PARTE: PASTORALE PER LA LIBERAZIONE DELLE DONNE DI STRADA

I. Alcuni punti fermi

La prostituzione è una forma di schiavitù

Migrazioni, traffico di esseri umani e diritti

Chi è la vittima della prostituzione?

Chi è il «cliente»?

II. Compito della Chiesa

Promuovere la dignità della persona

Nella solidarietà e nell’annuncio della Buona Novella

Approccio pluridimensionale

III. Recupero di donne e «clienti»

Educazione e ricerca

La Dottrina sociale cattolica

IV. Liberazione e redenzione

Prestazione di soccorso ed evangelizzazione

TERZA PARTE: PASTORALE PER I RAGAZZI DI STRADA

I. Il fenomeno, le cause e possibili interventi

Il fenomeno

Le cause del fenomeno

Gli interventi e i loro obiettivi

II. Questioni di metodo

La pluridimensionalità

III. Compito di evangelizzazione e promozione umana

Una pastorale specifica

Una pastorale dell’incontro, una nuova evangelizzazione

IV. Alcune proposte concrete

V. Icone dell’educatore

Gesù Buon Pastore e i discepoli di Emmaus

Un unico traguardo finale

VI. Gli operatori pastorali

Preparazione

Insieme per un impegno comune

«In rete» e con un minimo di struttura pastorale

QUARTA PARTE: PASTORALE PER LE PERSONE SENZA FISSA DIMORA

I. destinatari

Cause della situazione

Precarietà della situazione

La dignità delle persone

II. Metodi di approccio e mezzi di assistenza

La sollecitudine cristiana

 

 

PRESENTAZIONE

 

Questi Orientamenti per la pastorale della strada, della quale si occupa uno specifico settore del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti, sono il frutto di una grande opera di ascolto, di ponderazione e di discernimento.

Il documento si struttura in quattro parti ben distinte, in considerazione della specificità e dell’ampiezza delle problematiche legate al luogo della strada come ambito pastorale: la prima parte è dedicata agli utenti della strada (automobilisti, camionisti, ecc) e della ferrovia –la strada ferrata– e a quanti lavorano nei vari servizi ad esse collegati; la seconda e la terza, rispettivamente, alle donne e ai ragazzi di strada, la quarta, infine, alle persone senza fissa dimora.

Il presente Documento è dedicato ai soggetti sopra indicati, anche se non bisogna dimenticare gli abitanti del marciapiede (pavement dwellers) e i venditori di strada (street vendors), né il legame con la strada dei turisti e dei pellegrini, dei nomadi, dei circensi, degli attori di strada.

Di alcune di queste categorie di persone il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti si è già occupato in tre documenti pubblicati in questo ultimo decennio: Orientamenti per una Pastorale degli Zingari [1], Orientamenti per la Pastorale del Turismo [2], Il Pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000. [3]

Gli Orientamenti contenuti nel presente documento sono destinati a vescovi, sacerdoti, religiosi/e e agli operatori pastorali, per un ulteriore passo verso una pastorale sempre più attenta a tutte le espressioni della mobilità umana e integrata nella pastorale ordinaria, territoriale e parrocchiale.

Renato Raffaele Cardinale Martino, Presidente.

Agostino Marchetto, Arcivescovo titolare di Astigi, Segretario

 

PRIMA PARTE:

PASTORALE PER GLI UTENTI DELLA STRADA

 

I. Il fenomeno della mobilità umana

1. È caratteristica dell’essere umano, fin da quando se ne conosce la storia, lo spostamento da un luogo ad un altro, il trasportare cose usando diversi mezzi. La mobilità e il peregrinare sono cioè espressioni della natura dell’uomo e del suo evolversi sul piano culturale.

2. Il traffico delle merci e il movimento delle persone aumentano oggi in modo vorticoso, avvengono talvolta in condizioni difficili e anche a rischio della vita. L’auto condiziona l’esistenza, poiché si è fatto della mobilità un idolo, che l’automobile simboleggia. La strada e la ferrovia devono essere al servizio della persona umana, come strumenti per facilitarle la vita e lo sviluppo integrale della società. Esse devono costituire un ponte di comunicazione fra le genti, creando nuovi spazi economici e di umanità. È vero infatti che «attraverso le strade circola gran parte della vita di un Paese». [4]

3. Fenomeno odierno, gravido di conseguenze, all’interno di questa mobilità e del progresso che ne deriva, è «il traffico» in genere, in particolare quello stradale. Esso è andato gradualmente aumentando, come esigenza di una società in continuo sviluppo, anche a causa di mezzi di locomozione sempre più rapidi, e di accresciute dimensioni, impiegati per lo spostamento di persone e cose.

Movimento stradale e progresso umano

4. La strada non è più soltanto una via di comunicazione; essa diviene un luogo di vita, nel quale si passa gran parte del proprio tempo, anche nei Paesi in via di sviluppo. basti pensare a molte strade dissestate e percorse da mezzi di trasporto insicuri e strapieni, con grave pericolo per tutti, specialmente durante la notte.

5. I pericoli che corrono direttamente le persone provengono oltre che dalla congestione del traffico anche da altri problemi ad esso collegati: rumorosità, inquinamento atmosferico, uso intensivo di materie prime… Tali questioni devono essere affrontate e non subite passivamente, anche per limitare i costi di una modernizzazione che diventa insostenibile. In questo contesto non è inutile richiamare all’impegno di evitare di usare l’automobile senza necessità.

6. Certamente numerosi sono i vantaggi che ci offrono i veicoli in circolazione. Essi rappresentano un mezzo di spostamento rapido per le persone (per l’ accesso a luoghi di lavoro e di studio, uscite di fine settimana con la famiglia, trasferimenti per le vacanze, incontri di amicizia e parentela). lo stesso dicasi per le merci. Con l’uso di un veicolo viene favorita la vita sociale e lo sviluppo economico e molte persone hanno l’opportunità di un onesto guadagno per la vita.

7. Un altro aspetto positivo della mobilità è la possibilità di migliorare la dimensione umana di ciascuno, grazie alla conoscenza di altre culture e persone, di religione, etnia e costume differenti. [5] Lo spostamento unisce le genti, ne facilita il dialogo, dando luogo a processi di socializzazione e di arricchimento personale, attraverso scoperte e conoscenze nuove.

8. I mezzi di trasporto si dimostrano particolarmente utili quando permettono di soccorrere malati e feriti, rendendo più facile e accessibile un intervento urgente. essi possono promuovere altresì l’esercizio delle virtù cristiane - prudenza, pazienza e carità nell’aiuto ai fratelli - tanto sul piano spirituale quanto su quello corporale. Possono costituire, infine, un’occasione per avvicinarsi a Dio, poiché facilitano la scoperta delle bellezze del creato, segno dell’amore senza limiti di Dio per noi.

Lo spirito del viaggiatore potrà anche elevarsi contemplando le varie testimonianze di religiosità che si scorgono lungo le strade o vicino alla ferrovia: chiese, campanili, cappelle, capitelli, croci, statue, mete di pellegrinaggi, a cui ci si dirige oggi con maggior facilità, usando appunto i mezzi di locomozione moderni.

9. Il movimento stradale e quello ferroviario sono, dunque, cosa buona, oltre che una esigenza ineluttabile della vita dell’uomo contemporaneo. Se egli fa buon uso dei mezzi di trasporto, accettandoli come doni che Dio gli concede, e che sono, al tempo stesso, frutto del lavoro delle sue mani operose e del suo ingegno, potrà trarne vantaggio per il proprio perfezionamento umano e cristiano.

II. La Parola di Dio illumina la strada

10. Dall’impegno cristiano nei luoghi del movimento stradale e ferroviario, che chiamiamo «Pastorale della Strada», proviene il dovere di elaborare e promuovere anche una adeguata e corrispondente espressione di «spiritualità», radicata nella Parola di Dio. Da una spiritualità così intesa scaturisce la luce capace di dare senso a tutta la vita, proprio a partire da quella vissuta nel movimento stradale e ferroviario. La mobilità, fenomeno che caratterizza l’uomo contemporaneo, deve essere vissuta da cristiani, esercitando le virtù teologali e cardinali. Per il fedele, anche la strada diventa cammino di santità.

Spunti dall’Antico Testamento

11. Nella Bibbia incontriamo continue migrazioni e peregrinazioni. I Patriarchi, Abramo (cfr. Gen 12,4-10), Isacco (cfr. Gen 26,1.17.22), Giacobbe (cfr. Gen 29, 1; 31,21; 46,1-7) e Giuseppe (cfr. Gen 37,28) conducono una esistenza itinerante. Quando poi i loro discendenti costituiscono un popolo numeroso, Mosè li guida nell’esodo dall’Egitto (cfr. Es 12,41), attraversando il Mar Rosso (cfr. Es 14) e peregrinando nel deserto (cfr. Es 15,22).

12. Nell’esperienza della mobilità, piena di rischi e di drammi, il Popolo di Dio è sempre assistito dalla protezione particolare di Yahvè (cfr. Es 13,21). Le ripetute infedeltà degli Israeliti all’Alleanza ebbero più tardi, come conseguenza, un altro tipo di peregrinazione, quanto mai penosa, la deportazione in Babilonia (cfr. 2 Re 24, 15). Dopo lunghi anni di esilio, la fedeltà di Dio si manifesta nell’editto di Ciro, che rende possibile il gioioso viaggio di ritorno nella terra promessa (cfr. 2 Cr 36,22-23; Sal 126 [125]).

13. Il Salmista (cfr. Sal 107 [106],7) indica la «via retta» sulla quale conduce il Signore, mentre il profeta Isaia lancia l’invito a preparare la strada al Signore (cfr. Is 40,3). L’importanza data dalla Bibbia al tema della peregrinazione, del viaggio, appare chiaramente anche dal fatto che il termine «cammino» viene usato quale metafora per indicare i comportamenti umani. La Scrittura esorta con insistenza a scegliere «vie rette», a non indugiare «nella via dei peccatori» (Sal 1,1), a camminare nelle vie del Signore (cfr. Dt 8,6; 10,12; 19,9).

Spunti dal Nuovo Testamento

14. Nel Nuovo Testamento i riferimenti alla strada, agli spostamenti, ai viaggi, sono assai numerosi. Pensiamo a quelli di Maria e Giuseppe, prima e dopo la nascita di Gesù, agli spostamenti continui di Gesù durante la Sua vita pubblica e a quelli degli Apostoli. Gli evangelisti presentano la vita di Cristo come un andare continuo: Gesù percorreva città e villaggi per proclamare il Vangelo e curare «ogni malattia e infermità» (cfr. Mt 9,35); una lunghissima sezione del vangelo di Luca (9,51-19,41) ci mostra il Signore in cammino verso Gerusalemme, dove Egli doveva portare a compimento il Suo «esodo» (cfr. Lc 9,31). [6]

15. Cammino e viaggio sono presenti altresì nelle parabole evangeliche. Pensiamo – oltre a quella del Buon Samaritano, immediatamente applicabile alla Pastorale della strada (cfr. Lc 10,29-37) – al figlio prodigo, che parte «per un paese lontano» (Lc 15,13) e poi ritorna presso il padre (cfr. Lc 15,13-20). Ricordiamo pure il padrone che «parte per un viaggio» e consegna i suoi beni ai servitori (cfr. Mt 25,14-30).

16. Gesù stesso mette in cammino anche i suoi discepoli. Li invia infatti, a due a due, a proclamare la Buona Novella del Regno (cfr. Mc 6, 6-13), mentre nel vangelo di Luca la missione dei settantadue discepoli (cfr. Lc 10,1-20) suggerisce una estensione universale di quella successiva, esplicitata quando Gesù Risorto invia gli Apostoli, dicendo: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15; Mt 28,19 e Lc 24,47). Essi saranno infatti Suoi testimoni «a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Tale missione universale comporterà certo innumerevoli viaggi, come è attestato dagli Atti degli Apostoli, per Pietro (cfr. At 9,32-11,2) e Paolo (cfr. At 13,4-14,28; 15,36-28,16).

17. Nel suo insieme la Sacra Scrittura presenta la realtà della mobilità umana, con i suoi rischi, le sue soddisfazioni e le sue pene, e ne afferma il legame con il disegno salvifico di Dio. Possiamo così comprendere il viaggio non soltanto come uno spostamento fisico da un luogo all’altro, ma nella sua dimensione spirituale, dovuta al fatto che esso mette in relazione le persone, contribuendo all’attuazione del disegno d’amore di Dio.

Cristo è la Via, Egli è la Strada

18. Il vangelo secondo Giovanni presenta espressioni particolarmente importanti per quanto riguarda quella che chiameremmo una spiritualità della strada, in attuazione del piano di Dio. Il Signore Gesù attesta: «Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Cristo presentandosi come «via» ci indica che tutto deve essere orientato verso il Padre. L’affermazione «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12) conferma che Gesù e il Suo messaggio sono la via luminosa per orientare la nostra vita verso il Padre. Colui che segue il Signore, ascolta e mette in pratica la Sua Parola procede sul cammino della vita.

19. Chi conosce Gesù Cristo è prudente sulla strada. Non pensa soltanto a sé e non è sempre assillato dalla fretta di arrivare. Vede le persone che lo «accompagnano» per strada, ognuna con la propria vita, il desiderio di arrivare, e i propri problemi. Le vede tutte come fratelli e sorelle, figli di Dio. è questo l’atteggiamento che connota l’automobilista cristiano.

20. È attestato che una delle radici di molti problemi inerenti al traffico è di ordine spirituale. La soluzione di questi problemi si troverà, per i credenti, in una visione di fede, nella relazione con Dio, e in una opzione generosa a favore della vita, testimoniata anche con un comportamento rispettoso di quella altrui e delle norme poste a sua tutela, lungo la strada.

«Davvero, si potrebbe trarre dalle pagine ispirate dei due Testamenti, ma soprattutto dai Vangeli e dalle Lettere apostoliche, un florilegio di precetti, che ben potrebbero formare un corpus di criteri morali e perfino un manuale di galateo e di buona creanza per l’uso della strada, con il quale sostenere e avvalorare le prescrizioni del Codice, e dargli un afflato, che la enunciazione puramente negativa e preventiva delle sue norme non può avere. Finché l’utente della strada non sia condotto a considerare le sue responsabilità in questa luce positiva e incoraggiante, che trova nei valori superiori e imprescrittibili della coscienza la sua vera giustificazione, non si potrà ottenere l’auspicata moralizzazione». [7]

III. Aspetti antropologici

La particolare psicologia dell’autista

21. Il veicolo è un mezzo di cui ci si può servire in modo prudente ed etico, per la «convivenza», la solidarietà e il servizio degli altri, oppure se ne può anche abusare.

Evasione dalla quotidianità e piacere di guidare

22. Al volante dell’auto, c’è chi accende il motore per lanciarsi nella corsa, per evadere dai ritmi assillanti della vita quotidiana, legati al lavoro. Il piacere di guidare diventa un modo di godere della libertà e autonomia di cui abitualmente non si dispone. Ciò porta anche a praticare gli sport di strada, il ciclismo, il motociclismo, a partecipare a corse automobilistiche, in un sano senso di competizione, anche se con i relativi rischi.

23. Accade che si sentano come limitazione di libertà i divieti che i segnali stradali impongono; specialmente quando non visti e controllati, alcuni soggetti sono tentati di infrangere tali barriere, che invece sono poste a protezione di sé e degli altri. Alcuni conducenti arrivano a considerare umiliante il dover rispettare certe norme di prudenza che diminuiscono rischi e pericoli del traffico. Altri ritengono intollerabile, quasi una limitazione dei propri «diritti», l’essere costretti a seguire pazientemente un’altra vettura, quando questa viaggia a velocità ridotta, perché i segnali stradali indicano, per esempio, una proibizione di sorpasso.

24. Occorre tener conto del fatto che la personalità del conducente alla guida è diversa da quella del pedone. Circostanze speciali, quando si guida un veicolo, possono portare ad avere un comportamento inadeguato e perfino poco umano. Consideriamo, qui di seguito, i principali fattori psicologici che influiscono sul comportamento del conducente.

Istinto di dominio

25. L’istinto di dominio, o sentimento di prepotenza, nell’essere umano, spinge a cercare il potere per affermarsi. [8] La guida di un’ automobile offre la possibilità di esercitare facilmente tale dominio sugli altri. Identificandosi con l’automobile, il conducente sente aumentare il proprio potere, che si esprime in velocità, il che dà luogo a un piacere, quello di guidare, appunto. Tutto ciò può portare l’autista a voler gustare l’ebbrezza della velocità, manifestazione caratteristica di crescita del suo potere.

Il disporre liberamente della velocità, l’avere la possibilità di accelerare a proprio piacimento e di lanciarsi alla conquista del tempo, dello spazio, superando, «sottomettendo» quasi, gli altri conducenti, diventano fonti di soddisfazione derivante da dominio.

Vanità ed esaltazione personale

26. L’automobile si presta in modo particolare a essere usata dal proprietario come oggetto di ostentazione di sé e mezzo per eclissare gli altri e suscitare sentimenti di invidia. La persona si identifica così con la macchina e proietta su di essa l’affermazione dell’ego. Quando si fa l’elogio della propria automobile, in fondo, si elogia se stessi, poiché essa ci appartiene e, soprattutto, la si guida. I record battuti, le grandi velocità raggiunte sono ciò di cui molti automobilisti, anche non giovani, si vantano con maggiore piacere; è facile constatare come non si possa sopportare di essere considerati cattivi conducenti, anche se si può riconoscere di esserlo.

Squilibrio comportamentale e relative conseguenze

Diverse manifestazioni

27. I comportamenti poco equilibrati variano a seconda delle persone e delle circostanze: mancanza di cortesia, gestacci, imprecazioni, bestemmie, perdita del senso di responsabilità, violazioni deliberate del Codice della strada. In alcuni autisti lo squilibrio comportamentale si manifesta in modi irrilevanti, mentre in altri produce gravi eccessi che dipendono dal carattere, dal livello di educazione, dalla incapacità di autocontrollo e dalla mancanza del senso di responsabilità.

Un fenomeno non patologico

28. Tali eccessi sono riscontrabili in moltissime persone normali. Questi fenomeni di squilibrio comportamentale, che possono avere gravi conseguenze, vengono fatti rientrare, tuttavia, nei limiti della normalità psicologica.

29. La guida di un’automobile fa emergere dall’inconscio inclinazioni che di solito, quando non si è per strada, sono «controllate». Alla guida, invece, gli squilibri si manifestano, viene favorita la regressione a forme di comportamento primitive. La guida è da considerarsi alla stregua di ogni altra attività sociale, che presuppone un impegno a mediare tra le esigenze dell’io e i limiti imposti dai diritti degli altri.

L’automobile tende insomma a mostrare l’essere umano per quello che egli è «primitivamente», e tutto ciò può risultare assai poco gradevole. Bisogna tener conto di queste dinamiche e reagire, facendo appello alle tendenze nobili dell’animo umano, al senso di responsabilità e al controllo di sé, per impedire quelle manifestazioni di regressione psicologica abbastanza spesso legata alla guida di un mezzo di locomozione.

IV. Aspetti morali della guida

Guidare vuol dire «convivere»

30. Il «convivere» è dimensione fondamentale dell’uomo e la strada deve perciò essere più umana. L’automobilista, alla guida, non è mai solo, anche se non v’è nessuno al suo fianco. guidare un veicolo è in fondo una maniera di relazionarsi, di avvicinarsi, di integrarsi in una comunità di persone. Tale capacità di «convivere», di entrare in rapporto con gli altri, presuppone nel conducente alcune qualità concrete e specifiche: l’esser padrone di sé, la prudenza, la cortesia, un adeguato spirito di servizio e la conoscenza delle norme del codice della strada. Si dovrà prestare aiuto disinteressato a chi ha bisogno, dando esempio di carità e di ospitalità.

Guidare significa controllarsi

31. Il comportamento della persona si connota per la capacità di controllarsi e dominarsi, di non lasciarsi trasportare dagli impulsi. La responsabilità di coltivare questa personale capacità di controllo e dominio è importante, tanto per quel che riguarda la psicologia del conducente, quanto per i gravissimi danni che possono essere causati alla vita e all’integrità delle persone e dei beni, in caso di incidente.

Aspetti etici

32. Nella sua evoluzione, come fatto sociale, il comportamento alla guida dei veicoli si è sviluppato talvolta al margine delle norme etiche; si è generato così – lo osserviamo – un contrasto profondo fra la realtà del progresso costante nel trasporto e l’aumento continuo e caotico del traffico sulle strade, con conseguenze negative per chi guida e per i pedoni.

33. Per porre la base dei principi etici che devono reggere tutto ciò che riguarda la «professionalità» dell’utente della strada, occorre anzitutto considerare il pericolo, per le persone e per i beni, derivante dalla circolazione stradale. Esso esiste per il conducente, per i suoi passeggeri, per tutti gli automobilisti alla guida. La mancata osservanza delle norme etiche basilari impedisce agli utenti della strada di godere dei propri diritti personali e compromette anche la salvaguardia delle cose.

34. Il dovere di proteggere i beni può essere leso non solo da una guida imprudente, ma anche dal non mantenere la vettura o il mezzo di trasporto in condizioni meccaniche di sicurezza, trascurando il controllo tecnico periodico. Il dovere di revisione dei veicoli va rispettato.

35. Vi sono altresì i casi di guida senza abilità fisica o capacità mentale, per l’ abuso di alcool e di altri stimolanti o droghe, per stati di spossatezza o di sonnolenza. V’è il pericolo derivante dalle «minimacchine» (citycars), affidate a giovanissimi e adulti privi di patente, e quello dell’uso spericolato dei ciclomotori e delle moto.

36. Considerato tutto ciò, per salvaguardare i diritti ed evitare i danni causati da incidenti, le autorità pubbliche stabiliscono un insieme di norme penali. Nella pratica, purtroppo, il carattere obbligatorio di tali norme non viene avvertito, facilmente si attutisce o addirittura scompare nella consapevolezza degli autisti, proprio per il fatto che esse appartengono all’ambito del codice penale, vale a dire a eventi considerati non ordinari, ma straordinari. ciò pone il conducente più facilmente nella condizione di agire contro la norma, nella speranza di non essere colto in fallo dall’Autorità che dovrebbe punirlo.

37. È chiaro, a questo riguardo, che una pedagogia a favore della cultura della vita, in difesa del comandamento «Non uccidere» è sempre più necessaria. Nella stessa prospettiva, risultano di grande utilità le varie campagne per la sicurezza stradale, il miglioramento dei mezzi pubblici di trasporto, il tracciato sicuro delle strade, la segnaletica e la pavimentazione adeguate delle vie di comunicazione, la soppressione dei passaggi a livello incustoditi, la creazione di una mentalità pubblica responsabile, tramite specifiche associazioni, e la collaborazione con gli utenti da parte degli addetti al servizio stradale.

Guida di un veicolo e suoi rischi

38. Quando esce in automobile, il conducente dev’essere consapevole, senza fobie, che in qualsiasi momento potrebbe succedere un incidente. Nonostante la buona qualità, in genere, delle odierne vie di comunicazione nei Paesi sviluppati, è insensato guidare «allegramente», come se non esistessero pericoli. L’atteggiamento alla guida dovrebbe essere lo stesso che si assume quando si usano strumenti pericolosi, cioè di molta attenzione.

39. Ne sono prova le cifre. Partendo dalla produzione mondiale di veicoli a motore, rileviamo che nel 2001 furono quasi 57 milioni, mentre erano 10 milioni e mezzo nel 1950. Nel corso del secolo XX, poi, per incidenti stradali, si ritiene che circa 35 milioni di persone abbiano trovato la morte, mentre i feriti si sarebbero aggirati attorno al miliardo e mezzo. Soltanto nel 2000 i decessi sarebbero stati 1.260.000; degno di nota il fatto che circa il 90% degli incidenti si verifica per errore umano.

Da non dimenticare il danno causato alle famiglie di chi subisce l’incidente, oltre le prolungate conseguenze per i feriti, che restano troppo spesso handicappati permanenti. Oltre al danno alle persone, in ogni caso, meritano opportuna considerazione gli ingenti danni ai beni materiali.

40. Tutto ciò è una vera tragedia, e una grave sfida per la società e per la Chiesa. Non sorprende che l’Assemblea Generale dell’ONU abbia affrontato seriamente questo problema in una sessione plenaria, convocata specificamente sulla sicurezza stradale, nell’aprile 2004, volta a rendere più sensibile l’opinione pubblica alle proporzioni del fenomeno, in vista di precise raccomandazioni per la sicurezza stradale. [9]

41. Papa Paolo VI ebbe ad affermare: «Troppo sangue si versa ogni giorno in una assurda contesa con la velocità e il tempo; e mentre gli Organismi internazionali si dedicano volenterosamente a sanare dolorose rivalità, mentre è in atto un meraviglioso progresso verso la conquista dello spazio, mentre si cercano mezzi adeguati per sanare le piaghe della fame, dell’ignoranza e della malattia, è doloroso pensare come, in tutto il mondo, innumerevoli vite umane continuino a essere sacrificate ogni anno a questa inammissibile sorte. La coscienza pubblica deve riscuotersi, e considerare il problema alla stregua di quelli più ardui, che tengono desti la passione e l’interesse del mondo intero». [10]

Obbligatorietà delle norme stradali

42. Quando qualcuno guida mettendo in pericolo la vita altrui o quella propria, come pure l’integrità fisica e psichica delle persone, e anche beni materiali considerevoli, egli si rende responsabile di colpa grave, pure quando questo comportamento non provochi incidenti, perché, in ogni caso, esso comporta gravi rischi. C’è da aggiungere che la maggior parte degli incidenti è provocata proprio dall’imprudenza.

43. Il Magistero della Chiesa si è pronunciato chiaramente in relazione a queste problematiche: «Le conseguenze spesso drammatiche delle infrazioni al Codice della strada gli conferiscono un carattere di obbligazione intrinseca molto più grave di ciò che generalmente non si pensi. Gli automobilisti non possono contare solo sulla loro propria vigilanza e abilità per evitare gli incidenti, bensì devono mantenere un giusto margine di sicurezza, se vogliono essi stessi liberarsi degli imprudenti e ovviare alle imprevedibili difficoltà». [11] Infatti «giustamente le leggi civili della umana convivenza fanno sostegno alla grande legge del "Non occides": non ammazzare, che splende nel Decalogo di tutti i tempi, ed è per tutti precetto sacro del Signore». [12]

44. Dunque «occorre che ciascuno s’impegni a creare, mediante il rigoroso rispetto del Codice della strada, una "cultura della strada", basata sulla diffusa comprensione dei diritti e dei doveri di ciascuno e sul comportamento coerente che ne consegue». [13]

45. Principi teologici, etici, giuridici e tecnologici sostengono la moralizzazione dell’utenza stradale. «Tali principi si fondano sul rispetto dovuto alla vita umana, alla persona umana, qual è inculcato fin dalle prime pagine delle Sacra Scrittura. La persona umana è sacra: essa è stata creata a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), è redenta dal prezzo inestimabile del sangue di Cristo (cfr. 1 Cor 6,20; 1 Pt 1,18-19), è stata inserita nella Chiesa, nella Comunione dei Santi, col diritto e col dovere della mutua, effettiva, sincera carità verso i fratelli e le sorelle, secondo il precetto dell’Apostolo Paolo: "La vostra carità non sia finta ... con amore fraterno vogliatevi bene scambievolmente. Prevenitevi gli uni gli altri nel rendervi onore" (Rm 12,9-10)». [14]

Responsabilità morale degli utenti della strada

46. È certo che né l’automobilista o il motociclista, né il ciclista o il pedone imprudenti vogliono le fatali conseguenze di un incidente da essi provocato, e nemmeno hanno l’intenzione di arrecare danno alla vita o ai beni altrui. Peraltro, poiché queste conseguenze sono il prodotto di un’azione cosciente, possiamo parlare giustamente di responsabilità morale.

«Perché l’effetto dannoso sia imputabile, bisogna che sia prevedibile e che colui che agisce abbia la possibilità di evitarlo; è il caso, di un omicidio commesso da un conducente in stato di ubriachezza». [15] Quando si guida senza le dovute condizioni (ad esempio imprudentemente, senza le capacità necessarie, ecc.), si mettono in pericolo vita e beni, il che presuppone una violazione della legge morale, a causa del carattere volontario dell’atto.

47. La responsabilità morale dell’utente della strada, conducente o pedone, deriva dall’obbligo di rispettare il quinto e il settimo comandamento: «Non uccidere» e «Non rubare». I peccati più gravi contro la vita umana, contro il quinto comandamento, sono il suicidio e l’omicidio, ma questo comandamento richiede anche il rispetto della propria integrità fisica e psichica e di quella altrui.

Sono atti contro tali comandamenti le imprudenti distrazioni e negligenze, la cui gravità morale si misura sul loro grado di prevedibilità e in qualche modo di intenzionalità. Ciò significa che, oltre alla proibizione di uccidere, ferire o mutilare direttamente, il comandamento del Signore proibisce ogni atto che possa procurare indirettamente tali danni. Lo stesso dicasi per quelli causati ai beni del prossimo.

48. La legge morale proibisce di esporre qualcuno a serio pericolo, senza grave ragione, come pure di rifiutare assistenza a una persona in pericolo. D’altro lato, il Catechismo della Chiesa Cattolica insegna che «la virtù della temperanza dispone ad evitare ogni sorta di eccessi: l’abuso di cibo, dell’alcool, del tabacco e dei medicinali. Coloro che, in stato di ubriachezza o per uno smodato gusto della velocità, mettono in pericolo l’incolumità altrui e la propria sulle strade, in mare, o in volo, si rendono gravemente colpevoli». [16]

V. virtù cristiane del conducente e suo «decalogo»

Carità e servizio al prossimo

49. Papa Pio XII così esortava gli automobilisti, già nel 1956: «Voi non dimenticate di rispettare gli utenti della strada, di osservare la cortesia e la lealtà verso gli altri piloti e pedoni, e di mostrare loro il vostro carattere servizievole. Mettete il vostro vanto nel saper dominare una impazienza spesso ben naturale, nel sacrificare talora un poco del vostro senso di onore per far trionfare quella gentilezza che è un segno di vera carità. Non soltanto potrete così evitare incidenti spiacevoli, ma contribuirete a fare dell’automobile uno strumento anche più utile per voi stessi e per gli altri e capace di procurarvi un piacere di miglior lega». [17]

50. A tale esortazione pontificia fa eco molto più tardi l’Episcopato belga che invita i conducenti a dare «prova di spirito di cortesia e carità, rispettando la precedenza con un atteggiamento comprensivo per le manovre impacciate dei principianti, prestando attenzione agli anziani e ai bambini, ai ciclisti e ai pedoni, e dominandosi nei casi di infrazioni commesse da terze persone. La solidarietà cristiana incita tutti gli utenti della strada ad un grande spirito di servizio, a prestare assistenza ai feriti e aiuto alle persone anziane, con una sollecitudine particolare per i bambini e gli handicappati». [18] E con l’attenzione al corpo non si può dimenticare di prestare un’assistenza spirituale, non meno urgente, in numerosi casi.

51. L’esercizio della carità, nel conducente, ha una duplice dimensione. La prima si manifesta nella tenuta della propria autovettura, di cui occorre curare lo stato tecnico dal punto di vista della sicurezza, per non mettere consapevolmente a rischio la propria e l’altrui vita. Essere affezionati alla propria vettura significa anche non pretendere da essa ciò che non può dare.

La seconda dimensione riguarda l’amore verso i viaggiatori di cui non bisogna mettere a rischio la vita con manovre sbagliate e imprudenti che possono arrecare danno tanto ai passeggeri quanto ai pedoni. Usiamo qui la parola «amore» volendo significare le molteplici forme in cui si esprime l’autentica carità, cioè il rispetto, la cortesia, la considerazione, ecc. Il buon guidatore lascia passare cortesemente il pedone, non si sente offeso se un altro lo supera, non ostacola colui che vuole correre più velocemente, non si vendica.

La virtù della Prudenza

52. Questa virtù è sempre stata presentata come una delle più necessarie e importanti in relazione alla circolazione stradale. Lo conferma il testo seguente: «Un’altra virtù che non può essere dimenticata è quella della prudenza. Questa esige un margine adeguato di precauzioni con cui far fronte agli imprevisti che si possono presentare in qualsiasi occasione». [19] Certamente non si comporta secondo prudenza chi si distrae, alla guida, con il telefonino o con la televisione.

53. E ancora, in tema di prudenza: «Gli utenti della strada non devono circolare ad una velocità eccessiva, bisogna calcolare un ampio margine di tempo, teoricamente e psicologicamente necessario, per frenare; non devono sopravvalutare la propria abilità e prontezza; bisogna controllare continuamente la propria attenzione e conversazione. A questo proposito, anche i compagni di viaggio devono conoscere le loro responsabilità». [20]

La virtù della Giustizia

54. Non c’è dubbio che ogni relazione umana deve essere retta dalla giustizia, a maggior ragione se è in gioco la vita. Fin dal momento in cui la Chiesa si è interessata del problema del traffico, ha fatto riferimento a questa virtù. Ricordiamo a tale proposito la seguente esortazione: «La giustizia esige da chi guida una conoscenza completa ed esatta del codice della strada. Chi usa la strada, infatti, deve conoscerne i regolamenti e prenderli in considerazione. L’automobilista, inoltre, è obbligato a cercare di trovarsi in condizioni fisiche e psicologiche adeguate. Se è in stato di ebbrezza, non dovrà mai sedersi al volante e non deve essere autorizzato a farlo. Egli è obbligato, come più di qualsiasi altra persona, alla sobrietà: l’alcool, in effetti, provoca uno stato di euforia e riduce la presenza di spirito a un punto che può essere fatale ». [21]

55. Rispettando la giustizia, «l’utente della strada dovrà anche riparare il danno causato ad un altro. Se, in coscienza, ne è responsabile, deve adoperarsi affinché la vittima, o i suoi parenti prossimi, siano adeguatamente indennizzati. Qualora il danno si producesse poi in maniera completamente indipendente dalla sua volontà, sarà nondimeno obbligato, in coscienza, a indennizzare la vittima secondo quanto prescrive la legge e, in caso di contestazione e processo, dovrà rispettare la sentenza». [22]

56. D’altra parte, si devono anche incoraggiare al perdono dell’aggressore i familiari delle vittime, come segno, pur difficile, di maturità umana e cristiana. In questo processo di perdono, è utile, se non necessario, il sostegno spirituale del cappellano o dell’operatore pastorale e la celebrazione della apposita «Giornata del perdono». [23]

La virtù della Speranza

57. La speranza è un’altra virtù che deve distinguere il conducente e il viaggiatore. Chi intraprende un viaggio, infatti, parte sempre con una speranza, quella di arrivare sicuramente a destinazione, per sbrigare affari o godere della natura, per visitare luoghi famosi o che suscitano dei ricordi o per riabbracciare i propri cari. Per i credenti, la ragione di tale speranza, pur tenendo conto dei problemi e dei pericoli della strada, sta nella certezza che, nel viaggio verso una meta, Dio cammina con l’uomo e lo preserva dai pericoli. In virtù di questa compagnia di Dio e grazie alla collaborazione dell’uomo, egli giungerà a destinazione.

58. Pur essendo Dio la roccia su cui si fonda la speranza cristiana, la devozione cattolica ha trovato numerosi intercessori presso di Lui, i Suoi e nostri veri amici, gli Angeli e i Santi e le Sante di Dio, ai quali ci si affida per superare i pericoli del viaggio, con la grazia divina. Ricordiamo San Cristoforo (Portatore di Cristo), la presenza dell’Angelo custode, l’Arcangelo Raffaele, che accompagnava Tobia (cfr. Tb 5,1ss.), e che la Chiesa considera protettore dei viaggiatori. Significativi sono altresì i titoli dati a Maria SS.ma, in relazione al cammino. La invochiamo, infatti, come Madonna della strada, Vergine pellegrina, icona della donna migrante. [24]

59. Il ricorso ai nostri Intercessori celesti non deve far dimenticare l’importanza del segno della croce, fatto prima di iniziare un viaggio. Con tale segno ci rimettiamo direttamente alla protezione della Santissima Trinità. Esso, infatti, ci indirizza anzitutto al Padre, come origine e meta; a questo proposito ricordiamo le espressioni del salmo: «Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti in tutti i tuoi passi» (Sal 91 [90],11).

Il segno della croce, poi, ci affida a Gesù Cristo, la nostra guida (cfr. Gv 8,12). L’incontro di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35) ci assicura che il Signore si fa incontro a ciascuno nel cammino, prende alloggio nella casa di chi lo invita, e viaggia con noi, sta seduto al nostro fianco.

Infine il segno della croce ci rimette allo «Spirito Santo, che è Signore e dà la Vita». [25] Egli illumina la mente e concede, a chi Lo invoca, il dono della prudenza per giungere alla meta. Ce lo conferma il canto del Veni Creator: «Ductore sic te praevio, vitemus omne noxium» («Se sei Tu a guidarci, eviteremo tutto ciò che ci danneggia»).

60. Durante il viaggio si potrà con frutto anche pregare vocalmente, alternandosi specialmente, nella recitazione, con chi ci accompagna, come per la recita del Rosario [26] che, per il suo ritmo e la sua dolce ripetizione, non distrae il conducente. Ciò contribuirà a sentirsi immersi nella presenza di Dio, a rimanere sotto la sua protezione, e potrà nascere il desiderio di una celebrazione comunitaria, o liturgica, se possibile, in punti «spiritualmente strategici» della strada o della ferrovia (santuari, chiese e cappelle, anche mobili).

«Decalogo» del conducente

61. In ogni caso, con il richiamo all'esercizio delle virtù da parte dell'automobilista, vi è chi ha voluto formulare per lui uno speciale "decalogo", in analogia con le 10 «Parole», cioè con i Comandamenti del Signore. Lo riportiamo qui di seguito, a titolo indicativo, pur ritenendo che essi potrebbero essere anche diversamente formulati:

  1. .Non uccidere.

  2. La strada sia per te strumento di comunione tra le persone e non di danno mortale.

  3. Cortesia, correttezza e prudenza ti aiutino a superare gli imprevisti.

  4. Sii caritatevole e aiuta il prossimo nel bisogno, specialmente se è vittima di un incidente.

  5. L’automobile non sia per te espressione di potere, di dominio e occasione di peccato.

  6. Convinci con carità i giovani, e i non più tali, a non mettersi alla guida quando non sono in condizione di farlo.

  7. Sostieni le famiglie delle vittime di incidenti.

  8. Fa' incontrare la vittima e l’automobilista aggressore in un momento opportuno, affinché possano vivere l’esperienza liberatrice del perdono.

  9.  Sulla strada tutela la parte più debole.

  10.  Senti te stesso responsabile verso gli altri.

VI. Missione della Chiesa

Profezia, in una situazione grave e allarmante

62. La denuncia di situazioni pericolose, come quelle causate dal traffico, fa parte della missione della Chiesa, è realizzazione cioè della sua missione profetica. È preoccupante il numero di incidenti, in cui anche i pedoni possono avere una grave responsabilità. Denuncia va fatta, inoltre, della pericolosità di certe competizioni automobilistiche e di quelle illegali per le strade, che costituiscono grave rischio.

63. È abbastanza usuale indicare la causa di un incidente nelle condizioni del fondo stradale, in un problema meccanico o in circostanze ambientali; bisogna però sottolineare che grandissima parte degli incidenti automobilistici sono determinati da leggerezze gravi e gratuite - quando non si tratta perfino di stupidità e arroganza nel comportamento del conducente o del pedone -, e quindi dal fattore umano.

Educazione stradale

64. Di fronte ad un problema così grave, tanto la Chiesa quanto lo Stato – ciascuno nell’ambito delle proprie competenze – devono operare, oltre la denuncia, al fine di creare una coscienza generale e pubblica per quel che riguarda la sicurezza stradale e promuovere, con tutti i mezzi, una corrispondente, adeguata educazione dei conducenti, come pure dei viaggiatori e pedoni.

65. In termini più generali, ricordiamo che per poter compiere bene un’azione, sono necessari tre elementi, vale a dire sapere ciò che si deve fare, volerlo realizzare e, infine, aver sviluppato a sufficienza una serie di riflessi e abitudini necessari per eseguirlo con precisione, esattezza e rapidità. Ciò vale anche per l’educazione stradale: essa deve coinvolgere l’intelligenza, la volontà e anche i comportamenti abitudinari.

66. La Chiesa, a tale proposito, si preoccuperà di sensibilizzare le coscienze e di promuovere un’educazione stradale che tenga in considerazione i tre citati elementi: sapere ciò che si deve fare, consapevoli del pericolo, della responsabilità e degli obblighi che ne derivano per conducenti o pedoni; volerlo compiere con attenzione e dedizione e, infine, sviluppare sufficienti riflessi e abitudini per un’azione precisa, che non comporti rischi né imprudenze.

67. Per raggiungere tali fini non si dovranno trascurare, oltre all’impegno familiare, le possibilità educative che hanno le parrocchie, le associazioni laicali e i movimenti ecclesiali, soprattutto per bambini e giovani.

68. Tutto ciò significa destare e incoraggiare quella che potremmo chiamare un’«etica della strada», la quale non è cosa diversa dall’etica in generale, ma ne costituisce una applicazione.

Soggetti a cui rivolgersi

69. Questione importante è la determinazione dei soggetti dell’educazione stradale; consideriamo anzitutto quelli «attivi». Poiché il traffico è questione legata al bene comune, nella soluzione del problema della formazione di automobilisti, motociclisti, ciclisti e pedoni, è implicata tutta una serie di attori ed enti sociali, oltre l’individuo e la famiglia, la società in generale e i pubblici poteri.

70. L’individuo ha l’obbligo etico di rispettare le norme di circolazione e, per questo, deve avere delle conoscenze che siano frutto di una formazione atta ad approfondire il suo senso di responsabilità. Il ruolo della famiglia risulta evidente e fondamentale nell’educazione stradale, che fa parte del bagaglio necessario da trasmettere ai figli per una buona educazione generale.

Da parte sua, la società ha l’obbligo e il diritto di affrontare questo problema, poiché esso riguarda il bene comune. Si usa il termine società in accezione ampia e diversificata, poiché ingloba, ad esempio, la scuola, l’impresa privata, il club, l’istituzione, la stampa, ecc. Col termine società si intendono altresì i pubblici poteri e l’amministrazione civile, il cui intervento in questo campo, come in altri, deve essere retto dal principio di sussidarietà. [27]

71. Fra i soggetti «passivi», da educare, citiamo in primo luogo il bambino. È necessario che egli sia preparato molto presto ad affrontare il traffico, nel quale dovrà passare parte della propria vita, e questo per due ragioni fondamentali.

Anzitutto perché educare il bambino a dirigersi nel traffico vuol dire mettere a sua disposizione il migliore mezzo per proteggere la propria vita. Sono molti, infatti, i bambini che ogni anno muoiono sulla strada, e molti sono anche coloro che, senza perdere la vita, restano menomati nelle loro facoltà e segnati per sempre nel fisico e/o nella psiche. E poi l’educazione stradale del bambino è la migliore garanzia di una generazione futura più sicura e corretta, in questo ambito.

72. L’accento va posto anche sul ruolo insostituibile della scuola, che forma e informa. È soprattutto a scuola che il bambino può cogliere, per tempo, il fondamento etico dei problemi del traffico e il perché delle sue regole. A scuola si apprende che i problemi del traffico appartengono al più vasto campo delle problematiche della convivenza umana, per la quale la prima urgenza è il rispetto degli altri. A scuola si apprende l’autolimitazione cosciente nell’uso e nel godimento dei beni comuni; vi si deve imparare la cortesia e la grandezza d’animo nelle relazioni umane.

73. La scuola è l’istituzione alla quale la famiglia affida una parte molto importante dei suoi compiti educativi. Ciò fa di essa uno degli strumenti potenti e insostituibili di formazione integrale della persona. Il mancato adempimento del dovere di provvedere anche all’educazione stradale creerebbe una pericolosa lacuna formativa, difficilmente colmabile.

74. Una occasione importante di educazione stradale è offerta a coloro che desiderano ottenere la patente di guida. E’ una tappa di formazione specifica, di evidente importanza, soprattutto se il soggetto non ha ricevuto in precedenza alcuna educazione stradale. Le scuole guida hanno una grande responsabilità, così come la civica amministrazione, a cui compete di regolare le prove alle quali deve sottoporsi l’aspirante conducente.

75. Un altro soggetto da formare, infine, è la moltitudine degli utenti stessi della strada: non solo i conducenti, ma anche i pedoni non automobilisti, i quali, nella maggior parte, non hanno ricevuto un’educazione stradale conveniente. Molti di loro, essendo persone anziane, hanno riflessi meno pronti per affrontare il traffico in tutta sicurezza. V’è dunque per loro più facilmente il rischio di un incidente.

Appello del Concilio Ecumenico Vaticano II

76. Il Concilio Ecumenico Vaticano II, in cui risuonava, mentre veniva aggiornato, il precedente Magistero ecclesiale, avvertendo i cambiamenti sociali del XX secolo, e mettendo in guardia contro il puro individualismo, richiamò l’attenzione anche sul problema del traffico, nei seguenti termini: «La profonda e rapida trasformazione delle cose esige con più urgenza che non vi sia alcuno che, non curandosi del corso degli eventi o intorpidito dall’inerzia, indulga a un’etica puramente individualistica. Il dovere della giustizia e della carità viene sempre più adempiuto per il fatto che ognuno, contribuendo al bene comune secondo le proprie capacità e le necessità degli altri, promuove e aiuta anche le istituzioni pubbliche e private che servono a cambiare in meglio le condizioni di vita degli uomini… Non pochi non hanno ritegno ad evadere con varie frodi e vari sotterfugi le giuste imposte o gli altri obblighi sociali. Altri trascurano certe norme della vita sociale, come per esempio quelle riguardanti la prevenzione delle malattie o le norme per la guida dei veicoli, non rendendosi conto che con questa incuria mettono in pericolo la vita propria e degli altri». [28]

77. Nel cercare di rispondere in maniera adeguata e pastorale alle sfide del mondo contemporaneo, intravediamo qui un campo d’apostolato vasto e rinnovato, che richiede soggetti pastorali debitamente preparati e attivi. Ci riferiamo, per esempio, alla espressione della sollecitudine pastorale per i camionisti, che trasportano merci su lunghe distanze, e per i conducenti di automobili e autobus, per i turisti in viaggio su strada e sui treni, per i responsabili della sicurezza del traffico, per gli addetti ai distributori di carburante e ai posti di ristoro, ecc.

78. Questo è anche un campo di nuova evangelizzazione, quella tanto auspicata da Papa Giovanni Paolo II. Da questo settore scaturisce una chiamata urgente a cercare nuovi cammini per portare il Vangelo sulle vie del mondo, anche su quelle del movimento stradale e ferroviario, nuovi areopaghi per l’annuncio della Buona Novella di Gesù Cristo Salvatore.

VII. Pastorale della Strada

79. Di fronte a questo urgente impegno evangelizzatore, nella società industrializzata e tecnicamente avanzata, senza dimenticare i Paesi in via di sviluppo, la Chiesa vuole suscitare una rinnovata presa di coscienza degli obblighi inerenti alla pastorale della strada e della responsabilità morale circa la trasgressione delle norme stradali, al fine di prevenire il più possibile le fatali conseguenze che ne derivano. Il Concilio Ecumenico Vaticano II chiede cosi ai Vescovi che abbiano «un particolare interessamento per i fedeli che per le loro condizioni di vita non possono usufruire a sufficienza dell’ordinario ministero comune dei parroci o ne sono del tutto privi». [29]

Evangelizzazione nell’ambiente della strada

80. L’evangelizzazione dell’ambiente della strada si propone a quest’ambito peculiare, facilitando ovunque la corsa del lieto annunzio e l’amministrazione dei sacramenti, la direzione spirituale, il counseling e la formazione religiosa degli automobilisti, dei trasportatori professionali, dei passeggeri e di coloro che sono in qualche modo legati alla strada e alla ferrovia.

Occorre uno sforzo comune che miri alla presa di coscienza delle esigenze etiche che derivano dal traffico; è necessario e opportuno assecondare le iniziative e gli impegni tesi a promuovere i valori etici e umani nella strada e nella ferrovia, affinché la mobilità sia fattore di comunione tra gli uomini.

Si deve diffondere nella società il messaggio evangelico d’amore applicato alla realtà stradale, rafforzando, in primo luogo, la consapevolezza degli obblighi morali che incombono su coloro che viaggiano, alimentando il senso di responsabilità, assicurando il rispetto delle leggi per evitare offese e danni a terzi.

81. Destinatari di questa pastorale sono tutti coloro che, in diversa misura, sono legati alla strada e alla ferrovia, e quindi non solo gli utenti, ma anche i professionisti, i lavoratori di questo settore. Tale pastorale vuole avvicinare gli uomini di oggi, nel proprio ambiente, per aiutarli a convivere in pace, ad esercitare reciproca solidarietà, e per unirli a Dio, contribuendo a far diventare tale settore più consono al messaggio cristiano e anche più umano.

Per ciò bisognerà riscoprire e mettere in pratica le virtù necessarie all’utente stradale, soprattutto la carità, la prudenza e la giustizia. In questo compito potranno essere di grande aiuto i mezzi di comunicazione, specialmente la radio, che fa buona compagnia ai viaggiatori.

Le Radio cattoliche dovranno avere un ruolo più attivo in questo campo, anche per mezzo di canzoni, di contenuto non superficiale, e sfruttando le loro possibilità di formazione personale.

82. Riguardo a tale pastorale specifica, esistono iniziative in diversi Paesi, alcune delle quali veramente creative, capaci di buoni risultati concreti. Pensiamo, ad esempio, alle cappelle (fisse o mobili) lungo le autostrade, alle Liturgie celebrate periodicamente nei grandi nodi stradali, in autogrill e nei parcheggi per autocarri. Ricordiamo i luoghi di vendita di oggetti religiosi o i centri di attenzione e d’informazione cristiana per viaggiatori e operatori, nelle stazioni ferroviarie e dei pullman, quelli di riunione, nelle parrocchie, sulle autostrade stesse, alla frontiera; attività dirette da sacerdoti e religiosi/e o anche da operatori pastorali laici.

Non dimentichiamo la sollecitudine di cura d’anime per i trasportatori e le loro famiglie, i club motociclistici, i "rallies" e altri appuntamenti simili, e ancora la benedizione dei veicoli, la «Giornata europea senza macchine», la celebrazione, nazionale o diocesana o parrocchiale, della Giornata dei feriti su strada, o del perdono, la collaborazione con la pastorale del turismo e dei pellegrinaggi, e in altri settori della mobilità, coi cappellani della polizia stradale, le scuole guida, e così via.

83. Un’adeguata risposta anche a queste sfide pastorali è certo affidata alla responsabilità delle Conferenze episcopali e alle corrispondenti strutture delle Chiese Orientali Cattoliche. Tale apostolato richiede un minimo di organizzazione, o almeno un punto di riferimento nazionale, diocesano/eparchiale o locale, che dia riferimenti istituzionali all’opera di questa incipiente pastorale specifica. Potrebbe essere opportuno nominare, per essa, un Promotore nazionale, e magari, per cominciare, qualche Delegato diocesano, affidando a un presbitero, anche se non a tempo pieno, o a un diacono, l’incarico di questa specifica animazione pastorale.

In ogni caso, essa richiede una coscienza ecclesiale più missionaria anche nelle strutture pastorali legate al territorio, capace di immaginare e realizzare una «pastorale in movimento», una pastorale anche della mobilità, in vista di una reale ed efficace pastorale d’insieme o integrata. In effetti «alla mobilità del mondo moderno deve corrispondere la mobilità della carità pastorale della Chiesa». [30] È auspicabile la realizzazione di incontri a vari livelli, fra operatori pastorali impegnati nello specifico apostolato della strada, per uno scambio di informazioni ed esperienze che aiuterà a cogliere frutti più abbondanti in questo campo di nuova evangelizzazione. [31]

84. La mobilità con i suoi problemi, vero segno dei tempi, caratteristica delle società contemporanee nel mondo intero, costituisce oggi una sfida importante e urgente per le Istituzioni, per le persone e anche per la Chiesa, che ha una missione a tale riguardo. I credenti nel Figlio di Dio fatto uomo per salvare l’umanità non possono restare inerti di fronte a questo nuovo orizzonte che si apre per l’evangelizzazione, per promuovere integralmente, nel nome di Gesù Cristo, tutto l’uomo e ogni uomo.

 

 

SECONDA PARTE:

PASTORALE PER LA LIBERAZIONE DELLE DONNE DI STRADA

 

85. L’approccio del «cliente» alle donne di strada è fatto dal suo veicolo, che viene usato anche come luogo del commercio sessuale. Una pastorale della strada deve prendere in esame pure queste situazioni, purtroppo ordinarie, e rivolgere grande sollecitudine verso chi «abita» la strada.

86. Incoraggia questo impegno pastorale il magistero di Papa Giovanni Paolo II, che denuncia lo sfruttamento delle donne: «Guardando poi a uno degli aspetti più delicati della situazione femminile nel mondo, come non ricordare la lunga e umiliante storia – per quanto spesso «sotterranea» – di soprusi perpetrati nei confronti delle donne nel campo della sessualità? Alle soglie del terzo millennio non possiamo restare impassibili e rassegnati di fronte a questo fenomeno. È ora di condannare con vigore, dando vita ad appropriati strumenti legislativi di difesa, le forme di violenza sessuale che non di rado hanno per oggetto le donne. In nome del rispetto della persona non possiamo altresì non denunciare la diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità, inducendo anche ragazze in giovanissima età a cadere nei circuiti della corruzione e a prestarsi alla mercificazione del loro corpo». [32]

87. Papa Benedetto XVI insegna che la prostituzione femminile può rientrare tra le forme del traffico di esseri umani con queste precise parole: «Il traffico di esseri umani – e soprattutto di donne – prospera dove le opportunità di migliorare la propria condizione di vita, o semplicemente di sopravvivere, sono scarse; diventa facile per i trafficanti offrire i propri "servizi" alle vittime, che spesso non sospettano neppure lontanamente ciò che dovranno poi affrontare. In taluni casi, vi sono donne e ragazze che sono destinate ad essere poi sfruttate sul lavoro, quasi come schiave, e non di rado anche nell’industria del sesso. Pur non potendo approfondire qui l’analisi delle conseguenze di una tale migrazione, faccio mia la condanna già espressa da Giovanni Paolo II contro la diffusa cultura edonistica e mercantile che promuove il sistematico sfruttamento della sessualità (Lettera alle donne, 29 giugno 1995, n. 5). V’è qui tutto un programma di redenzione e di liberazione, a cui i cristiani non possono sottrarsi». [33]

I. Alcuni punti fermi

La prostituzione è una forma di schiavitù

88. La prostituzione è una forma di schiavitù moderna che può colpire anche uomini e bambini. Si deve purtroppo osservare che il numero delle donne di strada è drammaticamente cresciuto nel mondo, per un insieme di ragioni complesse, anche economiche, sociali e culturali. È importante riconoscere, in primo luogo, che lo sfruttamento sessuale e la prostituzione legata al traffico di esseri umani sono atti di violenza, che costituiscono un’offesa alla dignità umana e una grave violazione dei diritti fondamentali.

89 Si deve inoltre considerare il fatto che le donne coinvolte nella prostituzione, in molti casi, hanno sperimentato violenze e abusi sessuali fin dall’infanzia. Inducono alla prostituzione la speranza di assicurare il sostentamento economico a sé stesse e alle proprie famiglie, la necessità di far fronte a debiti o la decisione di abbandonare situazioni di povertà nel Paese di origine, pensando che il lavoro offerto all’estero possa cambiare la vita. È chiaro che lo sfruttamento sessuale delle donne è una conseguenza di vari sistemi ingiusti.

90. Tante donne di strada, nel cosiddetto mondo sviluppato, provengono da Paesi poveri e, in Europa come altrove, molte sono vittime del traffico di esseri umani che risponde alla crescente domanda dei «consumatori» di sesso.

Migrazioni, traffico di esseri umani e diritti

91. Il legame tra migrazione, traffico di esseri umani e diritti è definito nel Protocollo delle Nazioni Unite per la prevenzione, la soppressione e la punizione del traffico di persone, specialmente di donne e bambini. [34]

Coloro che emigrano per far fronte alle necessità della vita e le vittime del traffico di esseri umani condividono molti aspetti di vulnerabilità, ma esistono anche rilevanti differenze tra migrazione, traffico e contrabbando di esseri umani. Le donne indebitate e senza lavoro, a causa di politiche di macro sviluppo, che emigrano per vivere e aiutare le proprie famiglie o comunità, sono in una situazione ben diversa dalle donne vittime del traffico di esseri umani.

92. Per una risposta pastorale efficace è importante conoscere i fattori che spingono o attraggono le donne alla prostituzione, le strategie usate da intermediari e sfruttatori per tenerle sotto il proprio dominio, le piste di movimento dai paesi di origine a quelli di destinazione e le risorse istituzionali per affrontare il problema. La comunità internazionale e molte Organizzazioni non governative stanno progressivamente aumentando le iniziative atte ad affrontare le attività criminali e a proteggere le persone vittime del traffico di esseri umani, sviluppando un’ampia gamma di interventi per prevenire tale fenomeno e riabilitare a livello di integrazione sociale le sue vittime.

Chi è la vittima della prostituzione?

93. Vittima della prostituzione è un essere umano, che in molti casi «grida» per ricevere aiuto, per essere liberato dalla sua schiavitù, poiché vendere il proprio corpo sulla strada non è, in genere, ciò che si sceglierebbe volontariamente di fare. Certo, ogni persona ha una storia diversa, ma tutte le storie individuali sono accomunate dalla violenza, dall’abuso, dalla sfiducia e poca stima di sé, dalla paura e dalla mancanza di opportunità. Ognuna porta profonde ferite che è necessario curare, mentre cerca relazioni, amore, sicurezza, affetto, affermazione di sé, un futuro migliore, anche per la propria famiglia.

Chi è il «cliente»?

94. Anche il cliente è una persona che ha problemi ben radicati poiché, in un certo senso, è anche schiavo, nei suoi oltre 40 anni (è questa l’età della maggioranza dei «clienti»). Tuttavia, fra loro, crescente è il numero dei giovani tra i 16 e i 24 anni. In crescita è pure il numero di uomini che cercano le prostitute più per dominarle che per soddisfazione sessuale. Si tratta di soggetti che, nelle relazioni sociali e personali, sperimentano una perdita di potere e di «mascolinità» e non riescono a sviluppare relazioni di reciprocità e di rispetto. Tali uomini cercano le prostitute per un’esperienza di totale dominio e controllo su una donna anche solo per un breve periodo di tempo.

95. Il «cliente» va aiutato a risolvere i suoi problemi più intimi e a trovare modalità consone a indirizzare le sue tendenze sessuali. «Comprare sesso» non risolve i problemi che sorgono soprattutto dalle frustrazioni, dalla mancanza di relazioni autentiche, dalla solitudine che caratterizza, oggi, tante situazioni di vita. Un provvedimento efficace in direzione di un cambiamento culturale rispetto al commercio sessuale potrebbe derivare dall’associare il codice penale alla condanna sociale.

96. La relazione tra uomo e donna, in moltissimi casi, non è una relazione tra pari, poiché la violenza, o la minaccia di essa, dà all’uomo privilegi e potere che possono rendere le donne silenziose e passive. Esse, e i bambini, sono spesso spinti sulla strada, o attirati da essa, a causa della violenza che soffrono da parte di maschi presenti in casa, i quali, a loro volta, hanno «interiorizzato» modelli di violenza legati alle ideologie cristallizzate nelle strutture sociali. È particolarmente triste prendere atto della partecipazione di donne all’oppressione e alla violenza fatta ad altre donne all’interno di reti criminali collegate alla prostituzione.

II. Compito della Chiesa

Promuovere la dignità della persona

97. La Chiesa ha la responsabilità pastorale di difendere e di promuovere la dignità umana delle persone sfruttate a causa della prostituzione e di perorare la loro liberazione, dando pure, a tal fine, un sostegno economico, educativo e formativo.

98. Per rispondere a queste necessità pastorali, la Chiesa denuncia le ingiustizie e le violenze perpetrate contro le donne di strada e invita gli uomini e le donne di buona volontà a profondere il loro impegno per sostenere la loro dignità umana, ponendo termine allo sfruttamento sessuale.

Nella solidarietà e nell’annuncio della Buona Novella

99. C’è bisogno di una rinnovata solidarietà nelle comunità cristiane e tra le congregazioni religiose, i movimenti ecclesiali, le nuove comunità, le istituzioni e associazioni cattoliche, al fine di dare maggiore attenzione e «visibilità» alla cura pastorale delle donne sfruttate a causa della prostituzione, una cura al cui centro sta l’annuncio esplicito della Buona Novella della liberazione integrale in Gesù Cristo, cioè della salvezza cristiana.

100. Nel prendersi cura delle necessità delle donne nel corso dei secoli, le congregazioni religiose, specialmente quelle femminili, prestarono sempre attenzione ai segni dei tempi, riscoprendo il valore e la rilevanza dei loro carismi in nuovi contesti sociali. Le religiose nel mondo, in fedele meditazione della Parola di Dio e della dottrina sociale della Chiesa, cercano oggi nuove modalità di testimonianza in favore della dignità femminile.

Esse offrono anche alle donne di strada un’ampia gamma di servizi di soccorso, in centri di accoglienza, alloggi e case sicure, realizzando programmi di formazione e di educazione. Gli ordini contemplativi mostrano la loro solidarietà dando sostegno con la preghiera e, quando possibile, con l’assistenza economica.

101. Programmi specifici di formazione per operatori pastorali sono necessari per sviluppare competenze e strategie al fine di combattere la prostituzione e il traffico di esseri umani. Tali programmi sono realizzazioni importanti, perché impegnano sacerdoti, religiosi/e e laici nella prevenzione dei fenomeni considerati e nella reintegrazione sociale delle vittime. La collaborazione e la comunicazione tra Chiese di origine e di destinazione sono essenziali. [35]

Approccio pluridimensionale

102. Per realizzare l’azione ecclesiale di liberazione delle donne di strada è necessario un approccio pluridimensionale. Esso deve coinvolgere tanto gli uomini quanto le donne e porre i diritti umani al centro di ogni strategia.

103. Gli uomini hanno un importante compito da svolgere nell’opera tesa al raggiungimento dell’uguaglianza dei sessi, in un contesto di reciprocità e di giuste differenze. Gli sfruttatori (generalmente i «clienti» sono uomini, trafficanti, turisti del sesso, ecc.) hanno bisogno di essere illuminati sulla gerarchia dei valori della vita e sui diritti umani. Essi devono anche considerare la chiara condanna della Chiesa per il loro peccato e per l’ingiustizia che commettono. Ciò vale anche per il commercio omosessuale e transessuale.

104. Le Conferenze episcopali e le corrispondenti Strutture delle Chiese Orientali Cattoliche, nei Paesi con diffusa prostituzione, conseguenza di traffico umano, dovranno denunciare questa piaga sociale. È necessario anche promuovere rispetto, comprensione, compassione e un atteggiamento di astensione dal giudizio – nel giusto senso – verso le donne cadute nella rete della prostituzione.

Vescovi, sacerdoti e operatori pastorali vanno incoraggiati ad affrontare questa schiavitù dal punto di vista pastorale, nel ministero ecclesiale. Le congregazioni religiose cercheranno di puntare sulla potenza delle loro istituzioni e di unire le forze per informare, educare ed agire.

105. Tutte le iniziative pastorali porranno l’accento sui valori cristiani, sul rispetto reciproco, su sane relazioni familiari e comunitarie e, inoltre, sulla necessità di equilibrio e di armonia nelle relazioni interpersonali tra uomini e donne.

È urgente poi che i vari progetti, promossi al fine di aiutare il rimpatrio e la reintegrazione sociale delle donne prigioniere della prostituzione, ricevano anche adeguato sostegno finanziario. Si raccomandano incontri di associazioni religiose che operano in diverse parti del mondo con tali finalità di assistenza e di liberazione.

Per quanto riguarda i «clienti», il coinvolgimento e il sostegno del clero sono determinanti sia per la formazione dei giovani, soprattutto uomini, sia per la complessa azione di vicinanza umana e, insieme, di formazione e di guida spirituale.

106. La cooperazione tra organismi pubblici e privati per arrivare all’eliminazione dello sfruttamento sessuale occorre che sia piena.

È anche necessario collaborare con i mezzi di comunicazione sociale per assicurare una corretta informazione su questo gravissimo problema. La Chiesa auspica la presentazione e l’applicazione di leggi che proteggano le donne dalla piaga della prostituzione e del traffico di esseri umani. è altresì importante adoperarsi per arrivare a misure efficaci contro avvilenti rappresentazioni della donna nella pubblicità.

Le comunità cristiane, infine, saranno stimolate a collaborare con le autorità nazionali e locali per aiutare le donne di strada a trovare risorse alternative per vivere.

III. Recupero di donne e «clienti»

107. Dai rapporti pastorali con le vittime risulta evidente che la loro «cura» è lunga e difficile. Le donne di strada hanno bisogno di essere aiutate a trovare casa, un ambiente familiare e una comunità in cui si sentano accettate e amate, dove possano cominciare a ricostruirsi una vita e un futuro. Ciò le metterà in grado di riacquistare stima e fiducia in se stesse, gioia di vivere e di ricominciare una nuova esistenza senza sentirsi segnate a dito.

Liberazione e reintegrazione sociale delle donne di strada richiedono accettazione e comprensione da parte delle comunità; il cammino di «guarigione» di queste donne sarà spianato da un amore genuino e dall’offerta di varie opportunità atte a soddisfare il loro bisogno di sicurezza, di affermazione di vita migliore. Il tesoro della fede (cfr. Mt 6,21), se è ancora viva in esse, nonostante tutto, o la sua scoperta, le aiuterà immensamente, perché potente nel bene è la certezza dell’amore di Dio, misericordioso e grande nell’amore.

108. I potenziali «clienti», invece, hanno bisogno di essere illuminati per quanto riguarda il rispetto e la dignità della donna, i valori interpersonali e l’intera sfera delle relazioni e della sessualità. In una società in cui denaro e «benessere» sono gli ideali, relazioni adeguate ed educazione sessuale risultano necessarie per la formazione completa delle persone.

Tale tipo di educazione deve illustrare la vera natura di relazioni interpersonali basate non sull’interesse egoistico o sullo sfruttamento, ma sulla dignità della persona da rispettare e apprezzare anzitutto quale immagine di Dio (cfr. Gen 1,27). In questo contesto, ai credenti va ricordato che il peccato è un’offesa al Signore, da evitare con tutte le proprie forze e con l’affidamento fiducioso di sé all’azione della Grazia divina.

Educazione e ricerca

109. È importante accostarsi al problema della prostituzione con una visione cristiana della vita. Lo si farà con i gruppi giovanili nelle scuole, nelle parrocchie e nelle famiglie, al fine di sviluppare giudizi corretti a proposito delle relazioni umane e cristiane, del rispetto, della dignità, dei diritti umani e della sessualità.

I formatori e gli educatori dovranno tener conto del contesto culturale in cui operano, ma non permetteranno che un inopportuno senso di imbarazzo impedisca loro di impegnarsi in un appropriato dialogo su questi argomenti, al fine di creare consapevolezza e infondere giusta preoccupazione riguardo all’abuso della sessualità.

110. La causa della violenza in famiglia ed il suo effetto sulle donne sono da considerare e studiare a ogni livello della società, particolarmente riguardo al loro impatto sulla vita familiare. Le conseguenze pratiche della violenza «interiorizzata» dovranno essere chiaramente identificate, sia per gli uomini che per le donne.

111. Educazione e crescita di consapevolezza sono requisiti essenziali per affrontare l’ingiustizia nella relazione uomo-donna e creare l’eguaglianza fra di loro, in un contesto di reciprocità, tenendo conto delle giuste differenze. Sia gli uomini che le donne hanno bisogno di diventare coscienti del fenomeno dello sfruttamento sessuale e di conoscere i propri diritti e le relative responsabilità.

Agli uomini, in particolare, è necessario proporre iniziative che affrontino le problematiche della violenza contro le donne, della sessualità, dell’HIV/AIDS, della paternità e della famiglia, ponendole in relazione con il rispetto e la carità verso le donne e le ragazze, nel quadro della reciprocità di relazioni, in un esame che includa una giusta critica di costumi tradizionali legati alla mascolinità.

La dottrina sociale cattolica

112. La Chiesa insegna e diffonde la sua dottrina sociale, che offre chiare linee di comportamento e invita a lottare per la giustizia. [36] Impegnarsi a vari livelli – locale, nazionale e internazionale – per la liberazione delle donne di strada è un atto di vero discepolato verso il Signore Gesù, un’espressione di autentico amore cristiano (cfr. 1 Cor 13,3). È essenziale sviluppare la coscienza cristiana e sociale delle persone con la predicazione del Vangelo della salvezza, l’insegnamento catechetico e varie iniziative formative.

La formazione particolare destinata a seminaristi, giovani religiosi/e e sacerdoti è altresì necessaria affinché possano avere capacità e atteggiamenti appropriati per essere, con vero amore, pastori anche delle donne prigioniere della prostituzione e dei loro «clienti».

IV. Liberazione e redenzione

Prestazione di soccorso ed evangelizzazione

113. Per quanto riguarda la prestazione di soccorso, la Chiesa può offrirne un’ampia varietà alle vittime della prostituzione, cioè alloggi, punti di riferimento, assistenza medica e legale, consultori, formazione vocazionale, educazione, riabilitazione, difesa e campagne d’informazione, protezione dalle minacce, collegamenti con la famiglia, assistenza per il ritorno volontario e reintegrazione nel Paese di origine, aiuto nell’ottenere il visto per rimanere, quando il ritorno in Patria si rivela impossibile.

Prima, e oltre i servizi indicati, l’incontro con Gesù Cristo, Buon Samaritano e Salvatore, è il fattore decisivo di liberazione e redenzione, anche per le vittime della prostituzione (cfr. Mc 16,16; At 2,21; 4,12; Rm 10,9; Fil 2,11 e 1 Ts 1,9-10).

114. Accostare, per redimere, donne e ragazze di strada è un’impresa complessa ed esigente, che implica anche attività finalizzate alla prevenzione e alla crescita della consapevolezza del problema nei Paesi di origine, di transito e di destinazione di chi è vittima del traffico.

115. Iniziative di reintegrazione sono indispensabili nei Paesi di origine, per le donne che vi ritornano. Sono anche importanti la difesa e l’informazione, così come una «rete di collegamento». Occorre rafforzare quella di chi è impegnato nella pastorale in questo campo, cioè i volontari, le associazioni e i movimenti, le congregazioni religiose, le diocesi, le organizzazioni non governative (ong), i gruppi ecumenici e inter-religiosi, ecc.

Le Conferenze nazionali di religiosi/e sono incoraggiate a scegliere, in questo settore pastorale, una persona che funga da elemento di collegamento della «rete» operante all’interno e all’esterno del proprio Paese.

 

 

TERZA PARTE:

PASTORALE PER I RAGAZZI DI STRADA

 

116. Vogliamo qui ricordare le seguenti parole di Papa Giovanni Paolo II: «diamo ai bambini un futuro di pace! Ecco l’appello che rivolgo fiducioso agli uomini ed alle donne di buona volontà, invitando ciascuno ad aiutare i bambini a crescere in un clima di autentica pace. È un loro diritto, è un nostro dovere…Vi sono in alcuni Paesi bambini costretti a lavorare in tenera età, maltrattati, puniti violentemente, retribuiti con un compenso irrisorio: poiché non hanno modo di farsi valere, sono i più facili da ricattare e sfruttare». [37] In un telegramma al Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la Santa Sede aggiunse: «Nessuno può rimanere indifferente di fronte alle sofferenze di tanti bambini che diventano vittime di un’intollerabile sfruttamento e violenza, non proprio come risultato del male perpetrato da parte degli individui, ma spesso come una diretta conseguenza di corrotte strutture sociali». [38]

117. L’Organizzazione delle Nazioni Unite ha solennemente affermato che «occorre preparare appieno il fanciullo ad avere una vita individuale nella società, ed allevarlo nello spirito degli ideali proclamati nello Statuto delle Nazione Unite e in particolare nello spirito di pace, di dignità, di tolleranza, di libertà e di solidarietà». [39]

Orbene il Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti rivolge la sua sollecitudine pastorale anche ai piccoli abitanti della strada, ragazzi e ragazze.

I. Il fenomeno, le cause e possibili interventi

Il fenomeno

118. I ragazzi di strada costituiscono una delle sfide più impegnative e inquietanti del nostro secolo, sia per la Chiesa sia per la società civile. Si tratta di un fenomeno di insospettata ampiezza: un popolo, quasi ovunque in crescita, che già conta circa 100 milioni di ragazzi. è una vera e propria emergenza sociale, oltre che pastorale.

119. Le pubbliche istituzioni, anche quando manifestano chiara consapevolezza della gravità del fenomeno, non si mobilitano adeguatamente per efficaci interventi di prevenzione e di recupero. Nella stessa società civile l’atteggiamento prevalente è quello dell’allarme sociale che scatta di fronte a una possibile minaccia all’ordine pubblico. Circa il problema, stentano ad emergere atteggiamenti umanitari, solidali, e anche cristiani; di conseguenza è ancor più assente una pastorale specifica.

120. i ragazzi di strada, in senso stretto, risultano privi di legame con il loro nucleo familiare di origine, essi cioè hanno fatto della strada la loro abitazione, dove anche dormono, in una vasta gamma di situazioni. c’è chi ha sofferto l’esperienza traumatizzante di una famiglia che si è sfaldata, ed è rimasto solo, o è fuggito di casa perché troppo trascurato o maltrattato.

Vi sono poi coloro che rifiutano la casa, o da essa sono cacciati perché compromessi con forme di devianza (droga, alcool, furti ed espedienti vari per sopravvivere), e quanti sono indotti con promesse, seduzione o violenza, da parte di adulti o di cosche malavitose, a stare sulla strada.

Ciò avviene spesso per giovani straniere costrette a prostituirsi o per minori esteri non accompagnati, costretti all’accattonaggio o anche alla prostituzione. Questi ragazzi hanno spesso a che fare con le forze dell’ordine e sovente sperimentano il carcere.

121. Diversa è la situazione dei «ragazzi nella strada», di coloro che trascorrono gran parte del loro tempo in strada, anche se non sono privi di «casa» e di un legame con la famiglia originaria. Essi preferiscono vivere alla giornata, con scarso o nessun senso di responsabilità per la formazione e il futuro, in aggregazioni poco raccomandabili, abitualmente fuori della famiglia, anche se in essa possono ancora trovare un giaciglio per dormire. Il loro numero è comunque preoccupante anche nei Paesi sviluppati.

Le cause del fenomeno

122. Numerose sono le cause alla base di questo fenomeno sociale di dimensioni sempre più allarmanti; tra le principali: una crescente disgregazione delle famiglie; situazioni di tensione fra genitori; comportamenti aggressivi, violenti, e talora perversi, nei confronti dei figli; l’emigrazione, con quanto essa comporta di sradicamento dal contesto abituale di vita e conseguente disorientamento; condizioni di povertà e di miseria che mortificano la dignità e privano dell’indispensabile per sopravvivere; il dilagare della tossicodipendenza e dell’alcolismo; la prostituzione e l’industria del sesso, che continua a mietere un numero impressionante di vittime, indotte spesso con violenze allucinanti alla più feroce delle schiavitù.

Tra le cause del fenomeno considerato ci sono poi le guerre e i disordini sociali che sconvolgono, anche per i minori, la normalità della vita e non va sottovalutato il diffondersi, soprattutto in Europa, di una «cultura dello sballo e della trasgressione» in ambienti segnati dalla mancanza di valori di riferimento, in cui la solitudine e un senso sempre più profondo di vuoto esistenziale caratterizzano il mondo giovanile in generale.

Gli interventi e i loro obiettivi

123. Quanto più si presenta allarmante l’entità del fenomeno e carente la presenza effettiva dei pubblici poteri, tanto più è apprezzabile e prezioso l’intervento del privato sociale e del volontariato. Attivo ed efficiente risulta l’associazionismo di area ecclesiale e di ispirazione cristiana, con i suoi nuovi movimenti e comunità, ma esso è purtroppo inadeguato di fronte alla ampiezza dei bisogni e, per lo più, sganciato da un progetto pastorale organico.

È necessario che le Diocesi e le Conferenze episcopali e le corrispondenti Strutture delle Chiese Orientali Cattoliche affrontino pastoralmente questo problema, considerando sia la prevenzione sia il recupero dei ragazzi.

124. Nella varietà delle iniziative concrete, a tale riguardo, si riscontra una sostanziale concordanza di obiettivi, vale a dire il recupero del ragazzo di strada a una normalità di vita, che comporta il suo reinserimento nella società, ma soprattutto in un ambiente di famiglia, possibilmente in quella di origine, oppure in un’altra, e, nel caso in cui ciò sia impossibile, in strutture comunitarie, ma sempre di tipo familiare.

L’impegno prioritario è quello di mettere il ragazzo in condizione di aver fiducia in sé stesso, facendogli guadagnare autostima, senso della sua dignità e una conseguente consapevolezza della propria responsabilità personale, affinché possa nascere in lui un autentico desiderio di riprendere un curriculum scolastico e di prepararsi professionalmente ad un inserimento, anche lavorativo, nella società, così da poter sviluppare dignitosi e gratificanti progetti di vita, contando sulle sue forze e non in una condizione di esclusiva dipendenza da altri.

125. Molto diversificate sono le tipologie di intervento, quali il cosiddetto impegno in strada, che prevede il contatto con i ragazzi nei loro luoghi di aggregazione, al fine di stabilire un rapporto empatico e di fiducia che consenta loro un’apertura verso gli educatori e i centri diurni organizzati per la promozione di condizioni essenziali affinché i ragazzi possano vivere con dignità.

Vi sono anche iniziative di sostegno per il soddisfacimento dei loro bisogni primari: mensa, guardaroba, assistenza socio-sanitaria e strutture educative e formative, cioè asili, scuole e corsi di formazione professionale. Si organizzano inoltre centri di accoglienza residenziale, dove essi ricevono anche istruzione e formazione, ma soprattutto si fa leva sull’accompagnamento umano, con il supporto anche delle discipline psico-pedagogiche.

126. Nell’ambito delle attività volte al reinserimento dei ragazzi nel nucleo originario di appartenenza o in nuove comunità di adozione, in certi casi si realizzano percorsi di accompagnamento spirituale, basati sul Vangelo.

Non dimentichiamo infine l’attività, a più ampio raggio, che raggiunge la società civile ed ecclesiale, non semplicemente per informare, ma per sensibilizzare e coinvolgere soprattutto nell’opera di prevenzione del fenomeno e di sostegno dei ragazzi restituiti al loro ambiente naturale, e i corsi di formazione e di aggiornamento per operatori e volontari, che mirano a garantire seria professionalità.

II. Questioni di metodo

La pluridimensionalità

127. Quanto al metodo, l’obiettivo fondamentale è l’integrazione dei vari interventi: il lavoro in équipe di tutti gli operatori, il parallelo impegno di sostegno ai genitori, se rintracciabili e recuperabili alla collaborazione, il reinserimento dei ragazzi nella scuola o nella formazione professionale, la costruzione e l’allargamento di reti di amicizia, anche al di fuori delle strutture di accoglienza, le attività ludiche e sportive e a quanto stimola il ragazzo ad assumere ruoli attivi di responsabilità e creativi.

128. L’impegno con i ragazzi di strada, non risulta certo facile, talora anzi sembra inconcludente e frustrante e può nascere la tentazione di cedere e ritirarsi. In questi casi, bisogna ancorarsi alle motivazioni di fondo che hanno spinto a dedicarsi a quest’opera benemerita. Per il credente, si tratta in primo luogo di motivazioni di fede.

È comunque utile focalizzare l’attenzione su chi fa una esperienza decisamente positiva, verso chi sostiene giustamente che il lavoro ha risultati soddisfacenti in molti, talora nella maggioranza dei casi. Con prudenza e pazienza si deve attendere la conferma del tempo, verificando, ad esempio dopo cinque anni, la «tenuta» del recupero e della normalizzazione del soggetto. È possibile una ricaduta, un ritorno alla strada, ma può anche succedere che il ragazzo refrattario, in un primo momento, all’opera degli educatori, si apra più tardi al cammino di recupero e ai valori che gli erano stati in precedenza proposti senza risultato.

III. Compito di evangelizzazione e promozione umana

Una pastorale specifica

129. Risulta con evidenza la necessità di una maggiore presa di coscienza della gravità del fenomeno qui analizzato e di un più sistematico impegno per affrontarlo, anche in ambito ecclesiale. A questo livello gli interventi di carattere umanitario in favore dei ragazzi di strada dovrebbero essere accompagnati dal generale, primario compito di evangelizzazione; è dunque auspicabile l’elaborazione di una pastorale specifica caratterizzata dalla proposta di nuove strategie e modalità finalizzate a porre in contatto questi ragazzi con la forza liberatrice e sanante di Gesù, amico, fratello e maestro. Una qualificata pastorale di prima o nuova evangelizzazione è necessaria e insostituibile per recuperare e valorizzare la dimensione religiosa, fondamentale in tutte le persone.

130. All’educatore, all’operatore pastorale, si presenta a tale riguardo una duplice via e modalità di intervento, quella cioè che punta direttamente sulla proposta religiosa specificamente evangelica, affinché il ragazzo, una volta entrato in quest’area di fede e di valori umani, possa liberarsi dai condizionamenti e superare i dissesti che l’hanno portato sulla strada, oppure quella del recupero umano del ragazzo fino a restituirgli equilibrio e normalità, piena identità umana.

Si accompagna questa paziente opera anche con proposte e riferimenti religiosi, nella misura in cui ciò sia compatibile con la condizione del ragazzo stesso e del Paese in cui egli si trova. Tali itinerari certo non vanno posti in contrapposizione, perché entrambi possono rivelarsi efficaci.

131. La proposta religiosa rimane fondamentale nel quadro complessivo dell’intervento di recupero. Il problema che accomuna gran parte del «popolo della strada» non è soltanto la miseria o la tossicodipendenza, l’alcolismo o la devianza, la violenza o la criminalità, l’Aids o la prostituzione, quanto piuttosto il terribile male della «morte dell’anima». Si tratta troppo spesso di persone che, anche se nel pieno della giovinezza, sono «morte dentro».

Una pastorale dell’incontro, una nuova evangelizzazione

132. è dunque necessario accogliere il pressante invito, che risuonò spesso durante il pontificato di Giovanni Paolo II, ad una nuova evangelizzazione. Solo l’incontro con Cristo Risorto può ridonare la gioia della risurrezione a chi è nella morte. Solo l’incontro con Colui che è venuto a fasciare le piaghe dei cuori trafitti (cfr. is 61,1-2; Lc 4,18-19) può operare una profonda guarigione delle devastanti ferite di esseri traumatizzati e impietriti dalle troppe frustrazioni e violenze subite.

133. è importante passare dalla pastorale dell’attesa alla pastorale dell’incontro, dell’accoglienza, agendo con fantasia, creatività e coraggio, per raggiungere i ragazzi nei loro nuovi luoghi di aggregazione, nelle strade, nelle piazze, come pure – allargando la prospettiva – nei vari locali, nelle discoteche e nelle zone più «calde» delle nostre metropoli. Bisogna andare loro incontro con amore per portare il Lieto Annunzio e testimoniare con la propria esperienza di vita che Cristo è Via, Verità e Vita.

134. è indispensabile dare testimonianza della luce di Cristo, che illumina e apre nuove vie a chi si sente immerso nelle tenebre. È urgente risvegliare nella comunità cristiana la vocazione al servizio e alla missione, in una crescente e sentita consapevolezza del potere salvifico della fede e dei sacramenti. Troppi ragazzi continuano infatti a morire sulle strade, nell’indifferenza di molti.

Non accogliere con grande impegno l’accorato invito alla nuova evangelizzazione è un vero e proprio peccato di omissione. È perciò importante contemplare, nei progetti pastorali, i più svariati interventi che portino il primo annuncio ai «lontani», che diano la possibilità anche ai ragazzi di strada di scoprire che esiste qualcuno che li ama e di essere accompagnati nella ricerca di un nuovo rapporto con se stessi, con gli altri, con Dio, con la comunità di appartenenza o di adozione.

IV. Alcune proposte concrete

135. Esperienze già collaudate suggeriscono come auspicabili:

- la creazione di comunità e gruppi (parrocchiali e non) nei quali i giovani abbiano la possibilità di conoscere e vivere il Vangelo con radicalità, sperimentandone in prima persona la potenza risanatrice;

- l’istituzione nelle parrocchie e nelle varie realtà ecclesiali di scuole di preghiera che diano un nuovo impulso alla dimensione contemplativa e missionaria dei differenti gruppi;

- la formazione di équipe di evangelizzazione capaci di testimoniare con entusiasmo la meravigliosa Notizia che Cristo è venuto a portarci, nonché di ragazzi «missionari» che portino l’abbraccio di Cristo Risorto ai loro coetanei e ai «nuovi poveri» o schiavi nel nostro mondo;

- la formazione, nelle diocesi/eparchie di giovani sempre più preparati professionalmente che sappiano far confluire i loro talenti artistici e musicali nella creazione di nuovi spettacoli connotati da contenuti evangelici;

- la creazione di centri di formazione per l’evangelizzazione di strada;

- la costituzione di luoghi alternativi di aggregazione giovanile, che offrano proposte dense di valori e di significato;

- la costituzione di centri d’ascolto e l’elaborazione di iniziative di prevenzione e di evangelizzazione nelle scuole;

- un impegno per utilizzare i mass-media come preziosi strumenti per «gridare sui tetti» il Vangelo (cfr. Mt 10,27);

- la costituzione di nuove comunità e gruppi di accoglienza che accompagnino i ragazzi in un lungo e impegnativo cammino di guarigione interiore, basato sul Vangelo, con quell’amore che Cristo ci ha insegnato, un amore che non si accontenta di «fare la carità», ma si fa carico del grido, dell’angoscia, delle ferite, della morte, dei piccoli e dei poveri, un amore pronto a dare la vita per i propri amici.

V. Icone dell’educatore

Gesù Buon Pastore e i discepoli di Emmaus

136. Anche l’educatore, il quale non parta da una esplicita e forte proposta religiosa, può vivere un atteggiamento interiore ispirato al Vangelo, bene espresso da una triplice icona evangelica. Anzitutto quella di Gesù di fronte all’adultera (cfr. Lc 7,36-50; Gv 8,3-11): il maestro è rispettoso e affettuoso, non giudica, non condanna la persona, ma l’incoraggia col suo stesso atteggiamento a cambiare vita.

La seconda icona, quella del Buon Pastore (cfr. Mt 18,12-14; Lc 15,4-7)) che va alla ricerca della pecora smarrita (tanto più se si tratta di un agnellino), invita a non attendere, e tanto meno a pretendere, che sia la pecorella a ritrovare la strada dell’ovile. queste sono quindi le tappe obbligate, auspicate, per una pastorale dei ragazzi di strada: osservare, ascoltare, comprendere dal di dentro questo mondo che è tanto misterioso (il Buon Pastore conosce le sue pecore); prendere l’iniziativa dell’incontro, andare per strada, così che il ragazzo percepisca che ci si trova a proprio agio anche là dove egli ha scelto di stare, o vi è costretto (il Pastore lascia l’ovile e va); tessere con lui un rapporto spontaneo, caldo di affetto e di interesse, di amicizia autentica che non è necessario declamare con tante parole perché traspare da ogni gesto (il Pastore porta la pecora sulle spalle e fa festa con gli amici quando l’ha ritrovata).

La terza icona è quella dei discepoli di Emmaus (cfr. Lc 24,13-35): essi aprono finalmente gli occhi di fronte al Cristo risorto e alla prospettiva della risurrezione, dopo aver fatto un certo percorso, durante il quale non sono gli occhi, ma è il cuore, reso ardente, ad aprirsi alla Novità evangelica.

Un unico traguardo finale

137. È evidente che con questo atteggiamento interiore il secondo percorso educativo sopra descritto (v. n. 130) ha molto in comune col primo e soprattutto unica è la meta finale. I due percorsi hanno in comune anche il metodo, in questi suoi aspetti fondamentali:

- Suscitare fiducia e autostima, così che il ragazzo comprenda e sperimenti che egli è importante per l’educatore e l’educatore è importante per lui. è un punto di partenza indispensabile affinché il ragazzo in difficoltà possa fare con convinzione e decisione i primi passi verso un’altra scelta di vita. Bisogna accompagnarlo nella scoperta dell’Amore di Dio attraverso l’esperienza concreta del sentirsi accolto, accettato incondizionatamente e amato personalmente per ciò che è. Questo contatto a tu per tu va proseguito anche in seguito, dopo che il ragazzo è passato magari sotto la cura di altri educatori o ha lasciato la struttura di accoglienza.

- Dare spazio all’educando affinché abbia un suo ruolo attivo nella comunità, suscitare il suo senso di responsabilità e di libertà, così che in comunità si senta a casa sua. Ciò domanda che nella «casa» continuino a predominare il calore, la spontaneità, la vicinanza amichevole più che l’ordine, la disciplina e una norma scritta.

- Coltivare il rapporto personale con ogni ragazzo. Per quanto siano utili metodologie e regole generali, ognuno è un caso a sé, è un mondo originale, ed ha la sua storia. Tanti ragazzi hanno mostrato intelligenza ed energia nel sopravvivere a situazioni molto difficili; si sono rivelati abili, creativi, furbi. Ebbene si dovrà continuare a far leva su queste risorse, più o meno manifeste della loro personalità, per orientarli a «cambiare strada», per farli diventare essi stessi soggetto e non solo oggetto di pastorale per il loro recupero. I programmi pedagogico-educativi hanno l’importante compito di portare i ragazzi a riscoprire e a valorizzare il proprio potenziale positivo, a mettere a frutto i talenti e a sviluppare il più possibile le proprie capacità.

- Aver di mira il fine che il ragazzo faccia proprio e interiorizzi in profondità il progetto educativo a tal punto da diventare, magari dopo qualche anno, aiuto e stimolo per altri ragazzi di strada a fare il suo medesimo percorso. Egli così si affianca al suo educatore, trasformandosi egli stesso in soggetto di questa pastorale specifica.

- Riconoscere nell’impegno a favore dei ragazzi di strada una via privilegiata di servizio al Signore e di incontro con Lui. Egli infatti dice: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

VI. Gli operatori pastorali

Preparazione

138. è chiaro che il meglio delle risorse impegnate in questo campo deve tendere a preparare professionalmente e spiritualmente gli operatori pastorali, che devono avere una grande maturità umana, essere capaci di rinunciare al successo immediato e di nutrire fiducia nel fatto che il frutto del loro impegno potrà rivelarsi anche in seguito, magari dopo periodi in cui pare che tutto sia perduto. Essi devono avere grande capacità di agire in sintonia e collaborazione con gli altri educatori.

Insieme per un impegno comune

139. È da prevedere, se possibile, un impegno con la famiglia d’origine, che incida positivamente sulle dinamiche familiari e sia volto al sostegno, alla ricostruzione del tessuto familiare e al graduale accompagnamento e reinserimento del ragazzo nel nucleo di appartenenza.

140. Va perseguito un lavoro d’insieme non soltanto al di dentro delle proprie strutture, educative e pastorali, ma pure con quanti, sul territorio, sono impegnati nel medesimo servizio, o comunque vi sono interessati.

Sarà dunque da ricercare e da accogliere la collaborazione con altre forze, anche non di matrice ecclesiale, ma di autentica sensibilità umana, e con gli enti pubblici, pure quando non si può o non si intende, per scelta, fare affidamento su loro finanziamenti.

141. Si presterà tuttavia molta attenzione affinché gli interventi di supplenza dell’associazionismo e del volontariato non creino, in chi dovrebbe intervenire, la mentalità e il pretesto per il disimpegno. Anche da parte della Chiesa, quando sia necessario, alla funzione di proposta e di stimolo va congiunta quella della critica costruttiva e della denuncia profetica di situazioni ingiuste ed inumane.

«In rete» e con un minimo di struttura pastorale

142. Si dovrà inoltre cercare di «mettere in rete» quanto già esiste su un certo territorio per uno scambio di buone esperienze e anche per un eventuale sostegno, da parte di chi ha già una lunga pratica, nei confronti di quanti sono ancora agli inizi.

143. I ragazzi di strada risultano essere un riflesso della società in cui vivono. Gli operatori devono aiutare la società a prendere coscienza di questa responsabilità, e alimentare in essa un certo senso di sana inquietudine nei confronti di questi ragazzi. La medesima attenzione devono avere la Chiesa locale e le comunità cristiane.

144. Sarà di grande utilità, per questa mobilitazione a favore dei ragazzi di strada, la creazione, presso le Conferenze episcopali e le corrispondenti strutture delle Chiese Orientale Cattoliche, e/o le stesse diocesi/eparchie maggiormente interessate al problema, di uno speciale ufficio (o di una sezione in uno già esistente, quello ad esempio della pastorale della mobilità umana, o della strada), in collegamento con l’impegno apostolico giovanile o familiare.

È altresì auspicabile che siano inserite nei progetti pastorali generali proposte organiche, incisive e con continuità d’azione, che pongano una sollecitudine particolare alla «pastorale della strada» per la quale gli operatori specifici devono aprire le comunità parrocchiali ed ecclesiali, in crescita di sensibilità e con attenzione, nella ricerca di risposte all’altezza dell’urgenza del problema, alla Parola del Signore: «chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me» (Mt 18,5).

 

QUARTA PARTE

PASTORALE PER LE PERSONE SENZA FISSA DIMORA

 

145. La Chiesa, con la sua scelta preferenziale per i poveri [40] e i bisognosi, stimola i cristiani ad accompagnare e servire queste persone, qualunque sia la situazione morale o personale nella quale esse si trovano. Per rendersi conto dello stato della povertà nel mondo, anche per quanto riguarda i senza tetto, basti pensare al numero di persone senza casa che vivono nelle grandi città. [41]

I. Destinatari

146. La povertà ha un aspetto che si manifesta nelle persone che vivono e dormono nelle strade o sotto i ponti. Esse rappresentano uno dei tanti volti della povertà nel mondo contemporaneo: sono i clochard, persone costrette a vivere in strada perché non hanno alloggio, oppure stranieri immigrati dai paesi poveri che, a volte, pur lavorando, non hanno una casa dove abitare, o anziani senza domicilio, oppure, infine, coloro che – e sono in genere giovani – hanno «scelto» un tipo di vita vagabonda, da soli o in gruppo.

147. Tra le persone che vivono sulla strada meritano un discorso a parte gli stranieri: in genere si tratta di giovani, che si trovano senza alloggio solo durante il primo periodo di immigrazione, a causa della carenza delle strutture, e che vivono questa esperienza con umiliazione, pur accettandola come un passaggio obbligato per un futuro migliore.

Cause della situazione

148. In questi ultimi anni, nelle società industrializzate, specialmente nella vecchia Europa, a causa della crisi dello Stato sociale o delle difficili condizioni economiche (per esempio nell’Est europeo), tante persone non trovano più sostegno in misure assistenziali statali. Le pensioni di vecchiaia sono insufficienti, il diritto alla casa è disatteso, la disoccupazione in molti casi non è assistita, e le spese sanitarie risultano gravose. Accade così che molte persone, ad un certo momento della loro vita, si ritrovano a vivere per strada.

Altri motivi di questa situazione possono essere uno sfratto, una tensione familiare che non si risolve, la perdita del lavoro, una malattia. Tutto ciò – là dove manca il sostegno necessario – può trasformare persone che fino a un certo momento conducevano una vita «normale» in gente sprovvista del necessario.

Precarietà della situazione

149. Vivere per strada – è importante saperlo –, contrariamente a quanto spesso si ritiene, non è sempre una scelta. La vita in strada, infatti, è dura e pericolosa, è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Tanto meno è una scelta di libertà. Chi è senza casa vive infatti una condizione di grande vulnerabilità perché è costretto a dipendere dagli altri, anche solo per i bisogni primari, ed è esposto alle aggressioni, al freddo, all’umiliazione di esser cacciato come indesiderato.

150. Ciò avviene sempre più spesso, poiché aumenta il numero dei poveri senza tetto, ma gli spazi dove essi possono trovare riparo si riducono (per esempio le stazioni, le panchine, i portici, i ponti), mentre assistiamo anche ad un graduale cambiamento di mentalità nei loro confronti. I poveri non commuovono più, sono diventati un problema di ordine pubblico; v’è un atteggiamento di fastidio crescente verso chi chiede l’elemosina, anche perché può esistere una vera e propria organizzazione dell’accattonaggio.

151. Chi vive per strada è guardato dunque con diffidenza e con sospetto e il fatto di non avere una casa diventa l’inizio di una perdita progressiva di diritti. È più difficile così avere assistenza, è quasi impossibile trovare lavoro, non si riesce più ad avere i documenti di identità... Questi poveri diventano una folla senza nome e senza voce incapace spesso di difendersi e di trovare risorse per migliorare il proprio futuro.

La Parola di Dio stigmatizza qualsiasi forma di fastidio o indifferenza verso i poveri (poverty fatigue), ricordandoci che il Signore giudicherà le nostre vite valutando il come e il quanto abbiamo amato i poveri (cfr. Mt 25, 31-46). Secondo Sant’Agostino, siamo invitati a dare il nostro aiuto ad ogni povero per non correre il pericolo che proprio quello a cui lo neghiamo sia Cristo stesso. [42]

La dignità delle persone

152. Anche se in condizione di bisogno e di disagio, i senza tetto sono persone, con una dignità che non si deve mai perdere di vista, con tutte le sue conseguenze.

Gli interventi a favore delle persone senza fissa dimora devono essere innovativi, affinché venga finalmente spezzato il binomio della semplice risposta al bisogno e si lanci lo sguardo oltre, per tentare di cogliere sempre la persona.

153. Si tratta di partire da ciò che la persona senza dimora ha, dalle sue capacità e non dalle sue carenze. In questo contesto anche le piccole novità di cambiamento, manifestate, debbono essere valorizzate dagli operatori pastorali.

154. Importante comunque risulta il riconoscimento delle «differenze», che vanno integrate, e dei limiti, che non devono indurre a fare sentire l’altro come un diverso, un uomo di serie inferiore. Personalizzare l’intervento significa anche discernere quello che è possibile fare e quello che non lo è.

Alcuni parlano, a tale proposito, di un «diritto alla crisi», che investe direttamente l’operatore pastorale che gestisce la relazione di aiuto. Egli si sente, a sua volta, in qualche modo, come graffiato o ferito. Le «differenze», e le possibili crisi, portano la struttura di appoggio a uscire dall’isolamento in cui a volte rischia di trovarsi e ad attivare un «lavoro di rete» con i vari servizi presenti nel territorio.

155. Se guardiamo inoltre al mondo in via di sviluppo scopriamo un numero crescente di mendicanti, spesso persone malate, ciechi o lebbrosi, infettate dall’AIDS, e quindi escluse dal loro villaggio o dalle loro famiglie, costrette a vivere, sui marciapiedi, di espedienti e di elemosina.

II. Metodi di approccio e mezzi di assistenza

156. Grazie a Dio non mancano risposte pastorali adeguate, anche se non sufficienti, da parte di parrocchie, aggregazioni cattoliche, movimenti ecclesiali e nuove comunità. Vi è cioè chi va alla ricerca di tali fratelli e sorelle bisognosi, e l’incontro ha creato una rete di amicizia e di sostegno, dando luogo a generose iniziative stabili di solidarietà.

157. La ricerca delle persone senza fissa dimora, l’incontro con loro, porta a vincere l’isolamento in cui vivono, a proteggerli dal freddo e dalla fame. Si portano loro cibo e bevande calde, in una specie di «cena itinerante», si donano coperte e altri generi di conforto nelle loro necessità.

158. Si sono creati anche centri di accoglienza, in grado di garantire un complesso di iniziative organizzate per venire incontro ai tanti bisogni delle persone in stato di necessità: informazione e consulenza, distribuzione di generi alimentari e di vestiario, con possibilità di pulizia personale (docce, lavanderia, parrucchiere) e di ambulatorio medico.

159. Da considerare è peraltro il fatto che le persone senza dimora spesso perdono la possibilità di usufruire dei servizi pubblici perché, a causa della loro situazione, non hanno più una residenza anagrafica e non possiedono più documenti di identità. Questa condizione di «morte anagrafica» va combattuta cercando, con i comuni e le autorità civili, di stabilire la residenza, magari presso una comunità di assistenza o il centro di accoglienza. La stessa soluzione potrà trovarsi per il recapito postale.

160. Per quanto riguarda l’offerta di cibo, il dar da mangiare all’affamato (cfr. Mt 25,35) è valore umano antico diffuso in tutte le culture, perché ha un legame diretto col riconoscimento del valore della vita. Lo scandalo del povero Lazzaro e del ricco Epulone, nella famosa parabola di Gesù (cfr. Lc 16,19-30), trova riscontro anche nelle culture ebraica e islamica, pure nell’ambito delle tematiche relative all’ospitalità. L’affamato interroga dunque la coscienza di tutti, laici e credenti, nel contesto di una cultura della solidarietà. [43]

161. Per quanto riguarda le mense, di qualsiasi genere e ordine, con il servizio gratuito di un pasto caldo e abbondante, gioverà il clima familiare e accogliente che si saprà creare. Chi vi si reca a mangiare, nella sua povertà, ha sì necessità di soddisfare il bisogno di cibo, ma sopratutto di trovare simpatia, rispetto e calore umano, che spesso gli sono negati. Ideale è il servizio garantito da volontari, che a titolo gratuito offrono il loro tempo libero per aiutare.

L’attenzione alla dignità e alla persona di ciascuno si esprimerà altresì nella cura dell’ambiente e nell’atteggiamento cortese dei volontari che servono a tavola. Bisognerà anche tener conto delle abitudini alimentari degli ospiti, nel rispetto per esempio della loro tradizione religiosa.

162. In tale situazione i volontari vivono con i poveri un rapporto speciale, fino a raggiungere quasi quello di famiglia, di amicizia, che molti senza tetto hanno perso o non hanno mai avuto. Così si giunge all’espressione bella di un pranzo natalizio quasi di famiglia, per le persone senza dimora, che sta diventando tradizione in molti luoghi.

La sollecitudine cristiana

163. È qui rivelato il legame della strada, della relativa pastorale specifica, con la sua sorgente, Cristo Signore, nel mistero della Sua incarnazione, e con la Chiesa e la sua opzione preferenziale per i poveri, da evangelizzare, naturalmente nel rispetto della libertà di coscienza di ciascuno. Anche i poveri, poi, ci evangelizzano (cfr. Is 61,1-3; Lc 4,18-19).

164. In questa prospettiva non va dimenticata, fra le altre opere di misericordia, quella della sepoltura. Per chi muore e non ha famiglia, gli operatori pastorali dovranno preoccuparsi di garantire una celebrazione del funerale. Una volta all’anno si potrà altresì fare memoria, con le persone che vivono nella strada, di quelle conosciute e passate a migliore vita, ricordando uno per uno i loro nomi. che siano scritti nel libro della vita!

165. Il nostro sguardo contemplativo, al termine di questo andare per le varie vie della pastorale della strada, si rivolge a Maria, Madre e Signora nostra, con la preghiera dedicata agli operatori pastorali nel quarto mistero glorioso del Rosario dei migranti e degli itineranti: «[…] affinché, nello svolgimento della loro attività pastorali, non si lascino "consumare da interessi e preoccupazioni materiali", né sopraffare da incertezza, ansia e solitudine, ma cerchino sicurezza nel cuore amorevole di Maria, Assunta in Cielo». [44]

Roma, dalla sede del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, il 24 maggio 2007, nella memoria della Madonna della Strada.

Renato Raffaele Cardinale Martino, Presidente

+ Agostino Marchetto, Arcivescovo titolare di Astigi, Segretario

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NOTE

 1. Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Orientamenti per una Pastorale degli Zingari, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2005.

2.  Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Orientamenti per la Pastorale del Turismo, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2001.

3.  Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Il Pellegrinaggio nel Grande Giubileo del 2000, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1998.

4. Pio XII, Discorso alla «Fédération Routière internationale»: Discorsi e Radiomessaggi di S. S. Pio XII, vol. XVII (1955) 275.

5. Cfr. Cardinale Angelo Sodano, Messaggio Pontificio per la Giornata Mondiale del Turismo 2005: L’Osservatore Romano, 21 luglio 2005,

6. Cfr. Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, n. 15, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.

7.  Paolo vi, Discorso sulla moralizzazione dell’utenza stradale: Insegnamenti di Paolo VI, vol. III (1965) 499

8.  In una esortazione pastorale sulla sicurezza stradale, la Commissione Sociale della Conferenza Episcopale Francese così dichiarava: «Secondo gli psicologi, i conducenti utilizzano spesso il proprio veicolo in maniera irresponsabile, e pertanto pericolosa. La macchina, il camion e la moto diventano così espressione di potere, intolleranza, esibizione, a volte perfino di violenza. Il conducente può manifestare sentimenti e atteggiamenti che non adotta nella vita normale ... Tale insicurezza stradale costituisce pertanto uno scandalo che deve suscitare la riflessione di tutti i conducenti di veicoli e incitarli a modificare il proprio comportamento»: Conférence Episcopale Française, Sécurité routière: un défi évangélique, 24 octobre 2002: www.cef.fr/catho/actus/communiques/ 2002/

9.  Cfr. General Assembly Plenary Meeting and expert Consultation on the Global Road Safety Crisis, 14-15 aprile 2004.

10. Paolo vi, Discorso ai partecipanti al dialogo internazionale per la moralizzazione dell’utenza stradale: Insegnamenti di Paolo VI, vol. III (1965) 500, cfr. anche Benedetto xvi, Angelus Domini di domenica 20 novembre 2005: L’Osservatore Romano 21-22 novembre 2005, 6.

11. Pio XII, Discorso alla «Fédération Routière Internationale»: l. c. 275; cfr. episcopato belga, Lettre pastorale sur la morale de la circulation routière, Malines, le 15 Janvier 1966 : Pastoralia, (1966) n. 8, foglio 1 verso, col. II.

12. Giovanni XXIII, Il rispetto della vita umana fondamento di efficace disciplina stradale: Discorsi, Messaggi, Colloqui del Santo Padre Giovanni xxiii, vol. III (1961) 383.

13. Giovanni Paolo II, Una cultura della strada. Contro i troppi incidenti: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 3 (1987) 22.

14. Paolo VI, Discorso ai partecipanti al Dialogo internazionale per la moralizzazione dell’utenza stradale: Insegnamenti di Paolo VI, vol. III (1965) 499.

15. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1737, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1999.

16. Ibidem, n. 2290.

17. Pio XII, Ai soci dell’Automobile Club di Roma: Discorsi e Radiomessaggi di S.S. Pio XII, vol. XVIII (1956) 89.

18. Episcopato belga : l. c., foglio 2 recto, col. II.

19. Episcopato spagnolo, Esortazione Pastorale Espiritu cristiano y tráfico, n. 7: «Ecclesia», n. 1481, 21 luglio 1968.

20. Episcopato belga: l.c.

21. Ibidem, col. I.

22. Ibidem.

23. Cfr. «La Giornata del perdono»: L’Osservatore Romano 13-14 marzo 2000, 8-9.

24. Cfr. pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, n. 15: 1.c.

25. atechismo della Chiesa Cattolica, n. 485: 1. c.; Giovanni Paolo II, Lettera enciclica Dominum et vivificantem, n. 66: AAS LXXVIII (1986) 896.

26. Cfr. Giovanni Paolo II, Omelia all'Aeroporto «Leonardo da Vinci» di Roma: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XIV, 2 (1991) 1351; cfr. anche pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Il Rosario dei Migranti, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004.

27. Cfr. paolo vi, Ai partecipanti al VII Congresso della Associazione Nazionale Enti di Assistenza: Insegnamenti di Paolo VI, vol. II (1964) 333.

28. Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, n. 30: AAS LVIII (1966) 1049-1050.

29. Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto sulla missione pastorale dei Vescovi nella Chiesa Christus Dominus, n. 18: AAS LVIII (1966) 682.

30. Paolo vi, Allocutio: aas lxv (1973) 591.

31. Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Iº Incontro Europeo dei Direttori Nazionali per la pastorale della strada, Documento finale: www.vatican.va/roman_curia/ pontifical_councils/migrants/rc_pc_migrants_doc_20021209_road_leur_ pressrelease_it.shtml; idem, I° Incontro Internazionale per la pastorale dei ragazzi di strada, Documento finale: People on the Move XXXVII (2005) Supplemento 98, 97 e Idem, I° Incontro Internazionale di pastorale per la liberazione delle donne di strada, Documento finale: People on the Move XXXVIII (2006) Suppl. 102, 119.

32. Giovanni Paolo II, Lettera alle donne, n. 5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVIII, 1 (1995) 1875. Possiamo qui ricordare che «L’atteggiamento di Gesù nei riguardi delle donne, che incontra lungo la strada del suo servizio messianico, è il riflesso dell’eterno disegno di Dio, che, creando ciascuna di loro, la sceglie e la ama in Cristo (cfr. Ef 1, 1-5) … Ciascuna dal "principio" eredita la dignità di persona proprio come donna»: Giovanni Paolo II, Lettera apostolica Mulieris Dignitatem, n. 13: AAS LXXX (1988), 1685. Richiamiamo pure, sempre di Papa Giovanni Paolo II, il Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante,1995, n. 3, il cui tema è Solidarietà, accoglienza, tutela da abusi e protezione a favore della donna: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, Vol. XVII, 2 (1994) 118.

33. Benedetto XVI, Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2006, dal tema Migrazione: segno dei tempi: People on the Move XXXVII (2005) n. 99, 52.

34. Cfr. Protocol to Prevent, Suppress and Punish Trafficking in Persons, Especially Women and Children, supplementing the United Nations convention against Transnational Organized Crime, 15 Novembre 2000.

35. Cfr. Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, Erga Migrantes Caritas Christi, nn. 70-72 e relativo ordinamento giuridico-pastorale Art. 1 § 3; e 19 § 1: l.c.

36. Cfr. Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004, n. 19.

37. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1996: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XVIII, 2 (1995) 1331.

38. Cardinale Angelo Sodano, Segretario di Stato, Telegramma al Direttore Generale dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro in occasione dell’entrata in vigore della Convenzione n. 182 sull’interdizione e l’eliminazione delle forme peggiori di lavoro dei bambini: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. XXIII, 2 (2000) 921-922.

39. ONU, Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia, 1989, Preambolo.

40. Cfr. III Conferenza Generale dell’episcopato latinoamericano, celebrata in Puebla de los Angeles, Messico, nel 1979: Puebla. L’Evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina, n. 1142, Editrice Missionaria Italiana, Bologna 1979.

41. Cfr. Giovanni paolo II, Lettera al Cardinale Roger Etchegaray sul problema dei senza tetto: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. X, 3 (1987) 1352 e Pontificia commissione «Iustitia et Pax», Che ne hai fatto del tuo fratello senza tetto? La Chiesa e il problema dell’alloggio, EDB, Bologna 1988, 6-7.

42.  Date omnibus, ne cui non dederitis ipse sit Christus, s. Augustinus, Sermo 311: P.L. 39,2342s.

43.  Cfr. pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Istruzione Erga Migrantes Caritas Christi, n. 9: l. c.

44.  Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, Il Rosario dei Migranti, 28: l. c.

 

 

 


 

 

CONGREGAZIONE PER IL CLERO

 

 

Lettera per la Giornata Mondiale di Preghiera per la Santificazione Sacerdotale

Pubblichiamo di seguito la Lettera della Congregazione per il Clero in occasione della Giornata Mondiale di Preghiera per la Santificazione Sacerdotale, in occasione della Solennità del Sacro Cuore di Gesù, il 15 giugno 2007

 “Il sacerdote, nutrito della Parola di Dio, è testimone universale della carità di Cristo”

Cari amici sacerdoti,

la Giornata Mondiale di Preghiera per la Santificazione Sacerdotale, che verrà celebrata nella imminente Solennità del Sacro Cuore di Gesù, offre l’occasione per riflettere insieme sul dono del nostro ministero sacerdotale, condividendo la vostra sollecitudine pastorale per tutti i credenti e per l’umanità intera, ed in modo specifico per la porzione del Popolo di Dio affidato ai vostri rispettivi Ordinari, di cui siete i più preziosi collaboratori.

Il tema che viene proposto quest’anno, «Il sacerdote, nutrito dalla Parola di Dio, è testimone universale della carità di Cristo», si pone in sintonia con il recente Magistero di Benedetto XVI e, in modo particolare, con l’Esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum Caritatis (22. 2.2007). In essa, il Santo Padre scrive: «Non possiamo tenere per noi l’amore che celebriamo nel sacramento. Esso chiede per sua natura di essere comunicato a tutti. Ciò di cui il mondo ha bisogno è l’amore di Dio, è incontrare Cristo e credere in Lui. Per questo l’Eucaristia non solo è fonte e culmine della vita della Chiesa; lo è anche della sua missione: “Una Chiesa autenticamente eucaristica è una Chiesa missionaria” (Propositio 42)» (n. 84).

1. Uomo di Dio, uomo della missione

Portare Dio agli uomini: è questa la missione essenziale del sacerdote, missione che il ministro sacro è reso capace di realizzare perché egli, che viene scelto da Dio, vive con Lui, in Lui e per Lui. Il Santo Padre nel suo Discorso alla sessione inaugurale della V Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Carabi (13.5.2007) avente per tema «Discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché i nostri popoli in Lui abbiano vita», ha detto, rivolgendosi ai sacerdoti: «I primi promotori del discepolato e della missione sono quelli che sono stati chiamati “per essere con Gesù ed essere mandati a predicare” (cfr. Mc 3,14). …Il sacerdote deve essere innanzitutto un “uomo di Dio” (1 Tm 6,11) che conosce Dio direttamente, che ha una profonda amicizia personale con Gesù, che condivide con gli altri gli stessi sentimenti di Cristo (cfr. Fil 2,5). Solo così il sacerdote sarà capace di condurre a Dio, incarnato in Gesù Cristo, gli uomini, ed essere rappresentante del suo amore» (n. 5).

Questa verità è espressa in un versetto di un salmo sacerdotale che un tempo faceva parte del rito di ammissione allo stato clericale: «Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita» (Sal 16,5). Sappiamo dal Deuteronomio (cfr. 10,9) che dopo la presa di possesso della Terra promessa, ogni tribù era beneficiaria - per sorteggio - di una porzione della stessa, realizzandosi così la promessa divina fatta ad Abramo. Solamente la tribù di Levi non riceveva alcun terreno poiché la sua terra era Dio stesso. L’affermazione aveva certamente anche una ragione pratica: i sacerdoti non vivevano, come le altre tribù, della coltivazione della terra, ma delle offerte. Tuttavia la medesima asserzione del salmista è segno e simbolo di una realtà più profonda: il vero fondamento della vita sacerdotale, il suolo della esistenza del sacerdote, la terra della sua vita è Dio stesso. La Chiesa ha visto in questa interpretazione veterotestamentaria la spiegazione di ciò che significa la missione sacerdotale nella sequela degli Apostoli e nella comunione con Cristo stesso.

Ha detto Benedetto XVI al riguardo: «Il sacerdote può e deve dire anche oggi con il levita “Dominus pars hereditatis meae et calicis mei”. Dio stesso è la mia parte di terra, il fondamento interno ed esterno della mia esistenza. Questa teocentricità della esistenza sacerdotale è tanto più preziosa e da evidenziare proprio in un mondo totalmente funzionalistico, nel quale tutto è fondato su prestazioni calcolabili e verificabili. Il sacerdote deve veramente conoscere Dio dal di dentro, farne esperienza e portarlo così agli uomini: è questo il servizio prioritario di cui l’umanità di oggi ha bisogno» (Discorso alla Curia Romana in occasione degli auguri natalizi, del 22.12.2006).

Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota tutto il fondamento dell’agire pastorale e nell’eccesso dell’attivismo si rischia di perdere il contenuto e il senso del servizio pastorale.

Allora potrebbero crescere protagonismo e stravaganze fuorvianti. Anziché la sostanza si darebbero surrogati. Si correrebbe invano, esaurendosi senza progredire.

Solamente coloro che hanno imparato «a restare con Cristo» sono pronti per essere da Lui «inviati a evangelizzare» con autenticità (cfr. Mc 3,14) Un amore appassionato per Cristo è il segreto di un annuncio convinto di Cristo. «Sii uomo di preghiera prima di essere predicatore», diceva Sant’Agostino (De doctrina christiana, 4,15,32: PL 34,100), esortando i ministri ordinati ad essere discepoli di orazione alla scuola del Maestro.

La Chiesa, nel celebrare la Solennità del Cuore Sacratissimo di Gesù, invita tutti i credenti ad elevare lo sguardo di fede «a Colui che hanno trafitto» (Gv 19,37), al Cuore di Cristo, segno vivo ed eloquente dell’invincibile amore di Dio e fonte inesauribile di grazia. Lo fa, esortando i sacerdoti a ricercare in se stessi questo segno, in quanto depositari ed amministratori delle ricchezze del Cuore di Cristo, e a riversare l’amore misericordioso di Cristo sugli altri, su tutti!

Veramente «la carità di Cristo ci spinge» (2 Cor 5,14) scrive San Paolo. «Se vuoi amare Cristo, estendi la tua carità a tutta la terra, perché i membri di Cristo si trovano in tutto il mondo», ci rammenta Sant’Agostino (Commento alla I Lettera. di San Giovanni 10,5).

Per questo ogni sacerdote deve avere spirito missionario, ovvero spirito veramente «cattolico», deve “ripartire da Cristo” per rivolgersi a tutti, memore di quanto ha affermato il nostro Salvatore che «vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2,4-6). Il sacerdote è chiamato ad incontrare Cristo nella preghiera, e a conoscerlo ed amarlo anche sulla via della Croce, che è la via dell’operoso ed abnegato servizio della carità. Solamente così viene provata e testimoniata la autenticità del suo amore per Dio e viene riflesso su tutti il Volto misericordioso di Cristo. «La bellezza di questa immagine risplende in noi che siamo in Cristo, quando ci mostriamo uomini buoni nelle opere», ci rammentava San Cirillo di Alessandria (Tractatus ad Tiberium Diaconum socioque, II, in divi Johannis Evangelium).

2. Per essere autentico testimone della carità di Cristo nella società

La missione che il sacerdote riceve nella Ordinazione non è un elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione, ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: «la consacrazione è per la missione» (Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, n. 24).

«Amore a Dio ed amore al prossimo si fondono tra loro: nel più umile troviamo Gesù stesso ed in Gesù troviamo Dio» ha scritto il Santo Padre (Lett. enc. Deus caritas est, n. 15). Nell’Eucaristia – che è il tesoro impagabile della Chiesa –, facendoci generosi ministri del Pane di vita eterna, veniamo invitati sempre a contemplare la bellezza e profondità del mistero dell’amore di Cristo e a riversare l’impeto del suo Cuore innamorato su tutti gli uomini senza distinzione, specialmente sui poveri e sui deboli, sui più poveri dei poveri che sono i peccatori, in un continuo, umile e il più delle volte nascosto servizio di carità.

È parte costitutiva della forma eucaristica dell’esistenza sacerdotale la tensione missionaria. Scrive al riguardo il Santo Padre: «La prima e fondamentale missione che ci viene dai santi Misteri che celebriamo è di rendere testimonianza con la nostra vita. Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo impegnandoci ad essere testimoni del suo amore. Diveniamo testimoni quando, attraverso le nostre azioni, parole e modo di essere, un Altro appare e si comunica» (Esort. ap. post-sinodale Sacramentum caritatis, n. 85).

Il sacerdote è chiamato a farsi «pane spezzato per la vita del mondo», a servire tutti con l’amore di Cristo che ci amò «fino alla fine»: così l’Eucaristia diventa nella vita sacerdotale ciò che essa significa nella celebrazione. Il Sacrificio di Cristo è mistero di liberazione che ci interpella e provoca continuamente.

Ogni sacerdote, senta in se stesso l’urgenza di essere realmente operatore di giustizia e di solidarietà in mezzo agli uomini: dinanzi a loro, il sacerdote è chiamato a testimoniare Cristo stesso. Nutriti della Parola di vita, i sacerdoti non possono rimanere ai margini della lotta per la difesa e la proclamazione della dignità della persona umana e dei suoi universali ed inalienabili diritti. Ha scritto Benedetto XVI a questo riguardo: «Proprio in forza del Mistero che celebriamo, occorre denunciare le circostanze che sono in contrasto con la dignità dell’uomo, per il quale Cristo ha versato il suo sangue, affermando così l’alto valore di ogni singola persona» ( Ibid, n. 89).

Scopriremo il vero senso dell’amoris officium, di quella carità pastorale di cui ci parla Sant’Agostino (In Iohannis Evangelium Tractatus 123, 5: CCL 36, 678): la Chiesa come Sposa di Cristo, vuole essere amata dal sacerdote in modo totale ed esclusivo con cui Cristo stesso, Capo e Sposo l’ha amata. Comprenderemo la motivazione teologica della legge ecclesiastica sul celibato nella Chiesa Latina e del suo legame di convenienza profondissima con l’Ordinazione sacra: come dono inestimabile di Dio, come singolare partecipazione alla paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa, come formidabile energia missionaria, come amore più grande, come testimonianza al mondo del Regno escatologico. Il celibato, accolto con libera ed amorosa decisione, diviene dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore (cfr. Conc. Ecum Vat. II, Decr. Presbyterorum ordinis, n. 16; Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, n. 29).

Ci possiamo domandare: ma quali sono questi ambiti della testimonianza sacerdotale della carità di Cristo?

a. Innanzitutto la missione, il kerigma e la catechesi; la catechesi dei giovani e degli adulti, dei vicini e dei lontani. In essa si trasmette in forma completa e chiara il messaggio di Cristo. Nei tempi attuali è urgente una conoscenza adeguata della fede, come è ben riepilogata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, con il suo Compendio.

Si tratta di non risparmiare sforzi per andare alla ricerca dei cattolici che si sono allontanati e di coloro che conoscono poco o niente Cristo. Ha detto recentemente a questo proposito Benedetto XVI, rivolgendosi ai Vescovi del Brasile: «Fa parte della catechesi essenziale anche la educazione alle virtù personali e sociali del cristiano, così come la educazione alla responsabilità sociale…. Dobbiamo essere fedeli servitori della Parola, senza visioni riduttive né confusioni nella missione che ci è affidata. Non basta osservare la realtà a partire dalla fede personale; è necessario lavorare con il Vangelo alla mano ed ancorati all’autentica eredità della Tradizione apostolica, senza interpretazioni motivate da ideologie razionalistiche» (Discorso all’Incontro e Celebrazione dei Vespri con i Vescovi del Brasile, dell’ 11.5.2007, nn. 4 e 5).

In questo campo non sono sufficienti i luoghi tradizionali della catechesi - le lezioni, conferenze o corsi di Bibbia e teologia - ma è necessario aprirsi agli altri nuovi areopaghi della cultura globale: oltre alla stampa, radio e televisione, si dovrà ricorrere maggiormente alla posta elettronica, ai siti internet, alle pages, alle video-conferenze, e a tanti altri recenti sistemi, per comunicare efficacemente il kerigma ad un gran numero di persone. La stessa presenza, anche esterna, del Pastore, con un contegno conseguente al proprio «essere» deve costituire una catechesi per tutti. Abbiamo forse, talvolta, sottovalutato troppo questo aspetto che la gente mostra di gradire e che, se espressione di contenuti, non costituisce formalismo ma forma atta a veicolare sostanza.

b. Un altro ambito di questa testimonianza è la promozione delle istituzioni ecclesiali di beneficenza che, a vari livelli, possono svolgere il prezioso servizio nei confronti dei più bisognosi e deboli. «Se le persone incontrate vivono in una situazione di povertà, bisogna aiutarle come facevano le primitive comunità cristiane, praticando la solidarietà perché si sentano veramente amate», ha ricordato recentemente il Pontefice nell’Incontro appena menzionato (Benedetto XVI, Ibid, n. 3).

«Dobbiamo denunciare chi dilapida le ricchezze della terra, provocando disuguaglianze che gridano verso il cielo (cfr. Gc 5,4)», ha scritto Benedetto XVI ed ha proseguito, affermando: «Il Signore Gesù, Pane di vita eterna, ci sprona a ci rende attenti alle situazioni di indigenza in cui versa ancora gran parte dell’umanità: sono situazioni la cui causa implica spesso una chiara ed inquietante responsabilità degli uomini» (Esort. ap. post-sinodale Sacramentum caritatis, n. 90).

c. Il sostegno alla cultura della vita. Dovunque i sacerdoti, in comunione con i propri Ordinari, sono chiamati a promuovere una cultura della vita che permetta, come asseriva Paolo VI «di passare dalla miseria al possesso del necessario, all’acquisizione della cultura … alla cooperazione del bene comune… fino al riconoscimento, da parte dell’uomo, dei valori supremi e di Dio che di essi è la fonte ed il fine» (Lett. enc. Populorum progressio, n. 21). Al riguardo sarà necessario mettere in evidenza, nella formazione dei fedeli laici, che lo sviluppo autentico deve essere integrale, vale a dire, orientato alla promozione di tutto l’uomo e di tutti gli uomini, suggerendo quei mezzi necessari a sopprimere le gravi disuguaglianze sociali e le enormi differenze nell’accesso ai beni.

d. la formazione dei fedeli laici. Essi, formati alla scuola dell’Eucaristia, saranno sempre di più esortati ed aiutati ad assumere direttamente le loro responsabilità politiche e sociali in motivata coerenza con il proprio battesimo. Tutti gli uomini e donne battezzati devono prendere coscienza che sono stati configurati nella Chiesa a Cristo Sacerdote, Profeta e Pastore, per mezzo del sacerdozio comune dei fedeli. Essi devono sentirsi corresponsabili della costruzione della società secondo i criteri del Vangelo e, in particolare, secondo la dottrina sociale della Chiesa. «Questa dottrina, maturata durante tutta la storia della Chiesa, si caratterizza per realismo ed equilibrio, aiutando così ad evitare fuorvianti compromessi o vacue utopie» (Benedetto XVI, Esort ap. post-sinodale Sacramentum caritatis, n. 91).

Come ha più volte ricordato il Magistero petrino, ai fedeli laici, incombe la speciale responsabilità di trasformare le strutture ingiuste e di erigere quelle giuste, senza le quali non può reggersi una società giusta, producendo il consenso necessario sui valori morali e la forza per vivere secondo il modello di questi valori (cfr. Benedetto XVI, Discorso alla sessione inaugurale della V Conferenza generale dell’Episcopato Latinoamericano e dei Carabi, n. 4).

e. Il sostegno della famiglia. Tutti i sacerdoti sono chiamati a sostenere la famiglia cristiana promuovendo in diversi modi, secondo i differenti carismi vocazionali e la missione a voi affidata, un’adeguata ed organica pastorale familiare nelle rispettive comunità ecclesiali (cfr. Giovanni Paolo II, Novo millennio ineunte, n. 47). Particolare importanza ha la necessità di sostenere il valore della unicità del matrimonio, come unione per tutta la vita tra un uomo e una donna, nella quale, come marito e moglie, essi partecipano all’amorevole opera di creazione di Dio.

Purtroppo numerose dottrine politiche e correnti di pensiero continuano a fomentare una cultura che ferisce la dignità dell’uomo, ignorando o compromettendo, in diversa misura, la verità sul matrimonio e sulla famiglia. Il sacerdote deve proclamare in nome di Cristo, senza stancarsi, che la famiglia, quale formatrice per eccellenza delle persone, è indispensabile per una vera “ecologia umana” (cfr. Giovanni Paolo II, Centesimus annus, 39).

3. Gioioso di alzare il calice della salvezza ed invocare il nome del Signore (cfr Sal 115, 12-13)

Giovanni Paolo II nella sua Lettera ai sacerdoti per il Giovedì Santo del 2002, esclamava: «Che vocazione meravigliosa è la nostra, miei cari fratelli sacerdoti! Davvero possiamo ripetere col Salmista: «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore (Sal 115, 12-13)».

Questo calice è il calice della benedizione (cfr. 1 Cor 10,16), il calice della nuova alleanza (cfr. Lc 22,20; 1 Cor 11,25).

San Basilio commenta al riguardo: «Che cosa dunque renderò al Signore? Non sacrifici, né olocausti… ma tutta la mia stessa vita. Per questo dice il salmista: Alzerò il calice della salvezza, chiamando calice il patire nel combattimento spirituale, il resistere al peccato sino alla morte» (Omelia sul Salmo 115: PG XXX,109).

Come hanno sperimentato tanti santi sacerdoti nell’adempimento eroico del loro ministero, così anche noi siamo invitati a trarre dall’Eucaristia la forza necessaria per testimoniare la Verità, senza cedimenti, senza irenismi, «senza falsi compromessi per non annacquare il Vangelo», come ricordava Benedetto XVI nel suo incontro con i Vescovi della Germania (Discorso nel Seminario di Colonia, del 21.8.2005).

In società e culture spesso chiuse alla trascendenza, soffocate da comportamenti consumistici, schiave di antiche e nuove idolatrie, riscopriamo con stupore il senso del Mistero eucaristico. Rinnoviamo le nostre Celebrazioni liturgiche perché siano segni più eloquenti della presenza di Cristo nelle nostre Diocesi, in particolare nelle nostre Parrocchie; assicuriamo nuovi spazi al silenzio e alla contemplazione adorante dell’Eucaristia, per avere in noi un vero spirito missionario vibrante.

Disse Giovanni Paolo II ai nostri fratelli Presuli del Portogallo: “Come sentinelle della Casa di Dio, vegliate, stimati Fratelli, affinché in tutta la vita ecclesiale si riproduca in qualche modo il ritmo binario della Santa Messa, con la liturgia della parola e con la liturgia eucaristica. Vi serva da esempio il caso dei discepoli di Emmaus, che riconobbero Gesù solo a partire dal pane (cfr. Lc 24,13-35)” (Discorso ai Vescovi del Portogallo in visita ad limina Apostolorum, n. 6: in L’O:R n. 276 del 1.12.1999).

Nell’Eucaristia è racchiuso il segreto della fedeltà e della perseveranza dei nostri fedeli, della sicurezza e della solidità delle nostre Comunità ecclesiali, in mezzo alle afflizioni ed alle difficoltà del mondo. Nella nostra pastorale, fatta di parole e di Sacramento, eviteremo gli scogli dell’attivismo, del fare per il fare, e supereremo gli attacchi del laicismo e secolarismo dove Cristo non ha voce né posto, portandovi il Pane di vita eterna.

Pensiamo alla importanza missionaria delle nostre parrocchie che costituiscono come il tessuto connettivo delle nostre Diocesi (cfr. CIC, can 374, §1).

Pensiamo ad ogni parrocchia, che è una communitas christifidelium e che non può esserlo se non è una comunità eucaristica e aperta ai più lontani, vale a dire se non è una comunità idonea a celebrare l'Eucaristia con spirito di missionarietà, nella quale stanno la radice viva del suo edificarsi e il vincolo sacramentale del suo essere in piena comunione con tutta la Chiesa (cfr. Giovanni Paolo II, Es. ap. Christifideles laici, n. 26).

Pensiamo ai parroci, che non possono non essere sacerdoti ordinati, perché fanno e dicono nella Liturgia eucaristica e nella liturgia della Parola ciò che essi "in proprio", "di loro", non possono fare e dire: essi, infatti, agiscono e parlano «in persona Christi capitis». Pensiamo a tutti i sacerdoti, giovani ed anziani, sani e ammalati, che riscoprendo il radicale dono di se stessi, ínsito nel loro ministero ordinato, possono ripetere con le parole di Giovanni Paolo II: «È giunto il tempo di parlare coraggiosamente della vita sacerdotale, come di un valore inestimabile e come di una forma splendida e privilegiata di vita cristiana»! (Esort. ap. Pastores dabo vobis, n. 39).

Così la Chiesa della Parola e dei Sacramenti sarà necessariamente la Chiesa dell'esercizio infaticabile del sacerdozio ministeriale, sarà la Chiesa del sacerdote santo, del sacerdote che ama alla radice della sua anima, di tutto il suo essere, la chiamata che ha ricevuto dal Maestro, per comportarsi in ogni momento come ipse Christus.

Benedetto XVI, ebbe recentemente a dire nel suo discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Canada-Québec in visita ad limina Apostolorum (11.5.2006): «Tuttavia, la diminuzione del numero dei sacerdoti … in alcuni luoghi, chiama in causa in modo preoccupante il posto della sacramentalità nella vita della Chiesa. Le necessità dell'organizzazione pastorale non devono compromettere l'autenticità dell'ecclesiologia che vi si esprime. Il ruolo centrale del sacerdote che, in persona Christi capitis, insegna, santifica e governa la comunità, non deve essere sminuito. Il sacerdozio ministeriale è indispensabile per l'esistenza di una comunità ecclesiale. L'importanza del ruolo dei laici, che ringrazio per la loro generosità al servizio delle comunità cristiane, non deve mai occultare il ministero assolutamente insostituibile dei sacerdoti per la vita della Chiesa».

Noi sacerdoti, preoccupiamoci di far risplendere la nostra vera, ontologica identità, di esercitare un ministero gioioso pur nelle difficoltà più aspre, un ministero ardentemente missionario perché conseguente alla nostra identità e, con i fedeli tutti, occupiamoci di pregare instancabilmente il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe. Le vocazioni ci sono ma noi dobbiamo favorirne la risposta positiva con questi mezzi, con i mezzi insegnatici dal Signore e non con altri.

Ed è questa la Chiesa che vogliamo vedere rifiorire e dare nuovi frutti, nella sua vitalità e nella sua attività. Essa è la Chiesa della missione divina, la Chiesa in statu missionis.

Ci rivolgiamo a Maria, Regina degli Apostoli e Madre dei sacerdoti. A Lei affidiamo noi stessi, il nostro ministero pastorale ed ogni sacerdote. A imitazione sua, ci aiuti ad essere tabernacoli ed ostensori di Gesù Buon Pastore!

Cláudio Card. Hummes, Prefetto, Mauro Piacenza, Segretario

 

 


 

 

CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI

 

 

ISTRUZIONE Redemptionis sacramentum

su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia

  

INDICE

Proemio [1-13]

Capitolo I

La regolamentazione della sacra Liturgia [14-18]

1. Il Vescovo diocesano, grande Sacerdote del suo gregge [19-25]
2. Le Conferenze dei Vescovi [26-28]
3. I Sacerdoti [29-33]
4. I Diaconi [34-35]

Capitolo II

La partecipazione dei fedeli laici alla celebrazione dell’Eucaristia

1. Una partecipazione attiva e consapevole [36-42]
2. I compiti dei fedeli laici nella celebrazione della Messa [43-47]

Capitolo III

La retta celebrazione della santa Messa

1. La materia della Santissima Eucaristia [48-50]
2. La Preghiera eucaristica [51-56]
3. Le altri parti della Messa [57-74]
4. L’unione dei vari riti con la celebrazione della Messa [75-79]

Capitolo IV

La santa Comunione

1. Disposizioni per ricevere la santa Comunione [80-87]
2. La distribuzione della santa Comunione [88-96]
3. La Comunione dei Sacerdoti [97-99]
4. La Comunione sotto le due specie [100-107]

Capitolo V

Altri aspetti riguardanti l’Eucaristia

1. Il luogo della celebrazione della santa Messa [108-109]
2. Circostanze varie relative alla santa Messa [110-116]
3. I vasi sacri [117-120]
4. Le vesti liturgiche [121-128]

Capitolo VI

La conservazione della Santissima Eucaristia e il suo culto fuori della Messa

1. La conservazione della Santissima Eucaristia [129-133]
2. Altre forme di culto della Santissima Eucaristia fuori della Messa [134-141]
3. Le processioni e i Congressi eucaristici [142-145]

Capitolo VII

I compiti straordinari dei fedeli laici [146-153]

1. Il ministro straordinario della santa Comunione [154-160]
2. La predicazione [161]
3. Le celebrazioni particolari che si svolgono in assenza del Sacerdote [162-167]
4. Coloro che sono stati dimessi dallo stato clericale [168]

Capitolo VIII

I rimedi [169-171]

1. Graviora delicta [172]
2. Atti gravi [173]
3. Altri abusi [174-175]
4. Il Vescovo diocesano [176-180]
5. La Sede Apostolica [181-182]
6. Segnalazioni di abusi in materia liturgica [183-184]

Conclusione [185-186]

 


 

PROEMIO

 

[1.] Nella Santissima Eucaristia la Madre Chiesa riconosce con ferma fede, accoglie con gioia, celebra e venera con atteggiamento adorante il sacramento della Redenzione,[1] annunciando la morte di Cristo Gesù, proclamando la sua resurrezione, nell’attesa della sua venuta nella gloria,[2] come Signore e Dominatore invincibile, Sacerdote eterno e Re dell’universo, per offrire alla maestà infinita del Padre onnipotente il regno di verità e di vita.[3]

[2.] La dottrina della Chiesa sulla Santissima Eucaristia, in cui è contenuto l’intero bene spirituale della Chiesa, ovvero Cristo stesso, nostra Pasqua,[4] fonte e culmine[5] di tutta la vita cristiana, il cui influsso causale è alle origini stesse della Chiesa,[6] è stata esposta con premurosa sollecitudine e grande autorevolezza nel corso dei secoli negli scritti dei Concili e dei Sommi Pontefici. Recentemente, inoltre, nella Lettera Enciclica «Ecclesia de Eucharistia» il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II ha nuovamente esposto sul medesimo argomento alcuni aspetti di grande importanza per il contesto ecclesiale della nostra epoca.[7]

In particolare, il Sommo Pontefice, affinché la Chiesa tuteli debitamente anche al giorno d’oggi un così grande mistero nella celebrazione della sacra Liturgia, ha dato disposizione a questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti[8] di preparare, d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede, la presente Istruzione, in cui fossero trattate alcune questioni concernenti la disciplina del sacramento dell’Eucaristia. Quanto appare in questa Istruzione va, pertanto, letto in continuità con la citata Lettera Enciclica «Ecclesia de Eucharistia».

Tuttavia, non si ha l’intenzione di offrire in essa l’insieme delle norme relative alla Santissima Eucaristia, quanto piuttosto di riprendere con tale Istruzione alcuni elementi, che risultano tuttora validi nella normativa già esposta e stabilita, per rafforzare il senso profondo delle norme liturgiche,[9] e indicarne altri che spieghino e completino i precedenti, illustrandoli ai Vescovi, ma anche ai Sacerdoti, ai Diaconi e a tutti i fedeli laici, affinché ciascuno li metta in pratica secondo il proprio ufficio e le proprie possibilità.

[3.] Le norme contenute in questa Istruzione si considerino inerenti alla materia liturgica nell’ambito del Rito romano e, con le opportune varianti, degli altri Riti della Chiesa latina giuridicamente riconosciuti.

[4.] «Non c’é dubbio che la riforma liturgica del Concilio abbia portato grandi vantaggi per una più consapevole, attiva e fruttuosa partecipazione dei fedeli al santo Sacrificio dell’altare».[10] Tuttavia, «non mancano delle ombre».[11] Non si possono, pertanto, passare sotto silenzio gli abusi, anche della massima gravità, contro la natura della Liturgia e dei sacramenti, nonché contro la tradizione e l’autorità della Chiesa, che non di rado ai nostri giorni in diversi ambiti ecclesiali compromettono le celebrazioni liturgiche. In alcuni luoghi gli abusi commessi in materia liturgica sono all’ordine del giorno, il che ovviamente non può essere ammesso e deve cessare.

[5.] L’osservanza delle norme emanate dall’autorità della Chiesa esige conformità di pensiero e parola, degli atti esterni e della disposizione d’animo. Una osservanza puramente esteriore delle norme, come è evidente, contrasterebbe con l’essenza della sacra Liturgia, nella quale Cristo Signore vuole radunare la sua Chiesa perché sia con lui «un solo corpo e un solo spirito».[12] L’atto esterno deve essere, pertanto, illuminato dalla fede e dalla carità che ci uniscono a Cristo e gli uni agli altri e generano l’amore per i poveri e gli afflitti. Le parole e i riti della Liturgia sono, inoltre, espressione fedele maturata nei secoli dei sentimenti di Cristo e ci insegnano a sentire come lui:[13] conformando a quelle parole la nostra mente, eleviamo al Signore i nostri cuori. Quanto detto nella presente Istruzione intende condurre a tale conformità dei sentimenti nostri con quelli di Cristo, espressi nelle parole e nei riti della Liturgia.

[6.] Tali abusi, infatti, «contribuiscono ad oscurare la retta fede e la dottrina cattolica su questo mirabile Sacramento».[14] In questo modo si impedisce pure «ai fedeli di rivivere in un certo senso l’esperienza dei due discepoli di Emmaus: “E i loro occhi si aprirono e lo riconobbero”».[15] Davanti alla potenza e alla divinità[16] di Dio e allo splendore della sua bontà, particolarmente visibile nel sacramento dell’Eucaristia, si addice, infatti, che tutti i fedeli nutrano e manifestino quel senso dell’adorabile maestà di Dio, che hanno ricevuto attraverso la passione salvifica del Figlio Unigenito.[17]

[7.] Gli abusi non di rado si radicano in un falso concetto di libertà. Dio, però, ci concede in Cristo non quella illusoria libertà in base alla quale facciamo tutto ciò che vogliamo, ma la libertà, per mezzo della quale possiamo fare ciò che è degno e giusto.[18] Ciò vale invero non soltanto per quei precetti derivati direttamente da Dio, ma anche, considerando convenientemente l’indole di ciascuna norma, per le leggi promulgate dalla Chiesa. Da ciò la necessità che tutti si conformino agli ordinamenti stabiliti dalla legittima autorità ecclesiastica.

[8.] Si deve, inoltre, notare con grande amarezza la presenza di «iniziative ecumeniche che, pur generose nelle intenzioni, indulgono qua e là a prassi eucaristiche contrarie alla disciplina nella quale la Chiesa esprime la sua fede». Il dono dell’Eucaristia, tuttavia, «è troppo grande per sopportare ambiguità e diminuzioni». È, pertanto, opportuno correggere e definire con maggiore accuratezza alcuni elementi, di modo che anche in questo ambito «l’Eucaristia continui a risplendere in tutto il fulgore del suo mistero».[19]

[9.] Gli abusi trovano, infine, molto spesso fondamento nell’ignoranza, giacché per lo più si rigetta ciò di cui non si coglie il senso più profondo, né si conosce l’antichità. Infatti, «dell’afflato e dello spirito» della stessa sacra Scrittura «sono permeate» appieno «le preghiere, le orazioni e gli inni e da essa derivano il loro significato le azioni e i segni sacri».[20] Quanto ai segni visibili, «di cui la sacra Liturgia si serve per significare le realtà divine invisibili, essi sono stati scelti da Cristo o dalla Chiesa».[21] Infine, le strutture e le forme delle sacre celebrazioni, secondo la tradizione di ciascun rito sia d’Oriente sia d’Occidente, sono in sintonia con la Chiesa universale anche per quanto riguarda usi universalmente accolti dalla ininterrotta tradizione apostolica,[22] che è compito proprio della Chiesa trasmettere fedelmente e con cura alle future generazioni. Tutto ciò viene sapientemente custodito e salvaguardato dalle norme liturgiche.

[10.] La stessa Chiesa non ha alcuna potestà rispetto a ciò che è stato stabilito da Cristo e che costituisce parte immutabile della Liturgia.[23] Se fosse, infatti, spezzato il legame che i sacramenti hanno con Cristo stesso, che li ha istituiti, e con gli eventi su cui la Chiesa è fondata,[24] ciò non sarebbe di nessun giovamento per i fedeli, ma nuocerebbe a loro gravemente. La sacra Liturgia, infatti, è intimamente collegata con i principi della dottrina[25] e l’uso di testi e riti non approvati comporta, di conseguenza, che si affievolisca o si perda il nesso necessario tra la lex orandi e la lex credendi.[26]

[11.] Troppo grande è il Mistero dell’Eucaristia «perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale».[27] Chi al contrario, anche se Sacerdote, agisce così, assecondando proprie inclinazioni, lede la sostanziale unità del rito romano, che va tenacemente salvaguardata,[28] e compie azioni in nessun modo consone con la fame e sete del Dio vivente provate oggi dal popolo, né svolge autentica attività pastorale o corretto rinnovamento liturgico, ma priva piuttosto i fedeli del loro patrimonio e della loro eredità. Atti arbitrari, infatti, non giovano a un effettivo rinnovamento,[29] ma ledono il giusto diritto dei fedeli all’azione liturgica che è espressione della vita della Chiesa secondo la sua tradizione e la sua disciplina. Inoltre, introducono elementi di deformazione e discordia nella stessa celebrazione eucaristica che, in modo eminente e per sua natura, mira a significare e realizzare mirabilmente la comunione della vita divina e l’unità del popolo di Dio.[30] Da essi derivano insicurezza dottrinale, perplessità e scandalo del popolo di Dio e, quasi inevitabilmente, reazioni aspre: tutti elementi che nel nostro tempo, in cui la vita cristiana risulta spesso particolarmente difficile in ragione del clima di «secolarizzazione», confondono e rattristano notevolmente molti fedeli.[31]

[12.] Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito, come prescritto nei libri liturgici e dalle altre leggi e norme. Allo stesso modo, il popolo cattolico ha il diritto che si celebri per esso in modo integro il sacrificio della santa Messa, in piena conformità con la dottrina del Magistero della Chiesa. È, infine, diritto della comunità cattolica che per essa si compia la celebrazione della Santissima Eucaristia in modo tale che appaia come vero sacramento di unità, escludendo completamente ogni genere di difetti e gesti che possano generare divisioni e fazioni nella Chiesa.[32]

[13.] Tutte le norme e i richiami esposti in questa Istruzione si connettono, sia pure in vario modo, con il compito della Chiesa, a cui spetta di vigilare sulla retta e degna celebrazione di questo grande mistero. Dei vari gradi con cui le singole norme si raccordano con la legge suprema di tutto il diritto ecclesiastico, che è la cura per la salvezza delle anime, tratta l’ultimo capitolo della presente Istruzione.[33]

 

 

Capitolo I

LA REGOLAMENTAZIONE DELLA SACRA LITURGIA

 

[14.] «Regolamentare la sacra Liturgia compete unicamente all’autorità della Chiesa, la quale risiede nella Sede Apostolica e, a norma del diritto, nel Vescovo Sacrae».[34]

[15.] Il Romano Pontefice, «Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale, in forza del suo ufficio ha potestà ordinaria, suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa, che può sempre esercitare liberamente»,[35] anche comunicando con i pastori e i fedeli.

[16.] È di competenza della Sede Apostolica ordinare la sacra Liturgia della Chiesa universale, pubblicare i libri liturgici e autorizzarne le versioni nelle lingue correnti, nonché vigilare perché gli ordinamenti liturgici, specialmente quelli attraverso i quali è regolata la celebrazione del Santissimo Sacrificio della Messa, siano osservati fedelmente ovunque.[36]

[17.] La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti «si occupa di tutto ciò che, salva la competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede, spetta alla Sede Apostolica circa la regolamentazione e la promozione della sacra Liturgia, in primo luogo dei Sacramenti. Essa favorisce e tutela la disciplina dei sacramenti, specialmente per quanto attiene alla loro valida e lecita celebrazione». Infine, «esercita attenta vigilanza perché siano osservate esattamente le disposizioni liturgiche, se ne prevengano gli abusi e, laddove essi siano scoperti, vengano eliminati».[37] In questa materia, secondo la tradizione di tutta la Chiesa, è predominante la sollecitudine per la celebrazione della santa Messa e per il culto che si tributa alla Santissima Eucaristia anche fuori della Messa.

[18.] I fedeli hanno il diritto che l’autorità ecclesiastica regoli pienamente ed efficacemente la sacra Liturgia, in modo tale che essa non sembri mai «proprietà privata di qualcuno, né del celebrante né della comunità nella quale si celebrano i Misteri».[38]

1. Il Vescovo diocesano, grande Sacerdote del suo gregge

[19.] Il Vescovo diocesano, primo dispensatore dei misteri di Dio, è moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa particolare a lui affidata.[39] Infatti, «il Vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell’Ordine, è l’“economo della grazia del supremo sacerdozio”[40] specialmente nell’Eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire,[41] e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce».[42]

[20.] Si ha, infatti, una precipua manifestazione della Chiesa ogni volta che si celebra la Messa, specialmente nella chiesa cattedrale, «nella partecipazione piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio, […] all’unica preghiera, all’unico altare, cui presiede il Vescovo»,circondato dai suoi Sacerdoti, Diaconi e ministri.[43] Inoltre, ogni«legittima celebrazione dell’Eucaristia è diretta dal Vescovo, al quale è affidato l’ufficio di prestare e regolare il culto della religione cristiana alla Divina Maestà secondo i precetti del Signore e le leggi della Chiesa, dal suo particolare giudizio ulteriormente determinate per la sua diocesi».[44]

[21.] Infatti, al Vescovo «diocesano spetta, entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica nella Chiesa a lui affidata, alle quali tutti sono tenuti».[45] Tuttavia, il Vescovo vigili sempre che non venga meno quella libertà, che è prevista dalle norme dei libri liturgici, di adattare, in modo intelligente, la celebrazione sia all’edificio sacro sia al gruppo dei fedeli sia alle circostanze pastorali, cosicché l’intero rito sacro sia effettivamente rispondente alla sensibilità delle persone.[46]

[22.] Il Vescovo regge la Chiesa particolare a lui affidata[47] ed è suo compito regolamentare, dirigere, spronare, talvolta anche riprendere,[48] adempiendo il sacro ufficio che egli ha ricevuto mediante l’ordinazione episcopale[49] per l’edificazione del suo gregge nella verità e nella santità.[50] Illustri il genuino senso dei riti e dei testi liturgici e alimenti nei Sacerdoti, nei Diaconi e nei fedeli lo spirito della sacra Liturgia,[51] perché tutti siano condotti ad un’attiva e fruttuosa celebrazione dell’Eucaristia,[52] e assicuri parimenti che tutto il corpo ecclesiale proceda unanime, nell’unità della carità, sul piano diocesano, nazionale, universale.[53]

[23.] I fedeli«devono aderire al Vescovo come la Chiesa a Gesù Cristo e come Gesù Cristo al Padre, affinché tutte le cose siano concordi nell’unità e crescano per la gloria di Dio».[54] Tutti, anche i membri degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, e di tutte quante le associazioni o movimenti ecclesiali di qualsiasi genere, sono soggetti all’autorità del Vescovo diocesano in tutto ciò che riguarda la materia liturgica,[55] salvo i diritti legittimamente concessi. Compete, dunque, al Vescovo diocesano il diritto e il dovere di vigilare e verificare, riguardo alla materia liturgica,le chiese e gli oratori situati nel suo territorio, come anche quelle fondate o dirette dai membri dei sopra menzionati istituti, se ad esse abitualmente accedono i fedeli.[56]

[24.] Da parte sua, il popolo cristiano ha il diritto che il Vescovo diocesano vigili affinché non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, specialmente riguardo al ministero della parola, alla celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, al culto di Dio e dei santi.[57]

[25.] Le commissioni, i consiglio comitati costituiti dal Vescovo, perché contribuiscano «a promuovere la Liturgia, la musica e l’arte sacra nella sua diocesi», agiranno secondo il pensiero e le direttive del Vescovo e dovranno poter contare sulla sua autorità e sulla sua ratifica per svolgere convenientemente il proprio compito[58] e perché sia mantenuto l’effettivo governo del Vescovo nella sua diocesi. Riguardo a tutti questi gruppi, agli altri istituti e a qualsiasi iniziativa in materia liturgica, i Vescovi si chiedano, come già da tempo risulta urgente, se sia stata finora fruttuosa[59] la loro attività e valutino attentamente quali correttivi o miglioramenti vadano inseriti nella loro struttura e nella loro attività,[60] affinché trovino nuovo vigore. Si tenga sempre presente che gli esperti vanno scelti tra coloro, la cui solidità nella fede cattolica e la cui preparazione in materia teologica e culturale siano riconosciute.

2. Le Conferenze dei Vescovi

[26.] Ciò vale anche per quelle commissioni attinenti alla medesima materia che, su sollecitazione del Concilio,[61] sono istituite dalla Conferenza dei Vescovi e i cui membri è necessario che siano Vescovi e siano ben distinti dagli esperti coadiutori. Qualora il numero di membri di una Conferenza dei Vescovi non risulti sufficiente perché si possa senza difficoltà trarre da loro e istituire una commissione liturgica, si nomini un consiglio o gruppo di esperti che, sempre sotto la presidenza di un Vescovo, adempia per quanto possibile a tale compito, evitando però il nome di «Commissione liturgica».

[27.] La Sede Apostolica ha notificato fin dal 1970[62] la cessazione di tutti gli esperimenti relativi alla celebrazione della santa Messa ed ha ribadito tale cessazione nel 1988.[63] Pertanto, i singoli Vescovi e le loro Conferenze non hanno alcuna facoltà di permettere gli esperimenti riguardo ai testi e ad altro che non sia prescritto nei libri liturgici. Per poter praticare in avvenire tali esperimenti è necessario il permesso della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, dato per iscritto e richiesto dalle Conferenze dei Vescovi. Esso, tuttavia, non verrà concesso se non per grave causa. Quanto alle iniziative di inculturazione in materia liturgica, si osservino rigorosamente e integralmente le norme specificamente stabilite.[64]

[28.] Tutte le norme attinenti alla materia liturgica, stabilite a norma del diritto da una Conferenza dei Vescovi per il proprio territorio, vanno sottoposte alla recognitio della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, senza la quale non posseggono alcuna forza obbligante.[65]

3. I Sacerdoti

[29.] I Sacerdoti, validi, provvidi e necessari collaboratori dell’ordine episcopale,[66] chiamati a servire il popolo di Dio, costituiscono con il loro Vescovo un unico presbiterio,[67] sebbene destinato a uffici diversi. «Nelle singole comunità locali di fedeli rendono, per così dire, presente il Vescovo, cui sono uniti con animo fiducioso e grande, ne condividono, secondo il loro grado, gli uffici e la sollecitudine e li esercitano con dedizione quotidiana». E «per questa loro partecipazione nel sacerdozio e nella missione, i Sacerdoti riconoscano nel Vescovo il loro padre e gli obbediscano con rispettoso amore».[68] Inoltre, «sempre intenti al bene dei figli di Dio, cerchino di portare il loro contributo al lavoro pastorale di tutta la diocesi, anzi, di tutta la Chiesa».[69]

[30.] Grande è la responsabilità «che hanno nella celebrazione eucaristica soprattutto i Sacerdoti, ai quali compete di presiederla in persona Christi, assicurando una testimonianza e un servizio di comunione non solo alla comunità che direttamente partecipa alla celebrazione, ma anche alla Chiesa universale, che è sempre chiamata in causa dall’Eucaristia. Occorre purtroppo lamentare che, soprattutto a partire dagli anni della riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II, per un malinteso senso di creatività e di adattamento, non sono mancati abusi, che sono stati motivo di sofferenza per molti».[70]

[31.] In coerenza con quanto da loro promesso nel rito della sacra ordinazione e rinnovato di anno in anno nel corso della Messa crismale, i Sacerdoti celebrino «devotamente e con fede i misteri di Cristo a lode di Dio e santificazione del popolo cristiano, secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio dell’Eucaristia e nel sacramento della riconciliazione».[71] Non svuotino il significato profondo del proprio ministero, deformando la celebrazione liturgica con cambiamenti, riduzioni o aggiunte arbitrarie.[72] Come disse, infatti, S. Ambrogio: «La Chiesa non è ferita in se stessa, […] ma in noi. Guardiamoci, dunque, dal far divenire i nostri sbagli una ferita per la Chiesa».[73] Si badi, quindi, che la Chiesa di Dio non riceva offesa da parte dei Sacerdoti, i quali hanno offerto se stessi al ministero con tanta solennità. Vigilino, anzi, fedelmente sotto l’autorità del Vescovo, affinché simili deformazioni non siano commesse da altri.

[32.] «Il parroco faccia in modo che la Santissima Eucaristia sia il centro dell’assemblea parrocchiale dei fedeli, si adoperi perché i fedeli si nutrano mediante la celebrazione devota dei sacramenti e in special modo perché si accostino frequentemente al sacramento della Santissima Eucaristia e della penitenza; si impegni inoltre a fare in modo che i fedeli siano formati alla preghiera, da praticare anche nella famiglia, e partecipino consapevolmente e attivamente alla sacra Liturgia, di cui il parroco deve essere il moderatore nella sua parrocchia, sotto l’autorità del Vescovo diocesano, e sulla quale è tenuto a vigilare perché non si insinuino abusi».[74] Sebbene sia opportuno che nella preparazione efficace delle celebrazioni liturgiche, specialmente della santa Messa, egli sia coadiuvato da vari fedeli, non deve tuttavia in nessun modo cedere loro quelle prerogative in materia che sono proprie del loro ufficio.

[33.] Infine, tutti «i Sacerdoti abbiano cura di coltivare adeguatamente la scienza e l’arte liturgica, affinché, per mezzo del loro ministero liturgico, le comunità cristiane ad essi affidate, elevino una lode sempre più perfetta a Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo».[75] Soprattutto, siano pervasi di quella meraviglia e di quello stupore che la celebrazione del mistero pasquale nell’Eucaristia procura nel cuore dei fedeli.[76]

4. I Diaconi

[34.] I Diaconi, «ai quali sono imposte le mani non per il sacerdozio, ma per il servizio»,[77] uomini di buona reputazione,[78] devono agire, con l’aiuto di Dio, in modo tale da essere riconosciuti come veri discepoli di colui,[79] «che non venne per farsi servire, ma per servire»[80] e fu in mezzo ai suoi discepoli«come colui che serve».[81] E fortificati dal dono dello Spirito Santo ricevuto mediante l’imposizione delle mani, servano il popolo di Dio in comunione con il Vescovo e il suo presbiterio.[82] Considerino perciò il Vescovo come padre e siano di aiuto a lui e al suo Presbiterio«nel ministero della parola, dell’altare e della carità».[83]

[35.] Non trascurino mai «di custodire il mistero della fede, come dice l’Apostolo, in una coscienza pura[84] per annunziare tale fede con le parole e le opere, secondo il Vangelo e la tradizione della Chiesa»,[85] servendo con tutto il cuore fedelmente e con umiltà la sacra Liturgia come fonte e culmine della vita della Chiesa, «affinché tutti, diventati figli di Dio mediante la fede e il Battesimo, si riuniscano insieme, lodino Dio nella Chiesa, prendano parte al Sacrificio e alla mensa del Signore».[86] Pertanto, tutti i Diaconi, per quanto li riguarda, si impegnino a far sì che la sacra Liturgia sia celebrata a norma dei libri liturgici debitamente approvati.

 

 

Capitolo II

LA PARTECIPAZIONE DEI FEDELI LAICI ALLA CELEBRAZIONE DELL’EUCARISTIA

 

1. Una partecipazione attiva e consapevole

[36.] La celebrazione della Messa, in quanto azione di Cristo e della Chiesa, costituisce il centro di tutta la vita cristiana per la Chiesa sia universale sia particolare, e per i singoli fedeli,[87] che«sono interessati in diverso modo, secondo la diversità di ordini, di compiti, e di partecipazione attiva.[88] In questo modo il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato”,[89] manifesta il proprio coerente e gerarchico ordine».[90] «Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l’uno all’altro, poiché l’uno e l’altro, ognuno a suo modo, partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo».[91]

[37.] Tutti i fedeli, liberati dai propri peccati e incorporati nella Chiesa con il Battesimo,dal carattere loro impresso sono abilitati al culto della religione cristiana,[92] affinché in virtù del loro regale sacerdozio,[93] perseverando nella preghiera e lodando Dio,[94] si manifestino come vittima viva, santa, gradita a Dio e provata in tutte le loro azioni,[95] diano dovunque testimonianza di Cristo e a chi la richieda rendano ragione della loro speranza di vita eterna.[96]

Pertanto, anche la partecipazione dei fedeli laici alla celebrazione dell’Eucaristia e degli altri riti della Chiesa non può essere ridotta ad una mera presenza, per di più passiva, ma va ritenuta un vero esercizio della fede e della dignità battesimale.

[38.] L’ininterrotta dottrina della Chiesa sulla natura non soltanto conviviale, ma anche e soprattutto sacrificale dell’Eucaristia va giustamente considerata tra i principali criteri per una piena partecipazione di tutti i fedeli a un così grande sacramento.[97] «Spogliato del suo valore sacrificale, il mistero viene vissuto come se non oltrepassasse il senso e il valore di un qualsiasi incontro conviviale e fraterno».[98]

[39.] Per promuovere ed evidenziare la partecipazione attiva, la recente riforma dei libri liturgici ha favorito, secondo le intenzioni del Concilio, le acclamazioni del popolo, le risposte, la salmodia, le antifone, i canti, nonché le azioni o i gesti e l’atteggiamento del corpo e ha provveduto a far osservare a tempo debito il sacro silenzio, prevedendo nelle rubriche anche le parti spettanti ai fedeli.[99] Ampio spazio si dà, inoltre, ad una appropriata libertà di adattamento fondata sul principio che ogni celebrazione risponda alle necessità, alla capacità, alla preparazione dell’animo e all’indole dei partecipanti, secondo le facoltà stabilite dalle norme liturgiche. Nella scelta dei canti, delle melodie, delle orazioni e delle letture bibliche, nel pronunciare l’omelia, nel comporre la preghiera dei fedeli, nel rivolgere talora le monizioni e nell’ornare secondo i vari tempi la chiesa esiste ampia possibilità di introdurre in ogni celebrazione una certa varietà che contribuisca a rendere maggiormente evidente la ricchezza della tradizione liturgica e a conferire accuratamente una connotazione particolare alla celebrazione, tenendo conto delle esigenze pastorali, così da favorire la partecipazione interiore. Va, tuttavia, ricordato che l’efficacia delle azioni liturgiche non sta nella continua modifica dei riti, ma nell’approfondimento della parola di Dio e del mistero celebrato.[100]

[40.] Tuttavia, benché la celebrazione della Liturgia possieda indubbiamente tale connotazione di partecipazione attiva di tutti i fedeli, non ne consegue, come per logica deduzione, che tutti debbano materialmente compiere qualcosa oltre ai previsti gesti ed atteggiamenti del corpo, come se ognuno debba necessariamente assolvere ad uno specifico compito liturgico. La formazione catechetica provveda, piuttosto, con cura a correggere nozioni e usi superficiali in merito diffusi in alcuni luoghi negli ultimi anni e a risvegliare sempre nei fedeli un rinnovato senso di grande ammirazione davanti alla profondità di quel mistero di fede che è l’Eucaristia, nella cui celebrazione la Chiesa passa «dal vecchio al nuovo» ininterrottamente.[101] Nella celebrazione dell’Eucaristia, infatti, come pure in tutta la vita cristiana, che da essa trae forza e ad essa tende, la Chiesa, come san Tommaso Apostolo, si prostra in adorazione davanti al Signore crocifisso, morto, sepolto e risorto «nella grandezza del suo divino splendore e esclama in eterno: “Signore mio e Dio mio!”».[102]

[41.] Per suscitare, promuovere e alimentare il senso interiore della partecipazione liturgica risultano particolarmente utili la celebrazione assidua ed estesa della Liturgia delle Ore, l’uso dei sacramentali e gli esercizi della pietà popolare cristiana. Tali esercizi, «che, sebbene non riguardino a rigore di diritto la sacra Liturgia, sono invero provvisti di particolare importanza e dignità», vanno ritenuti, soprattutto quando risultano elogiati e approvati dallo stesso Magistero,[103] dotati di un qualche legame con il contesto liturgico, come è specialmente per la preghiera del Rosario.[104] Poiché, inoltre, queste opere di pietà guidano il popolo cristiano alla partecipazione ai sacramenti, e in particolar modo all’Eucaristia, «nonché alla meditazione dei misteri della nostra redenzione e all’imitazione degli insigni esempi dei santi in cielo, esse allora ci rendono partecipi del culto liturgico non senza giovamento di salvezza».[105]

[42.] È necessario comprendere che la Chiesa non si riunisce per umana volontà, ma è convocata da Dio nello Spirito Santo, e risponde per mezzo della fede alla sua vocazione gratuita: il termine ekklesía rimanda, infatti, a klesis, che significa “chiamata”.[106] Il sacrificio eucaristico non va poi ritenuto come «concelebrazione» in senso univoco del Sacerdote insieme con il popolo presente.[107] Al contrario, l’Eucaristia celebrata dai Sacerdoti è un dono «che supera radicalmente il potere dell’assemblea […]. La comunità che si riunisce per la celebrazione dell’Eucaristia necessita assolutamente di un Sacerdote ordinato che la presieda per poter essere veramente assemblea eucaristica. D’altra parte, la comunità non è in grado di darsi da sola il ministro ordinato».[108] È assolutamente necessaria la volontà comune di evitare ogni ambiguità in materia e portare rimedio alle difficoltà insorte negli ultimi anni. Pertanto, si usino soltanto con cautela locuzioni quali «comunità celebrante» o «assemblea celebrante», o in altre lingue moderne «celebrating assembly», «asamblea celebrante», «assemblée célébrante», e simili.

2. I compiti dei fedeli laici nella celebrazione della Messa

[43.] È giusto e lodevole che per il bene della comunità e di tutta la Chiesa di Dio alcuni fedeli laici svolgano secondo la tradizione alcuni compiti attinenti alla celebrazione della sacra Liturgia.[109] Conviene che siano più persone a distribuirsi tra loro o a svolgere i vari uffici o le varie parti dello stesso ufficio.[110]

[44.] Oltre ai ministeri istituiti dell’accolito e del lettore,[111] tra i suddetti uffici particolari vi sono quelli dell’accolito[112] e del lettore[113] per incarico temporaneo, ai quali sono congiunti gli altri uffici descritti nel Messale Romano,[114] nonché i compiti di preparare le ostie, di pulire i lini e simili. Tutti«sia ministri ordinati sia fedeli laici, esercitando il loro ministero o ufficio, compiano solo e tutto ciò che è di loro competenza»[115] e tanto nella stessa celebrazione liturgica quanto nella sua preparazione facciano sì che la Liturgia della Chiesa si svolga con dignità e decoro.

[45.] Si deve evitare il rischio di oscurare la complementarietà tra l’azione dei chierici e quella dei laici, così da sottoporre il ruolo dei laici a una sorta, come si suol dire, di «clericalizzazione», mentre i ministri sacri assumono indebitamente compiti che sono propri della vita e dell’azione dei fedeli laici.[116]

[46.] Il fedele laico chiamato a prestare il suo aiuto nelle celebrazioni liturgiche occorre che sia debitamente preparato e che si distingua per vita cristiana, fede, condotta e fedeltà al Magistero della Chiesa. È bene che costui abbia ricevuto una congrua formazione liturgica, secondo la sua età, condizione, genere di vita e cultura religiosa.[117] Non si scelga nessuno, la cui designazione possa destare meraviglia tra i fedeli.[118]

[47.] È veramente ammirevole che persista la nota consuetudine che siano presenti dei fanciulli o dei giovani, chiamati di solito «ministranti», che prestino servizio all’altare alla maniera dell’accolito, e abbiano ricevuto, secondo le loro capacità, una opportuna catechesi riguardo al loro compito.[119] Non si deve dimenticare che dal novero di questi fanciulli è scaturito nel corso dei secoli un cospicuo numero di ministri sacri.[120] Si istituiscano o promuovano per essi delle associazioni, anche con la partecipazione e l’aiuto dei genitori, con le quali si provveda più efficacemente alla cura pastorale dei ministranti. Quando tali associazioni assumono carattere internazionale, spetta alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigerle o esaminare e approvare i loro statuti.[121] A tale servizio dell’altare si possono ammettere fanciulle o donne a giudizio del Vescovo diocesano e nel rispetto delle norme stabilite.[122]

 

 

Capitolo III

LA RETTA CELEBRAZIONE DELLA SANTA MESSA

 

1. La materia della Santissima Eucaristia

[48.] Il pane utilizzato nella celebrazione del santo Sacrificio eucaristico deve essere azimo, esclusivamente di frumento e preparato di recente, in modo che non ci sia alcun rischio di decomposizione.[123] Ne consegue, dunque, che quello preparato con altra materia, anche se cereale, o quello a cui sia stata mescolata materia diversa dal frumento, in quantità tale da non potersi dire, secondo la comune estimazione, pane di frumento, non costituisce materia valida per la celebrazione del sacrificio e del sacramento eucaristico.[124] È un grave abuso introdurre nella confezione del pane dell’Eucaristia altre sostanze, come frutta, zucchero o miele. Va da sé che le ostie devono essere confezionate da persone che non soltanto si distinguano per onestà, ma siano anche esperte nel prepararle e fornite di strumenti adeguati.[125]

[49.] In ragione del segno espresso, conviene che qualche parte del pane eucaristico ottenuto dalla frazione sia distribuito almeno a qualche fedele al momento della Comunione. «Le ostie piccole non sono comunque affatto escluse, quando il numero dei comunicandi, o altre ragioni pastorali lo esigano»;[126] si usino, anzi, di solito particole per lo più piccole, che non richiedano ulteriore frazione.

[50.] Il vino utilizzato nella celebrazione del santo sacrificio eucaristico deve essere naturale, del frutto della vite, genuino, non alterato, né commisto a sostanze estranee.[127] Nella stessa celebrazione della Messa va mescolata ad esso una modica quantità di acqua. Con la massima cura si badi che il vino destinato all’Eucaristia sia conservato in perfetto stato e non diventi aceto.[128] È assolutamente vietato usare del vino, sulla cui genuinità e provenienza ci sia dubbio: la Chiesa esige, infatti, certezza rispetto alle condizioni necessarie per la validità dei sacramenti. Non si ammetta, poi, nessun pretesto a favore di altre bevande di qualsiasi genere, che non costituiscono materia valida.

2. La Preghiera eucaristica

[51.] Si usino soltanto le Preghiere eucaristiche che si trovano nel Messale Romano o legittimamente approvate dalla Sede Apostolica secondo i modi e i termini da essa definiti. «Non si può tollerare che alcuni Sacerdoti si arroghino il diritto di comporre preghiere eucaristiche»[129] o modificare il testo di quelle approvate dalla Chiesa,né adottarne altre composte da privati.[130]

[52.] La recita della Preghiera eucaristica, che per sua stessa natura è come il culmine dell’intera celebrazione, è propria del Sacerdote, in forza della sua ordinazione. È, pertanto, un abuso far sì che alcune parti della Preghiera eucaristica siano recitate da un Diacono, da un ministro laico oppure da uno solo o da tutti i fedeli insieme. La Preghiera eucaristica deve, dunque, essere interamente recitata dal solo Sacerdote.[131]

[53.] Mentre il Sacerdote celebrante recita la Preghiera eucaristica,«non si sovrappongano altre orazioni o canti, e l’organo o altri strumenti musicali tacciano»,[132] salvo che per le acclamazioni del popolo debitamente approvate, di cui si veda più avanti.

[54.] Il popolo, tuttavia, prende parte sempre attivamente e mai in modo meramente passivo:al Sacerdote«si associ con fede e in silenzio, ed anche con gli interventi stabiliti nel corso della Preghiera eucaristica, quali sono le risposte nel dialogo del Prefazio, il Santo, l’acclamazione dopo la consacrazione e l’Amen dopo la dossologia finale, ed altre acclamazioni approvate dalla Conferenza dei Vescovi e confermate dalla Santa Sede».[133]

[55.] In alcuni luoghi è invalso l’abuso per cui il Sacerdote spezza l’ostia al momento della consacrazione durante la celebrazione della santa Messa. Tale abuso si compie, però, contro la tradizione della Chiesa e va riprovato e molto urgentemente corretto.

[56.] Non si ometta nella Preghiera eucaristica il ricordo del nome del Sommo Pontefice e del Vescovo diocesano, per conservare un’antichissima tradizione e manifestare la comunione ecclesiale. Infatti, «lo stesso radunarsi insieme della comunità eucaristica è anche comunione con il proprio Vescovo e con il Romano Pontefice».[134]

3. Le altre parti della Messa

[57.] È diritto della comunità dei fedeli che ci siano regolarmente, soprattutto nella celebrazione domenicale, una adeguata e idonea musica sacra e, sempre, un altare, dei paramenti e sacri lini che splendano, secondo le norme, per dignità, decoro e pulizia.

[58.] Parimenti, tutti i fedeli hanno il diritto che la celebrazione dell’Eucaristia sia diligentemente preparata in tutte le sue parti, in modo tale che in essa sia degnamente ed efficacemente proclamata e illustrata la parola di Dio, sia esercitata con cura, secondo le norme, la facoltà di scelta dei testi liturgici e dei riti, e nella celebrazione della Liturgia sia debitamente custodita e alimentata la loro fede nelle parole dei canti.

[59.] Si ponga fine al riprovevole uso con il quale i Sacerdoti, i Diaconi o anche i fedeli mutano e alterano a proprio arbitrio qua e là i testi della sacra Liturgia da essi pronunciati. Così facendo, infatti, rendono instabile la celebrazione della sacra Liturgia e non di rado ne alterano il senso autentico.

[60.] Nella celebrazione della Messa la Liturgia della Parola e la Liturgia eucaristica sono strettamente congiunte tra loro e formano un solo atto di culto. Pertanto, non è lecito separare una parte dall’altra, celebrandole in tempi e luoghi differenti.[135] Inoltre, non è lecito eseguire singole sezioni della santa Messa in vari momenti anche di uno stesso giorno.

[61.] Nello scegliere le letture bibliche da proclamare nella celebrazione della Messa, si seguano le norme che si trovano nei libri liturgici,[136] affinché realmente«la mensa della Parola di Dio sia imbandita ai fedeli con maggiore abbondanza e vengano ad essi aperti più largamente i tesori della Bibbia».[137]

[62.] Non è permesso omettere o sostituire di propria iniziativa le letture bibliche prescritte né sostituire specialmente «le letture e il salmo responsoriale, che contengono la parola di Dio, con altri testi non biblici».[138]

[63.] La lettura del Vangelo, che«costituisce il culmine della Liturgia della Parola»,[139] è riservata, secondo la tradizione della Chiesa, nella celebrazione della sacra Liturgia al ministro ordinato.[140] Non è pertanto consentito a un laico, anche religioso, proclamare il Vangelo durante la celebrazione della santa Messa e neppure negli altri casi in cui le norme non lo permettano esplicitamente.[141]

[64.] L’omelia, che si tiene nel corso della celebrazione della santa Messa ed è parte della stessa Liturgia,[142] «di solito è tenuta dallo stesso Sacerdote celebrante o da lui affidata a un Sacerdote concelebrante, o talvolta, secondo l’opportunità, anche al Diacono, mai però a un laico.[143] In casi particolari e per un giusto motivo l’omelia può essere tenuta anche da un Vescovo o da un Presbitero che partecipa alla celebrazione anche se non può concelebrare».[144]

[65.] Va ricordato che, in base a quanto prescritto dal canone 767, § 1, si ritiene abrogata ogni precedente norma che abbia consentito a fedeli non ordinati di tenere l’omelia durante la celebrazione eucaristica.[145] Tale prassi è, di fatto, riprovata e non può, pertanto, essere accordata in virtù di alcuna consuetudine.

[66.] Il divieto di ammissione dei laici alla predicazione durante la celebrazione della Messa vale anche per i seminaristi, per gli studenti di discipline teologiche, per quanti abbiano ricevuto l’incarico di «assistenti pastorali», e per qualsiasi altro genere, gruppo, comunità o associazione di laici.[146]

[67.] Soprattutto, si deve prestare piena attenzione affinché l’omelia si incentri strettamente sul mistero della salvezza, esponendo nel corso dell’anno liturgico sulla base delle letture bibliche e dei testi liturgici i misteri della fede e le regole della vita cristiana e offrendo un commento ai testi dell’Ordinario o del Proprio della Messa o di qualche altro rito della Chiesa.[147] Va da sé che tutte le interpretazioni della sacra Scrittura debbano essere ricondotte a Cristo come supremo cardine dell’economia della salvezza, ma ciò avvenga tenendo anche conto dello specifico contesto della celebrazione liturgica. Nel tenere l’omelia si abbia cura di irradiare la luce di Cristo sugli eventi della vita. Ciò però avvenga in modo da non svuotare il senso autentico e genuino della parola di Dio, trattando, per esempio, solo di politica o di argomenti profani o attingendo come da fonte a nozioni provenienti da movimenti pseudo-religiosi diffusi nella nostra epoca.[148]

[68.] Il Vescovo diocesano vigili con attenzione sull’omelia,[149] facendo anche circolare tra i ministri sacri norme, lineamenti e sussidi e promovendo incontri e altre iniziative apposite, affinché essi abbiano spesso occasione di riflettere con maggiore accuratezza sulla natura dell’omelia e trovino un aiuto per quanto concerne la sua preparazione.

[69.] Non si ammetta nella santa Messa, come nelle altre celebrazioni liturgiche, un Credo o Professione di fede, che non sia inserito nei libri liturgici debitamente approvati.

[70.] Le offerte che i fedeli sono soliti presentare durante la santa Messa per la Liturgia eucaristica non si riducono necessariamente al pane e al vino per la celebrazione dell’Eucaristia, ma possono comprendere anche altri doni che vengono portati dai fedeli sotto forma di denaro o altri beni utili per la carità verso i poveri. I doni esteriori devono, tuttavia, essere sempre espressione visibile di quel vero dono che il Signore aspetta da noi: un cuore contrito e l’amore di Dio e del prossimo, per mezzo del quale siamo conformati al sacrificio di Cristo che offrì se stesso per noi. Nell’Eucaristia, infatti, risplende in sommo grado il mistero di quella carità che Gesù Cristo ha rivelato nell’Ultima Cena lavando i piedi dei discepoli. Tuttavia, a salvaguardia della dignità della sacra Liturgia occorre che le offerte esteriori siano presentate in modo adeguato. Pertanto, il denaro, come pure le altre offerte per i poveri, siano collocati in un luogo adatto, ma fuori della mensa eucaristica.[150] Ad eccezione del denaro e, nel caso, in ragione del segno, di una minima parte degli altri doni, è preferibile che tali offerte vengano presentate al di fuori della celebrazione della Messa.

[71.] Si mantenga l’uso del Rito romano di scambiare la pace prima della santa Comunione, come stabilito nel Rito della Messa. Secondo la tradizione del Rito romano, infatti, questo uso non ha connotazione né di riconciliazione né di remissione dei peccati, ma piuttosto la funzione di manifestare pace, comunione e carità prima di ricevere la Santissima Eucaristia.[151] È, invece, l’atto penitenziale da eseguire all’inizio della Messa, in particolare secondo la sua prima forma, ad avere carattere di riconciliazione tra i fratelli.

[72.] Conviene«che ciascuno dia la pace soltanto a coloro che gli stanno più vicino, in modo sobrio».«Il Sacerdote può dare la pace ai ministri, rimanendo tuttavia sempre nel presbiterio, per non disturbare la celebrazione. Così ugualmente faccia se, per qualche motivo ragionevole, vuol dare la pace ad alcuni fedeli». Nec fiat cantus quidam ad pacem comitandam sed sine mora procedatur ad «Agnus Dei». «Per ciò che riguarda il modo di compiere lo stesso gesto di pace, esso è stabilito dalle Conferenze dei Vescovi […] secondo l’indole e le usanze dei popoli» e confermato da parte della Sede Apostolica.[152]

[73.] Nella celebrazione della santa Messa la frazione del pane eucaristico, che va fatta soltanto ad opera del Sacerdote celebrante, con l’aiuto, se è il caso, di un Diacono o del concelebrante, ma non di un laico, inizia dopo lo scambio della pace, mentre si recita l’«Agnello di Dio». Il gesto della frazione del pane, infatti,«compiuto da Cristo nell’ultima Cena, che sin dal tempo apostolico ha dato il nome a tutta l’azione eucaristica, significa che i molti fedeli, nella Comunione derivante dall’unico pane di vita, che è il Cristo morto e risorto per la salvezza del mondo, costituiscono un solo corpo (1 Cor 10, 17)».[153] Il rito, pertanto, deve essere eseguito con grande rispetto.[154] Sia però breve. Si corregga molto urgentemente l’abuso invalso in alcuni luoghi di prolungare senza necessità tale rito, anche con l’aiuto di laici contrariamente alle norme, e di attribuirgli una esagerata importanza.[155]

[74.] Se vi fosse l’esigenza di fornire informazioni o testimonianze di vita cristiana ai fedeli radunati in Chiesa, è generalmente preferibile che ciò avvenga al di fuori della Messa. Tuttavia, per una grave causa, si possono offrire tali informazioni o testimonianze quando il Sacerdote abbia pronunciato la preghiera dopo la Comunione. Questo uso, tuttavia, non diventi consueto. Tali informazioni e testimonianze, inoltre, non abbiano un senso tale da poter essere confuse con l’omelia,[156] né si può a causa loro totalmente sopprimere l’omelia stessa.

4. L’unione dei vari riti con la celebrazione della Messa

[75.] Per una ragione teologica inerente alla celebrazione eucaristica o ad un rito particolare, i libri liturgici talora prescrivono o permettono la celebrazione della santa Messa unitamente a un altro rito, specialmente dei sacramenti.[157] Negli altri casi, tuttavia, la Chiesa non ammette tale collegamento, soprattutto quando si tratta di circostanze aventi indole superficiale e vana.

[76.] Inoltre, secondo l’antichissima tradizione della Chiesa romana, non è lecito unire il sacramento della Penitenza con la santa Messa in modo tale che diventi un’unica azione liturgica. Ciò non impedisce, tuttavia, che dei Sacerdoti, salvo coloro che celebrano o concelebrano la santa Messa, ascoltino le confessioni dei fedeli che lo desiderino, anche mentre si celebra la Messa nello stesso luogo, per venire incontro alle necessità dei fedeli.[158] Ciò tuttavia si svolga nella maniera opportuna.

[77.] In nessun modo si combini la celebrazione della santa Messa con il contesto di una comune cena, né la si metta in rapporto con analogo tipo di convivio. Salvo che in casi di grave necessità, non si celebri la Messa su di un tavolo da pranzo[159] o in un refettorio o luogo utilizzato per tale finalità conviviale, né in qualunque aula in cui sia presente del cibo, né coloro che partecipano alla Messa siedano a mensa nel corso stesso della celebrazione. Se per grave necessità si dovesse celebrare la Messa nello stesso luogo in cui dopo si deve cenare, si interponga un chiaro spazio di tempo tra la conclusione della Messa e l’inizio della cena e non si esibisca ai fedeli nel corso della Messa del cibo ordinario.

[78.] Non è lecito collegare la celebrazione della Messa con eventi politici o mondani o con circostanze che non rispondano pienamente al Magistero della Chiesa cattolica. Si deve, inoltre, evitare del tutto di celebrare la Messa per puro desiderio di ostentazione o di celebrarla secondo lo stile di altre cerimonie, tanto più se profane, per non svuotare il significato autentico dell’Eucaristia.

[79.] Infine, va considerato nel modo più severo l’abuso di introdurre nella celebrazione della santa Messa elementi contrastanti con le prescrizioni dei libri liturgici, desumendoli dai riti di altre religioni.

 

 

Capitolo IV

LA SANTA COMUNIONE

 

1. Disposizioni per ricevere la santa Comunione

[80.] L’Eucaristia sia proposta ai fedeli anche «come antidoto, che ci libera dalle colpe quotidiane e ci preserva dai peccati mortali»,[160] come è posto in luce nelle diverse parti della Messa. Quanto all’atto penitenziale collocato all’inizio della Messa, esso ha lo scopo di disporre i partecipanti perché siano in grado di celebrare degnamente i santi misteri;[161] tuttavia, «è privo dell’efficacia del sacramento della Penitenza»[162] e, per quanto concerne la remissione dei peccati gravi, non si può ritenere un sostituto del sacramento della Penitenza. I pastori di anime curino con diligenza l’istruzione catechetica, in modo che ai fedeli sia trasmesso l’insegnamento cristiano a questo riguardo.

[81.] La consuetudine della Chiesa afferma, inoltre, la necessità che ognuno esamini molto a fondo se stesso,[163] affinché chi sia conscio di essere in peccato grave non celebri la Messa né comunichi al Corpo del Signore senza avere premesso la confessione sacramentale, a meno che non vi sia una ragione grave e manchi l’opportunità di confessarsi; nel qual caso si ricordi che è tenuto a porre un atto di contrizione perfetta, che include il proposito di confessarsi quanto prima.[164]

[82.] Inoltre, «la Chiesa ha dato delle norme che mirano insieme a favorire l’accesso frequente e fruttuoso dei fedeli alla mensa eucaristica e a determinare le condizioni oggettive in cui ci si deve astenere del tutto dal distribuire la Comunione».[165]

[83.] È certamente la cosa migliore che tutti coloro che partecipano ad una celebrazione della santa Messa e sono forniti delle dovute condizioni ricevano in essa la santa Comunione. Talora, tuttavia, avviene che i fedeli si accostino alla sacra mensa in massa e senza il necessario discernimento. È compito dei pastori correggere con prudenza e fermezza tale abuso.

[84.] Inoltre, se si celebra la santa Messa per una grande folla o, per esempio, nelle grandi città, occorre che si faccia attenzione affinché per mancanza di consapevolezza non accedano alla santa Comunione anche i non cattolici o perfino i non cristiani, senza tener conto del Magistero della Chiesa in ambito dottrinale e disciplinare. Spetta ai pastori avvertire al momento opportuno i presenti sulla verità e sulla disciplina da osservare rigorosamente.

[85.] I ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti ai soli fedeli cattolici, i quali parimenti li ricevono lecitamente dai soli ministri cattolici, salvo le disposizioni del can. 844 §§ 2, 3 e 4, e del can. 861 § 2.[166] Inoltre, le condizioni stabilite dal can. 844 § 4, alle quali non può essere derogato in alcun modo,[167] non possono essere separate tra loro; è, pertanto, necessario che tutte siano sempre richieste simultaneamente.

[86.] I fedeli siano accortamente guidati alla pratica di accedere al sacramento della Penitenza al di fuori della celebrazione della Messa, soprattutto negli orari stabiliti, di modo che la sua amministrazione si svolga con tranquillità e a loro effettivo giovamento, senza che siano impediti da una attiva partecipazione alla Messa. Coloro che sono soliti comunicarsi ogni giorno o molto spesso siano istruiti in modo da accedere al sacramento della Penitenza nei tempi opportuni, secondo le possibilità di ciascuno.[168]

[87.] Si premetta sempre alla Prima Comunione dei bambini la confessione sacramentale e l’assoluzione.[169] La Prima Comunione, inoltre, sia sempre amministrata da un Sacerdote e mai al di fuori della celebrazione della Messa. Salvo casi eccezionali, è poco appropriato amministrarla il Giovedì Santo «in Cena Domini». Si scelga piuttosto un altro giorno, come le domeniche II-VI di Pasqua o la solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo o le domeniche «per annum», in quanto la domenica è giustamente considerata il giorno dell’Eucaristia.[170] A ricevere l’Eucaristia non «accedano i bambini che non abbiano raggiunto l’età della ragione o che»il parroco «abbia giudicato non sufficientemente pronti».[171] Tuttavia, qualora avvenga che un bambino, in via del tutto eccezionale rispetto all’età, sia ritenuto maturo per ricevere il sacramento, non gli si rifiuti la Prima Comunione, a condizione che sia stato sufficientemente preparato.

2. La distribuzione della santa Comunione

[88.] I fedeli di solito ricevano la Comunione sacramentale dell’Eucaristia nella stessa Messa e al momento prescritto dal rito stesso della celebrazione, vale a dire immediatamente dopo la Comunione del Sacerdote celebrante.[172] Spetta al Sacerdote celebrante, eventualmente coadiuvato da altri Sacerdoti o dai Diaconi, distribuire la Comunione e la Messa non deve proseguire, se non una volta ultimata la Comunione dei fedeli. Soltanto laddove la necessità lo richieda, i ministri straordinari possono, a norma del diritto, aiutare il Sacerdote celebrante.[173]

[89.] Affinché, anche«per mezzo dei segni, la Comunione appaia meglio come partecipazione al Sacrificio che si celebra»,[174] è da preferirsi che i fedeli possano riceverla con ostie consacrate nella stessa Messa.[175]

[90.] «I fedeli si comunicano in ginocchio o in piedi, come stabilito dalla Conferenza dei Vescovi»,e confermato da parte della Sede Apostolica. «Quando però si comunicano stando in piedi, si raccomanda che, prima di ricevere il Sacramento, facciano la debita riverenza, da stabilire dalle stesse norme».[176]

[91.] Nella distribuzione della santa Comunione è da ricordare che«i ministri sacri non possono negare i sacramenti a coloro che li chiedano opportunamente, siano disposti nel debito modo e non abbiano dal diritto la proibizione di riceverli».[177] Pertanto, ogni cattolico battezzato, che non sia impedito dal diritto, deve essere ammesso alla sacra comunione. Non è lecito, quindi, negare a un fedele la santa Comunione, per la semplice ragione, ad esempio, che egli vuole ricevere l’Eucaristia in ginocchio oppure in piedi.

[92.] Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca,[178] se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli.[179]

[93.] È necessario che si mantenga l’uso del piattino per la Comunione dei fedeli, per evitare che la sacra ostia o qualche suo frammento cada.[180]

[94.] Non è consentito ai fedeli di «prendere da sé e tanto meno passarsi tra loro di mano in mano»[181] la sacra ostia o il sacro calice. In merito, inoltre, va rimosso l’abuso che gli sposi durante la Messa nuziale si distribuiscano in modo reciproco la santa Comunione.

[95.] Il fedele laico «che ha già ricevuto la Santissima Eucaristia, può riceverla una seconda volta nello stesso giorno, soltanto entro la celebrazione eucaristica alla quale partecipa, salvo il disposto del can. 921 § 2».[182]

[96.] Va disapprovato l’uso di distribuire, contrariamente alle prescrizioni dei libri liturgici, a mo’ di Comunione durante la celebrazione della santa Messa o prima di essa ostie non consacrate o altro materiale commestibile o meno. Tale uso, infatti, non si concilia con la tradizione del Rito romano e reca in sé il rischio di ingenerare confusione tra i fedeli riguardo alla dottrina eucaristica della Chiesa. Se in alcuni luoghi vige, per concessione, la consuetudine particolare di benedire il pane e distribuirlo dopo la Messa, si fornisca con grande cura una corretta catechesi di questo gesto. Non si introducano, invece, altre usanze similari, né si utilizzino mai a tale scopo ostie non consacrate.

3. La Comunione dei Sacerdoti

[97.] Ogni volta che celebra la santa Messa, il Sacerdote deve comunicarsi all’altare al momento stabilito dal Messale; i concelebranti, invece, prima di procedere alla distribuzione della Comunione. Il Sacerdote celebrante o concelebrante non attenda mai per comunicarsi il termine della Comunione del popolo.[183]

[98.] La Comunione dei Sacerdoti concelebranti si svolga secondo le norme prescritte nei libri liturgici, facendo sempre uso di ostie consacrate durante la stessa Messa,[184] e ricevendo tutti i concelebranti la Comunione sotto le due specie. Si noti che, quando il Sacerdote o il Diacono amministra ai concelebranti la sacra ostia o il calice, non dice nulla, vale a dire non pronuncia le parole «Il Corpo di Cristo» o «Il Sangue di Cristo».

[99.] La Comunione sotto le due specie è sempre permessa «ai Sacerdoti,che non possono celebrare o concelebrare».[185]

4. La Comunione sotto le due specie

[100.] Al fine di manifestare ai fedeli con maggior chiarezza la pienezza del segno nel convivio eucaristico, sono ammessi alla Comunione sotto le due specie nei casi citati nei libri liturgici anche i fedeli laici, con il presupposto e l’incessante accompagnamento di una debita catechesi circa i principi dogmatici fissati in materia dal Concilio Ecumenico Tridentino.[186]

[101.] Per amministrare la santa Comunione ai fedeli laici sotto le due specie si dovrà tenere appropriatamente conto delle circostanze, sulle quali spetta anzitutto ai Vescovi diocesani dare una valutazione. Ciò si escluda assolutamente quando esista rischio, anche minimo, di profanazione delle sacre specie.[187] Per un più ampio coordinamento, occorre che le Conferenze dei Vescovi pubblichino, con la conferma da parte della Sede Apostolica, mediante la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, le norme relative soprattutto al «modo di distribuire ai fedeli la santa Comunione sotto le due specie e all’estensione della facoltà».[188]

[102.] Non si amministri ai fedeli laici il calice, laddove sia presente un numero di comunicandi tanto grande[189] che risulterebbe difficile stimare la quantità di vino necessario per l’Eucaristia e esisterebbe il rischio che «rimanga una quantità di Sangue di Cristo superiore al giusto da assumere al termine della celebrazione»,[190] né parimenti laddove l’accesso al calice può essere regolato con difficoltà o fosse richiesta una quantità sufficiente di vino, della quale solo difficilmente si può avere garanzia di provenienza e qualità, o laddove non sia disponibile un congruo numero di ministri sacri né di ministri straordinari della sacra Comunione provvisti di appropriata preparazione, o laddove una parte notevole del popolo perseveri, per varie ragioni, nel rifiutarsi di accedere al calice, facendo così venir meno in un certo qual modo il segno dell’unità.

[103.] Le norme del Messale Romano ammettono il principio che, nei casi in cui la Comunione è distribuita sotto le due specie, «il Sangue di Cristo può essere bevuto direttamente al calice, per intinzione, con la cannuccia o con il cucchiaino».[191] Quanto all’amministrazione della Comunione ai fedeli laici, i Vescovi possono escludere la modalità della Comunione con la cannuccia o il cucchiaino, laddove non sia uso locale, rimanendo comunque sempre vigente la possibilità di amministrare la Comunione per intinzione. Se però si usa questa modalità, si ricorra ad ostie che non siano né troppo sottili, né troppo piccole e il comunicando riceva dal Sacerdote il Sacramento soltanto in bocca.[192]

[104.] Non si permetta al comunicando di intingere da sé l’ostia nel calice, né di ricevere in mano l’ostia intinta. Quanto all’ostia da intingere, essa sia fatta di materia valida e sia consacrata, escludendo del tutto l’uso di pane non consacrato o di altra materia.

[105.] Se non fosse sufficiente un solo calice per distribuire la Comunione sotto le due specie ai Sacerdoti concelebranti o ai fedeli, nulla osta che il Sacerdote celebrante usi più calici.[193] Va, infatti, ricordato che tutti i Sacerdoti che celebrano la santa Messa sono tenuti a comunicarsi sotto le due specie. In ragione del segno, è lodevole servirsi di un calice principale più grande insieme ad altri calici di minori dimensioni.

[106.] Ci si astenga, tuttavia, dal riversare dopo la consacrazione il Sangue di Cristo da un vaso in un altro, per evitare qualunque cosa che possa risultare irrispettosa di così grande mistero. Per ricevere il Sangue del Signore non si utilizzino in nessun caso brocche, crateri o altri vasi non integralmente rispondenti alle norme stabilite.

[107.] Secondo la normativa stabilita dai canoni, «chi getta via le specie consacrate, oppure le asporta o le conserva a scopo sacrilego, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; il chierico inoltre può essere punito con altra pena, non esclusa la dimissione dallo stato clericale».[194] All’interno di questo caso si deve considerare annoverabile qualunque azione volontariamente e gravemente volta a dispregio delle sacre specie. Se, pertanto, qualcuno agisce contro le suddette norme, gettando ad esempio le sacre specie nel sacrario o in luogo indegno o a terra, incorre nelle pene stabilite.[195] Tengano, inoltre, tutti presente che, al termine della distribuzione della santa Comunione durante la celebrazione della Messa, vanno osservate le prescrizioni del Messale Romano, e soprattutto che quanto eventualmente resta del Sangue di Cristo deve essere subito interamente consumato dal Sacerdote o, secondo le norme, da un altro ministro, mentre le ostie consacrate avanzate vengano o immediatamente consumate all’altare dal Sacerdote o portate in un luogo appositamente destinato a conservare l’Eucaristia.[196]

 

 

Capitolo V

ALTRI ASPETTI RIGUARDANTI L’EUCARISTIA

 

1. Il luogo della celebrazione della santa Messa

[108.] «La celebrazione eucaristica venga compiuta nel luogo sacro, a meno che in un caso particolare la necessità non richieda altro; nel qual caso, la celebrazione deve essere compiuta in un luogo decoroso».[197] Su tale necessità sarà, di norma, il Vescovo diocesano a valutare secondo il caso per la propria diocesi.

[109.] Non è mai consentito a un Sacerdote celebrare nel tempio o luogo sacro di una religione non cristiana.

2. Circostanze varie relative alla santa Messa

[110.] «Sempre memori che nel mistero del Sacrificio eucaristico viene esercitata ininterrottamente l’opera della redenzione, i Sacerdoti celebrino frequentemente; anzi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale, anche quando non si possa avere la presenza dei fedeli, è un atto di Cristo e della Chiesa, nella cui celebrazione i Sacerdoti adempiono il loro principale compito».[198]

[111.] Un Sacerdote sia ammesso a celebrare o concelebrare l’Eucaristia «anche se sconosciuto al rettore della chiesa, purché esibisca la lettera commendatizia» della Sede Apostolica o del suo Ordinario o del suo Superiore, data almeno entro l’anno, «oppure si possa prudentemente ritenere che non sia impedito di celebrare».[199] I Vescovi provvedano che abitudini contrarie siano eliminate.

[112.] La Messa si celebra o in lingua latina o in altra lingua, purché si faccia ricorso a testi liturgici approvati a norma del diritto. Salvo le celebrazioni della Messa che devono essere svolte nella lingua del popolo secondo gli orari e i tempi stabiliti dall’autorità ecclesiastica, è consentito sempre e ovunque ai Sacerdoti celebrare in latino.[200]

[113.] Quando la Messa è concelebrata da più Sacerdoti, nel pronunciare la Preghiera eucaristica si usi la lingua conosciuta sia da tutti i Sacerdoti concelebranti sia dal popolo riunito. Qualora avvenga che vi siano tra i Sacerdoti alcuni che non conoscono la lingua della celebrazione, cosicché non possono debitamente pronunciare le parti della Preghiera eucaristica che sono loro proprie, essi non concelebrino, ma preferibilmente assistano secondo le norme alla celebrazione indossando l’abito corale.[201]

[114.] «Nelle Messe domenicali della parrocchia, in quanto ‘comunità eucaristica’, è normale poi che si ritrovino i vari gruppi, movimenti, associazioni, le stesse piccole comunità religiose in essa presenti».[202] Benché sia possibile, a norma del diritto, celebrare la Messa per gruppi particolari, ciononostante tali gruppi non sono dispensati dalla fedele osservanza delle norme liturgiche.[203]

[115.] Va riprovato l’abuso di sospendere in modo arbitrario la celebrazione della santa Messa per il popolo, contro le norme del Messale Romano e la sana tradizione del Rito romano, con il pretesto di promuovere «il digiuno eucaristico».

[116.] Non si moltiplichino le Messe, contro la norma del diritto, e, quanto alle offerte per l’intenzione della Messa, si osservino tutte le regole comunque vigenti in forza del diritto.[204]

3. I vasi sacri

[117.] I vasi sacri destinati ad accogliere il Corpo e il Sangue del Signore, siano rigorosamente foggiati a norma di tradizione e dei libri liturgici.[205] È data facoltà alle Conferenze dei Vescovi di stabilire, con la conferma della Santa Sede, se sia opportuno che i vasi sacri siano fabbricati anche con altri materiali solidi. Tuttavia, si richiede strettamente che tali materiali siano davvero nobili secondo il comune giudizio di ciascuna regione,[206] di modo che con il loro uso si renda onore al Signore e si eviti completamente il rischio di sminuire agli occhi dei fedeli la dottrina della presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche. È pertanto riprovevole qualunque uso, per il quale ci si serva nella celebrazione della Messa di vasi comuni o piuttosto scadenti quanto alla qualità o privi di qualsiasi valore artistico, ovvero di semplici cestini o altri vasi in vetro, argilla, creta o altro materiale facilmente frangibile. Ciò vale anche per i metalli e altri materiali facili ad alterarsi.[207]

[118.] I vasi sacri, prima di essere usati, devono essere benedetti dal Sacerdote secondo i riti prescritti nei libri liturgici.[208] È lodevole che la benedizione sia impartita dal Vescovo diocesano, che valuterà se i vasi siano adatti all’uso a cui sono destinati.

[119.] Il Sacerdote, ritornato all’altare dopo la distribuzione della Comunione, stando in piedi all’altare o a un tavolo purifica la patena o la pisside al di sopra del calice, secondo le prescrizioni del Messale, e asciuga il calice con il purificatoio. Se è presente il Diacono, questi torna all’altare insieme al Sacerdote e purifica lui i vasi. È tuttavia consentito, specialmente se sono numerosi, lasciare i vasi sacri da purificare opportunamente coperti sull’altare o sulla credenza sul corporale e che il Sacerdote o il Diacono li purificano subito dopo la Messa, una volta congedato il popolo. Parimenti, l’accolito istituito aiuta il Sacerdote o il Diacono a purificare e sistemare i vasi sacri sia all’altare sia alla credenza. In assenza del Diacono l’accolito istituito porta alla credenza i vasi sacri e li purifica, li asciuga e li sistema come al solito.[209]

[120.] I pastori abbiano cura di mantenere costantemente puliti i lini della mensa sacra, e in particolare quelli destinati ad accogliere le sacre specie, e di lavarli piuttosto di frequente secondo la prassi tradizionale. È lodevole che l’acqua del primo lavaggio, che va eseguito a mano, si versi nel sacrario della chiesa o a terra in un luogo appropriato. Successivamente, si può effettuare un nuovo lavaggio nel modo consueto.

4. Le vesti liturgiche

[121.] «La varietà dei colori nelle vesti sacre ha lo scopo di esprimere, anche con mezzi esterni, da un lato la caratteristica particolare dei misteri della fede che vengono celebrati, e dall’altro il senso della vita cristiana in cammino lungo il corso dell’anno liturgico».[210] In realtà, la differenza«di compiti nella celebrazione della sacra Liturgia, si manifesta esteriormente con la diversità delle vesti sacre. Conviene che tali vesti sacre contribuiscano anche al decoro della stessa azione sacra».[211]

[122.] «Il camice è stretto ai fianchi dal cingolo, a meno che non sia fatto in modo da aderire al corpo anche senza cingolo. Prima di indossare il camice, se questo non copre l’abito comune attorno al collo, si usi l’amitto».[212]

[123.] «Nella Messa e nelle altre azioni sacre direttamente collegate con essa, veste propria del Sacerdote celebrante è la casula o pianeta, se non viene indicato diversamente, da indossarsi sopra il camice e la stola».[213] Parimenti, il Sacerdote che porta la casula secondo le rubriche non tralasci di indossare la stola. Tutti gli Ordinari provvedano che ogni uso contrario sia eliminato.

[124.] Nel Messale Romano si dà facoltà ai Sacerdoti che concelebrano la Messa accanto al celebrante principale, il quale indossi sempre la casula del colore prescritto, di poter omettere, in presenza di una giusta causa, come ad esempio il numero piuttosto elevato di concelebranti e la mancanza di paramenti, «la casula o la pianeta, facendo uso della stola sopra il camice».[214] Qualora tuttavia fosse possibile prevedere tale situazione, si provveda in merito per quanto possibile. Coloro che concelebrano possono anch’essi, oltre al celebrante principale, vestire per necessità la casula di colore bianco. Per il resto, si osservino le norme dei libri liturgici.

[125.] Veste propria del Diacono è la dalmatica, da indossarsi sopra il camice e la stola. Al fine di preservare una insigne tradizione della Chiesa, è lodevole non valersi della facoltà di omettere la dalmatica.[215]

[126.] È riprovevole l’abuso per cui i ministri sacri, anche quando partecipa un solo ministro, celebrano la santa Messa, contrariamente alle prescrizioni dei libri liturgici, senza vesti sacre o indossando la sola stola sopra la cocolla monastica o il normale abito religioso o un vestito ordinario.[216] Gli Ordinari provvedano a correggere quanto prima tali abusi e a far sì che in tutte le chiese e gli oratori sotto la propria giurisdizione sia presente un congruo numero di vesti liturgiche realizzate secondo le norme.

[127.] Nei libri liturgici si dà speciale facoltà di utilizzare nei giorni più solenni le sacre vesti festive, ovvero di maggiore dignità, anche se non siano del colore del giorno.[217] Tale facoltà, tuttavia, riguardando propriamente vesti tessute molti anni or sono al fine di preservare il patrimonio della Chiesa, viene estesa impropriamente a innovazioni in modo tale che, lasciando da parte gli usi tramandati, si assumono forme e colori secondo gusti soggettivi e si menoma il senso di tale norma a detrimento della tradizione. In occasione di un giorno festivo, vesti sacre di color oro o argento possono sostituire, secondo opportunità, quelle di altro colore, ma non le vesti violacee e nere.

[128.] La Santa Messa e le altre celebrazioni liturgiche, che sono azioni di Cristo e del popolo di Dio gerarchicamente costituito, siano ordinate in modo tale che i sacri ministri e i fedeli laici vi possano chiaramente partecipare secondo la propria condizione. È preferibile dunque«che i presbiteri presenti alla celebrazione eucaristica, se non sono scusati da una giusta causa, esercitino di solito il ministero del proprio Ordine e quindi partecipino come concelebranti, indossando le sacre vesti. Diversamente indossano il proprio abito corale o la cotta sopra la veste talare».[218] Non è decoroso, salvo motivate eccezioni, che essi partecipino alla Messa, quanto all’aspetto esterno, alla maniera di fedeli laici.

 

 

Capitolo VI

LA CONSERVAZIONE DELLA SANTISSIMA EUCARISTIA E IL SUO CULTO FUORI DELLA MESSA

 

1. La conservazione della Santissima Eucaristia

[129.] «La celebrazione dell’Eucaristia nel Sacrificio della Messa è veramente l’origine e il fine del culto eucaristico fuori della Messa. Dopo la Messa si conservano le sacre specie soprattutto perché i fedeli, e in modo particolare i malati e gli anziani che non possono essere presenti alla Messa, si uniscano, per mezzo della Comunione sacramentale, a Cristo e al suo sacrificio, immolato e offerto nella Messa».[219] Questa conservazione, inoltre, permette anche la pratica di adorare questo grande Sacramento e di prestare ad esso il culto di latria, che si deve a Dio. È necessario, pertanto, che si promuovano certe forme cultuali di adorazione non solo privata ma anche pubblica e comunitaria istituite o approvate validamente dalla stessa Chiesa.[220]

[130.] «Secondo la struttura di ciascuna chiesa e le legittime consuetudini locali, il Santissimo Sacramento sia conservato nel tabernacolo in una parte della chiesa di particolare dignità, elevata, ben visibile e decorosamente ornata», nonché, in virtù della tranquillità del luogo, dello spazio davanti al tabernacolo e della presenza di panche o sedie e inginocchiatoi, «adatta alla preghiera».[221] Si attenda, inoltre, con cura a tutte le prescrizioni dei libri liturgici e alla norma del diritto,[222] specialmente al fine di evitare il pericolo di profanazione.[223]

[131.] Oltre a quanto prescritto dal can. 934 § 1, è vietato conservare il Santissimo Sacramento in un luogo non soggetto alla sicura autorità del Vescovo diocesano o dove esista pericolo di profanazione. In questo caso, il Vescovo diocesano revochi immediatamente la facoltà di conservazione dell’Eucaristia precedentemente concessa.[224]

[132.] Nessuno porti a casa o in altro luogo la Santissima Eucaristia, contrariamente alla norma del diritto. Si tenga, inoltre, presente che il sottrarre o ritenere a fine sacrilego o il gettar via le specie consacrate sono atti che rientrano in quei graviora delicta, la cui assoluzione è riservata alla Congregazione per la Dottrina della Fede.[225]

[133.] Il Sacerdote o il Diacono o il ministro straordinario che, in assenza o sotto impedimento del ministro ordinario, trasporta la Santissima Eucaristia per amministrare la Comunione a un malato, si rechi dal luogo in cui il Sacramento è conservato fino al domicilio del malato lungo un tragitto possibilmente diretto e tralasciando ogni altra occupazione, in modo da evitare qualsiasi rischio di profanazione e riservare la massima riverenza al Corpo di Cristo. Si osservi sempre il rito dell’amministrazione della Comunione ai malati come prescritto nel Rituale Romano. [226]

2. Alcune forme di culto della Santissima Eucaristia fuori della Messa

[134.] «Il culto all’Eucaristia fuori della Messa è di valore inestimabile nella vita della Chiesa. Tale culto è strettamente congiunto con la celebrazione del Sacrificio eucaristico».[227] Pertanto, si promuova con impegno la pietà sia pubblica sia privata verso la Santissima Eucaristia anche al di fuori della Messa, affinché dai fedeli sia reso culto di adorazione a Cristo veramente e realmente presente,[228] il quale è «Sommo Sacerdote dei beni futuri»[229] e Redentore dell’universo. «Spetta ai Pastori incoraggiare, anche con la testimonianza personale, il culto eucaristico, particolarmente le esposizioni del Santissimo Sacramento, nonché la sosta adorante davanti a Cristo presente sotto le specie eucaristiche».[230]

[135.] I fedeli «durante il giorno non omettano di fare la visita al Santissimo Sacramento, in quanto prova di gratitudine, segno d’amore e debito di riconoscenza a Cristo Signore là presente».[231] L’adorazione di Gesù presente nel Santissimo Sacramento, infatti, in quanto Comunione di desiderio, unisce fortemente il fedele a Cristo, come risplende dall’esempio di numerosi santi.[232] «Se non vi si oppone una grave ragione, la chiesa nella quale viene conservata la Santissima Eucaristia, resti aperta ai fedeli almeno per qualche ora al giorno, affinché possano trattenersi in preghiera dinanzi al Santissimo Sacramento». [233]

[136.] L’Ordinario incoraggi molto vivamente l’adorazione eucaristica, sia breve sia prolungata o quasi continua, con il concorso del popolo. Negli ultimi anni, infatti, in molti «luoghi l’adorazione quotidiana del Santissimo Sacramento ha guadagnato ampio spazio e diviene fonte inesauribile di santità», benché vi siano anche luoghi «dove va registrata una quasi totale noncuranza del culto dell’adorazione eucaristica».[234]

[137.] L’esposizione della Santissima Eucaristia sia compiuta sempre secondo le prescrizioni dei libri liturgici.[235] Non si escluda anche la recita del Rosario, mirabile «nella sua semplicità ed elevatezza»,[236] dinanzi al Santissimo Sacramento conservato o esposto. Tuttavia, soprattutto quando si fa l’esposizione, si ponga in luce l’indole di questa preghiera come contemplazione dei misteri della vita di Cristo Redentore e del disegno di salvezza del Padre onnipotente, utilizzando in particolare letture desunte dalla sacra Scrittura.[237]

[138.] Comunque, il Santissimo Sacramento non deve mai rimanere esposto, anche per brevissimo tempo, senza sufficiente custodia. Si faccia, dunque, in modo che, in tempi stabiliti, alcuni fedeli siano sempre presenti almeno a turno.

[139.] Se il Vescovo diocesano ha ministri sacri o altri destinabili a tale funzione, è diritto dei fedeli fare spesso visita al Santissimo Sacramento per l’adorazione e prendere parte almeno qualche volta nel corso dell’anno all’adorazione della Santissima Eucaristia esposta.

[140.] È particolarmente raccomandabile che nelle città o almeno nei comuni di maggiori dimensioni il Vescovo diocesano designi una chiesa per l’adorazione perpetua, in cui però si celebri frequentemente, e per quanto possibile anche quotidianamente, la santa Messa, interrompendo rigorosamente l’esposizione nel momento in cui si svolge la funzione.[238] È opportuno che l’ostia da esporre durante l’adorazione sia consacrata nella Messa che precede immediatamente il tempo dell’adorazione e sia posta nell’ostensorio sopra l’altare dopo la Comunione.[239]

[141.] Il Vescovo diocesano riconosca e, secondo le possibilità, incoraggi i fedeli nel loro diritto di costituire confraternite ed associazioni per la pratica dell’adorazione anche perpetua. Nei casi in cui tali associazioni assumono indole internazionale, spetta alla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti erigerle o approvare i loro statuti.[240]

3. Le processioni e i Congressi eucaristici

[142.] «Spetta al Vescovo diocesano stabilire delle direttive circa le processioni, con cui provvedere alla loro partecipazione e dignità»,[241] e promuovere l’adorazione dei fedeli.

[143.] «Ove, a giudizio del Vescovo diocesano, è possibile, si svolga, quale pubblica testimonianza di venerazione verso la Santissima Eucaristia e specialmente nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo, la processione condotta attraverso le pubbliche vie»,[242] perché la devota «partecipazione dei fedeli alla processione eucaristica nella solennità del Corpo e Sangue di Cristo è una grazia del Signore che ogni anno riempie di gioia chi vi partecipa».[243]

[144.] Benché in alcuni luoghi ciò non risulti possibile, occorre tuttavia che non vada perduta la tradizione di svolgere le processioni eucaristiche. Si cerchino, piuttosto, nuove maniere di praticarle nelle circostanze attuali, come ad esempio presso i santuari, all’interno di proprietà ecclesiastiche o, con il permesso dell’autorità civile, nei giardini pubblici.

[145.] Va considerata di grande valore l’utilità pastorale dei Congressi eucaristici, i quali «occorre siano segno vero di fede e carità».[244] Siano essi preparati con diligenza e svolti secondo quanto stabilito,[245] affinché sia dato ai fedeli di venerare i sacri misteri del Corpo e del Sangue del Figlio di Dio in modo da sentire incessantemente in se stessi il frutto della redenzione.[246]

 

 

Capitolo VII

I COMPITI STRAORDINARI DEI FEDELI LAICI

 

[146.] Il sacerdozio ministeriale non può essere in nessun modo sostituito. Se, infatti, in una comunità manca il Sacerdote, essa è priva dell’esercizio della funzione sacramentale di Cristo, Capo e Pastore, che appartiene all’essenza stessa della vita della comunità.[247] Infatti, «il ministro, che può celebrare in persona Christi il sacramento dell’Eucaristia, è solo il Sacerdote validamente ordinato».[248]

[147.] Se tuttavia il bisogno della Chiesa lo richiede, in mancanza dei ministri sacri, i fedeli laici possono, a norma del diritto, supplirlo in alcune mansioni liturgiche.[249] Questi fedeli sono chiamati e delegati a svolgere determinati compiti, di maggiore e di minore importanza, sostenuti dalla grazia del Signore. Molti fedeli laici si sono già dedicati e si dedicano tuttora sollecitamente a tale servizio, soprattutto nelle terre di missione, dove la Chiesa ha ancora poca diffusione o si trova in condizioni di persecuzione,[250] ma anche in altre regioni colpite dalla scarsità di Sacerdoti e Diaconi.

[148.] In particolar modo, di grande importanza va considerata l’istituzione dei catechisti, che hanno fornito e forniscono con grande impegno un aiuto unico e assolutamente necessario alla diffusione della fede e della Chiesa.[251]

[149.] In alcune diocesi di più antica evangelizzazione molto di recente sono stati incaricati come «assistenti pastorali» dei fedeli laici, moltissimi dei quali hanno senza dubbio giovato al bene della Chiesa, sostenendo l’azione pastorale propria del Vescovo, dei Sacerdoti e dei Diaconi. Si badi, tuttavia, che il profilo di tale compito non sia troppo assimilato alla forma del ministero pastorale dei chierici. Si deve, cioè, curare che gli «assistenti pastorali» non si assumano funzioni che spettano propriamente al ministero dei sacri ministri.

[150.] L’attività dell’assistente pastorale sia volta ad agevolare il ministero dei Sacerdoti e dei Diaconi, suscitare vocazioni al sacerdozio e al diaconato e preparare con zelo, a norma del diritto, i fedeli laici in ciascuna comunità a svolgere i vari compiti liturgici secondo la molteplicità dei carismi.

[151.] Soltanto in caso di vera necessità si dovrà ricorrere all’aiuto dei ministri straordinari nella celebrazione della Liturgia. Ciò, infatti, non è previsto per assicurare una più piena partecipazione dei laici, ma è per sua natura suppletivo e provvisorio.[252] Se, inoltre, per necessità si ricorre agli uffici dei ministri straordinari, si moltiplichino le preghiere speciali e continue al Signore, perché mandi presto un Sacerdote al servizio della comunità e susciti con abbondanza le vocazioni agli Ordini sacri.[253]

[152.] Tali funzioni meramente sostitutive non risultino, poi, pretesto di alterazione dello stesso ministero dei Sacerdoti, di modo che costoro trascurino la celebrazione della santa Messa per il popolo loro affidato, la personale sollecitudine verso i malati e la premura di battezzare i bambini, assistere ai matrimoni e celebrare le esequie cristiane, le quali spettano anzitutto ai Sacerdoti con l’aiuto dei Diaconi. Non avvenga, pertanto, che i Sacerdoti nelle parrocchie scambino indifferentemente le funzioni di servizio pastorale con i Diaconi o i laici, confondendo in tal modo la specificità di ognuno.

[153.] Inoltre, non è consentito ai laici assumere le funzioni o i paramenti del Diacono o del Sacerdote, né altre vesti simili ad essi.

1. Il ministro straordinario della sacra Comunione

[154.] Come è stato già ricordato, «ministro, in grado di celebrare in persona Christi il sacramento dell’Eucaristia, è il solo Sacerdote validamente ordinato».[254] Perciò il nome di «ministro dell’Eucaristia» spetta propriamente al solo Sacerdote. Anche a motivo della sacra Ordinazione, i ministri ordinari della santa Comunione sono i Vescovi, i Sacerdoti e i Diaconi,[255] ai quali, dunque, spetta distribuire la santa Comunione ai fedeli laici nella celebrazione della santa Messa. Si manifesti, così, correttamente e con pienezza il loro compito ministeriale nella Chiesa e si adempia il segno sacramentale.

[155.] Oltre ai ministri ordinari c’è l’accolito istituito, che è per istituzione ministro straordinario della santa Comunione anche al di fuori della celebrazione della Messa. Se inoltre ragioni di autentica necessità lo richiedano, il Vescovo diocesano può delegare, a norma del diritto,[256] allo scopo anche un altro fedele laico come ministro straordinario, ad actum o ad tempus, servendosi nella circostanza della appropriata formula di benedizione. Questo atto di deputazione, tuttavia, non ha necessariamente forma liturgica, né in alcun modo, se la avesse, può essere assimilato a una sacra Ordinazione. Soltanto in casi particolari e imprevisti, può essere dato un permesso ad actum da parte del Sacerdote che presiede la celebrazione eucaristica.[257]

[156.] Questo ufficio venga inteso in senso stretto secondo la sua denominazione di ministro straordinario della santa Comunione, e non «ministro speciale della santa Comunione» o «ministro straordinario dell’Eucaristia» o «ministro speciale dell’Eucaristia», definizioni che ne amplificano indebitamente e impropriamente la portata.

[157.] Se è di solito presente un numero di ministri sacri sufficiente anche alla distribuzione della santa Comunione, non si possono deputare a questo compito i ministri straordinari della santa Comunione. In simili circostanze, coloro che fossero deputati a tale ministero, non lo esercitino. È riprovevole la prassi di quei Sacerdoti che, benché presenti alla celebrazione, si astengono comunque dal distribuire la Comunione, incaricando di tale compito i laici.[258]

[158.] Il ministro straordinario della santa Comunione, infatti, potrà amministrare la Comunione soltanto quando mancano il Sacerdote o il Diacono, quando il Sacerdote è impedito da malattia, vecchiaia o altro serio motivo o quando il numero dei fedeli che accedono alla Comunione è tanto grande che la celebrazione stessa della Messa si protrarrebbe troppo a lungo.[259] Tuttavia, ciò si ritenga nel senso che andrà considerata motivazione del tutto insufficiente un breve prolungamento, secondo le abitudini e la cultura del luogo.

[159.] Non è in nessun modo consentito al ministro straordinario della santa Comunione delegare all’amministrazione dell’Eucaristia qualcun altro, come ad esempio un genitore, il marito o il figlio del malato che si deve comunicare.

[160.] Il Vescovo diocesano riesamini la prassi degli ultimi anni in materia e la corregga secondo opportunità o la determini con maggior chiarezza. Se per effettiva necessità tali ministri straordinari vengono deputati in maniera estesa, occorre che il Vescovo diocesano pubblichi delle norme particolari, con cui, tenendo presente la tradizione della Chiesa, stabilisca delle direttive a norma del diritto in merito all’esercizio di questo compito.

2. La predicazione

[161.] Come è stato già detto, l’omelia è per la sua importanza e natura riservata al Sacerdote o al Diacono durante la Messa.[260] Per quanto attiene ad altre forme di predicazione, se in particolari circostanze la necessità lo richiede o in specifici casi l’utilità lo esige, si possono a norma del diritto ammettere a predicare in chiesa o in un oratorio al di fuori della Messa, i fedeli laici.[261] Ciò può avvenire soltanto per l’esiguità del numero di ministri sacri in alcuni luoghi al fine di supplire ad essi e non lo si può mutare da caso di assoluta eccezionalità a fatto ordinario, né deve essere inteso come autentica promozione del laicato.[262] Va, inoltre, ricordato che la facoltà di permettere ciò, sempre ad actum, spetta agli Ordinari del luogo e non ad altri, neppure Sacerdoti o Diaconi.

3. Celebrazioni particolari che si svolgono in assenza del Sacerdote

[162.] La Chiesa, nel giorno che prende il nome di «domenica», si raduna insieme fedelmente per commemorare, specialmente con la celebrazione della Messa, la resurrezione del Signore e tutto il mistero pasquale.[263] Infatti, «nessuna comunità cristiana si edifica, se non si radica ed incardina nella celebrazione della Santissima Eucaristia».[264] Il popolo cristiano ha, dunque, il diritto che sia celebrata l’Eucaristia in proprio favore la domenica, nelle feste di precetto, negli altri giorni principali di festa e, per quanto possibile, anche quotidianamente. Se, pertanto, di domenica in una parrocchia o altra comunità di fedeli è difficile avere la celebrazione della Messa, il Vescovo diocesano valuti insieme con il presbiterio gli opportuni rimedi.[265] Tra queste soluzioni, le principali saranno quelle di chiamare altri Sacerdoti allo scopo o che i fedeli vadano nella chiesa di un luogo vicino per prendervi parte al mistero eucaristico.[266]

[163.] Tutti i Sacerdoti, ai quali sono stati affidati il sacerdozio e l’Eucaristia «per il bene» degli altri,[267] abbiano a mente che è loro dovere offrire a tutti i fedeli l’opportunità di poter soddisfare il precetto di prendere parte alla Messa di domenica.[268] Per parte loro, i fedeli laici hanno il diritto che nessun Sacerdote, se non in presenza di effettiva impossibilità, si rifiuti mai di celebrare la Messa per il popolo o rifiuti che essa sia celebrata da un altro, se non si può soddisfare in altro modo il precetto di prendere parte alla Messa di domenica e negli altri giorni stabiliti.

[164.] «Se per la mancanza del ministro sacro o per altra grave causa diventa impossibile la partecipazione alla celebrazione eucaristica»,[269] il popolo cristiano ha il diritto che il Vescovo diocesano provveda, secondo le possibilità, che sia compiuta una celebrazione per la comunità stessa la domenica sotto la propria autorità e secondo le norme stabilite dalla Chiesa. Tali celebrazioni domenicali, tuttavia, vanno sempre considerate del tutto straordinarie. Pertanto, sarà cura di tutti, sia Diaconi sia fedeli laici, ai quali è assegnato un compito da parte del Vescovo diocesano all’interno di tali celebrazioni, «mantenere viva nella comunità una vera “fame” dell’Eucaristia, che conduca a non perdere nessuna occasione di avere la celebrazione della Messa, anche approfittando della presenza occasionale di un Sacerdote non impedito a celebrarla dal diritto della Chiesa».[270]

[165.] Occorre evitare con cura ogni forma di confusione tra questo tipo di riunioni e la celebrazione eucaristica.[271] I Vescovi diocesani, pertanto, valutino con prudenza se in tali riunioni si debba distribuire la santa Comunione. Per un più ampio coordinamento, la questione sia opportunamente determinata nell’ambito della Conferenza dei Vescovi, in modo da pervenire a una risoluzione, con la conferma da parte della Sede Apostolica, mediante la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Sarà preferibile, inoltre, in assenza del Sacerdote e del Diacono, che le varie parti siano distribuite tra più fedeli anziché sia un solo fedele laico a guidare l’intera celebrazione. In nessun caso è appropriato dire che un fedele laico «presiede» la celebrazione.

[166.] Parimenti, il Vescovo diocesano, al quale soltanto spetta la questione, non conceda con facilità che tali celebrazioni, soprattutto se in esse si distribuisce anche la santa Comunione, avvengano nei giorni feriali e soprattutto in luoghi in cui si è potuto o si potrà celebrare la Messa la domenica precedente o successiva. I Sacerdoti sono fermamente pregati di celebrare, secondo le possibilità, quotidianamente la santa Messa per il popolo in una delle chiese a loro affidate.

[167.] «Similmente, non si può pensare di sostituire la santa Messa domenicale con celebrazioni ecumeniche della Parola o con incontri di preghiera in comune con cristiani appartenenti alle […] Comunità ecclesiali, oppure con la partecipazione ai loro riti liturgici».[272] Se poi il Vescovo diocesano, spinto da necessità, ha permesso ad actum la partecipazione dei cattolici, i pastori badino che tra i fedeli cattolici non si ingeneri confusione quanto alla necessità di prendere parte anche in queste occasioni alla Messa di precetto, in un’altra ora della giornata.[273]

4. Coloro che sono stati dimessi dallo stato clericale

[168.] Al «chierico che a norma del diritto perde lo stato clericale […] è proibito esercitare la potestà di ordine».[274] A costui, pertanto, non è consentito celebrare sotto alcun pretesto i sacramenti, salvo esclusivamente il caso di eccezionalità previsto dal diritto,[275] né è consentito ai fedeli ricorrere a lui per la celebrazione, quando non vi è giusta causa che permetta ciò a norma del can. 1335.[276] Tali persone, inoltre, non tengano l’omelia,[277] né assumano mai alcun incarico o compito nella celebrazione della sacra Liturgia, di modo che non si ingeneri confusione tra i fedeli e non ne risulti offuscata la verità.

 

 

Capitolo VIII

I RIMEDI

 

[169.] Quando si compie un abuso nella celebrazione della sacra Liturgia, si opera un’autentica contraffazione della Liturgia cattolica. Ha scritto san Tommaso: «incorre nel vizio di falsificazione chi per conto della Chiesa manifesta a Dio un culto contro la modalità istituita per autorità divina dalla Chiesa e consueta in essa».[278]

[170.] Al fine di porre rimedio a tali abusi, ciò «che in sommo grado urge è la formazione biblica e liturgica del popolo di Dio, dei pastori e dei fedeli»,[279] di modo che la fede e la disciplina della Chiesa in merito alla sacra Liturgia siano correttamente presentate e comprese. Se tuttavia gli abusi persistono, occorrerà procedere, a norma del diritto, a tutela del patrimonio spirituale e dei diritti della Chiesa, facendo ricorso a tutti i mezzi legittimi.

[171.] Tra i vari abusi vi sono quelli che costituiscono obiettivamente graviora delicta, gli atti gravi e altri che vanno nondimeno evitati e attentamente corretti. Tenendo conto di tutto ciò che è stato in particolar modo trattato nel Capitolo I di questa Istruzione, occorrerà prestare ora attenzione a quanto segue.

1. Graviora delicta

[172.] I graviora delicta contro la santità del Santissimo Sacrificio e sacramento dell’Eucaristia vanno trattati seguendo le «Norme relative ai graviora delicta riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede»,[280] vale a dire:

a) sottrazione o ritenzione a fine sacrilego o il gettar via le specie consacrate;[281]

b) tentata azione liturgica del Sacrificio eucaristico o sua simulazione;[282]

c) concelebrazione proibita del Sacrificio eucaristico insieme a ministri di Comunità ecclesiali i quali non hanno la successione apostolica, né riconoscono la dignità sacramentale dell’ordinazione sacerdotale;[283]

d) consacrazione a fine sacrilego di una materia senza l’altra nella celebrazione eucaristica o anche di entrambe al di fuori della celebrazione eucaristica.[284]

2. Atti gravi

[173.] Sebbene il giudizio sulla gravità della questione vada formulato secondo la dottrina comune della Chiesa e le norme da essa stabilite, come atti gravi vanno sempre obiettivamente considerati quelli che mettono a rischio la validità e dignità della Santissima Eucaristia, ovvero quelli che contrastano con i casi precedentemente illustrati ai nn. 48-52, 56, 76-77, 79, 91-92, 94, 96, 101-102, 104, 106, 109, 111, 115, 117, 126, 131-133, 138, 153 e 168. Si deve, inoltre, fare attenzione alle prescrizioni del Codice di Diritto Canonico e in particolare a quanto stabilito dai cann. 1364, 1369, 1373, 1376, 1380, 1384, 1385, 1386 e 1398.

3. Altri abusi

[174.] Inoltre, le azioni commesse contro quelle norme, di cui si tratta altrove in questa Istruzione e nelle norme stabilite dal diritto, non vanno considerate con leggerezza, ma le si annoveri tra gli altri abusi da evitare e correggere con sollecitudine.

[175.] Quanto esposto nella presente Istruzione, come risulta chiaro, non riporta tutte le violazioni contro la Chiesa e la sua disciplina, quali sono definite nei canoni, nelle leggi liturgiche e nelle altre norme della Chiesa secondo la dottrina del Magistero o la sana tradizione. Se qualche errore viene commesso, andrà corretto a norma del diritto.

4. Il Vescovo diocesano

[176.] Il Vescovo diocesano, «essendo il principale dispensatore dei misteri di Dio, si adoperi di continuo perché i fedeli affidati alle sue cure crescano in grazia mediante la celebrazione dei sacramenti e perché conoscano e vivano il mistero pasquale».[285] A lui spetta, «entro i limiti della sua competenza, dare norme in materia liturgica, alle quali tutti sono tenuti».[286]

[177.] «Poiché deve difendere l’unità della Chiesa universale, il Vescovo è tenuto a promuovere la disciplina comune a tutta la Chiesa e perciò a urgere l’osservanza di tutte le leggi ecclesiastiche. Vigili che non si insinuino abusi nella disciplina ecclesiastica, soprattutto nel ministero della parola, nella celebrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nel culto di Dio e dei Santi».[287]

[178.] Pertanto, ogni qualvolta l’Ordinario del luogo o di un Istituto religioso oppure di una Società di vita apostolica abbia notizia, quanto meno verosimile, a proposito di un delitto o di un abuso riguardante la Santissima Eucaristia, indaghi con cautela, in prima persona o mediante altro chierico idoneo, sui fatti, le circostanze e l’imputabilità.

[179.] I delitti contro la fede e i graviora delicta commessi durante la celebrazione dell’Eucaristia e degli altri sacramenti siano segnalati senza indugio alla Congregazione per la Dottrina della Fede, che li esamina «e, all’occorrenza, procede a dichiarare o ad infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio».[288]

[180.] Diversamente, l’Ordinario proceda a norma dei sacri canoni, applicando, ove fosse il caso, le pene canoniche e tenendo presente in modo particolare quanto stabilito dal can. 1326. Qualora si tratti di azioni gravi, informi la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

5. La Sede Apostolica

[181.] Ogni qualvolta la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha notizia, quanto meno verosimile, di un delitto o abuso relativo alla Santissima Eucaristia, ne informa l’Ordinario, affinché indaghi sul fatto. Qualora esso risulti grave, l’Ordinario invii al più presto allo stesso Dicastero un esemplare degli atti relativi all’indagine eseguita e, eventualmente, sulla pena inflitta.

[182.] Nei casi di maggiore difficoltà l’Ordinario non trascuri per il bene della Chiesa universale, della cui sollecitudine anche egli partecipa in virtù della sacra Ordinazione, di trattare la questione dopo avere consultato il parere della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti. Da parte sua, questa Congregazione, in virtù delle facoltà ad essa concesse dal Romano Pontefice, sosterrà l’Ordinario secondo il caso, accordandogli le necessarie dispense[289] o comunicandogli istruzioni e prescrizioni, alle quali egli ottemperi con diligenza.

6. Segnalazioni di abusi in materia liturgica

[183.] In modo assolutamente particolare tutti, secondo le possibilità, facciano sì che il Santissimo Sacramento dell’Eucaristia sia custodito da ogni forma di irriverenza e aberrazione e tutti gli abusi vengano completamente corretti. Questo è compito della massima importanza per tutti e per ciascuno, e tutti sono tenuti a compiere tale opera, senza alcun favoritismo.

[184.] Ogni cattolico, sia Sacerdote sia Diacono sia fedele laico, ha il diritto di sporgere querela su un abuso liturgico presso il Vescovo diocesano o l’Ordinario competente a quegli equiparato dal diritto o alla Sede Apostolica in virtù del primato del Romano Pontefice.[290] È bene, tuttavia, che la segnalazione o la querela sia, per quanto possibile, presentata dapprima al Vescovo diocesano. Ciò avvenga sempre con spirito di verità e carità.

 

CONCLUSIONE

 

[185.] «Ai germi di disgregazione tra gli uomini, che l’esperienza quotidiana mostra tanto radicati nell’umanità a causa del peccato, si contrappone la forza generatrice di unità del corpo di Cristo. L’Eucaristia, costruendo la Chiesa, proprio per questo crea comunità fra gli uomini».[291] Pertanto, questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti si augura che, anche mediante l’attenta applicazione di quanto richiamato alla mente nella presente Istruzione, l’umana fragilità intralci in misura minore l’azione del Santissimo Sacramento dell’Eucaristia e, rimossa ogni irregolarità, bandito ogni uso riprovato, per intercessione della Beata Vergine Maria, «donna eucaristica»,[292] la presenza salvifica di Cristo nel Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue risplenda su tutti gli uomini.

[186.] Tutti i fedeli partecipino, secondo le possibilità, pienamente, consapevolmente e attivamente alla Santissima Eucaristia,[293] la venerino con tutto il cuore nella devozione e nella vita. I Vescovi, i Sacerdoti e i Diaconi, nell’esercizio del sacro ministero, si interroghino in coscienza sulla autenticità e sulla fedeltà delle azioni da loro compiute a nome di Cristo e della Chiesa nella celebrazione della sacra Liturgia. Ogni ministro sacro si interroghi, anche con severità, se ha rispettato i diritti dei fedeli laici, che affidano a lui con fiducia se stessi e i loro figli, nella convinzione che tutti svolgono correttamente per i fedeli quei compiti che la Chiesa, per mandato di Cristo, intende adempiere nel celebrare la sacra Liturgia.[294] Ciascuno ricordi sempre, infatti, di essere servitore della sacra Liturgia.[295]

Nonostante qualunque cosa in contrario.

Questa Istruzione, redatta, per disposizione del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti d’intesa con la Congregazione per la Dottrina della Fede, è stata approvata dallo stesso Pontefice il 19 marzo 2004, nella solennità di san Giuseppe, il quale ne ha disposto la pubblicazione e l’immediata osservanza da parte di tutti coloro a cui spetta.

Roma, dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, il 25 marzo 2004, nella solennità dell’Annunciazione del Signore.

Francis Card. Arinze, Prefetto

Domenico Sorrentino Arcivescovo Segretario

 

 


 

NOTE

[1] Cf. Missale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum, editio typica tertia, diei 20 aprilis 2000, Typis Vaticanis, 2002, Missa votiva de Dei misericordia, oratio super oblata, p. 1159.

[2] Cf. 1 Cor 11, 26; Missale Romanum, Prex Eucharistica, acclamatio post consecrationem, p. 576; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, nn. 5, 11, 14, 18: AAS 95 (2003) pp. 436, 440-441, 442, 445.

[3] Cf. Is 10, 33; 51, 22; Missale Romanum, In sollemnitate Domini nostri Iesu Christi, universorum Regis, Praefatio, p. 499.

[4] Cf.1 Cor 5, 7; Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, 7 dicembre 1965, n. 5; Giovanni Paolo II, Esort. Apost., Ecclesia in Europa, 28 giugno 2003, n. 75: AAS 95 (2003) pp. 649-719, qui p. 693.

[5] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, 21 novembre 1964, n. 11.

[6] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, 17 aprile 2003, n. 21: AAS 95 (2003) p. 447.

[7] Cf. Ibidem: AAS 95 (2003) pp. 433-475.

[8] Cf. Ibidem, n. 52: AAS 95 (2003) p. 468.

[9] Cf. Ibidem.

[10] Ibidem, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[11] Ibidem;cf. Giovanni Paolo II,Lett. Apost., Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, nn. 12-13: AAS 81 (1989) pp. 909-910; cf. anche Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, 4 dicembre 1963, n. 48.

[12] Missale Romanum, Prex Eucharistica III, p. 588; cf. 1 Cor 12, 12-13; Ef 4, 4.

[13] Cf. Fil 2, 5.

[14] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[15] Ibidem, n. 6: AAS 95 (2003) p. 437; cf. Lc 24, 31.

[16] Cf. Rm 1, 20.

[17] Cf. Missale Romanum, Praefatio I de Passione Domini, p. 528.

[18] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Veritatis splendor, 6 agosto 1993, n. 35: AAS 85 (1993) pp. 1161-1162; Giovanni Paolo II, Omelia tenuta presso Camden Yards, 9 ottobre 1995, n. 7: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XVII, 2 (1995), Libreria Editrice Vaticana, 1998, p. 788.

[19] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[20] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24; cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, 25 gennaio 1994, nn. 19 e 23: AAS 87 (1995) pp. 295-296, 297.

[21] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 33.

[22] Cf. S. Ireneo, Adversus Haereses, III, 2: SCh., 211, 24-31; S. Agostino, Epistula ad Ianuarium, 54, I: PL 33, 200: «Illa autem quae non scripta, sed tradita custodimus, quae quidem toto terrarum orbe servantur, datur intellegi vel ab ipsis Apostolis, vel plenariis conciliis, quorum est in Ecclesia saluberrima auctoritas, commendata atque statuta retineri»; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Redemptoris missio, 7 dicembre 1990, nn. 53-54: AAS 83 (1991) pp. 300-302; Congr. per la Dottr. della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcuni aspetti della Chiesa intesa come comunione, Communionis notio, 28 maggio 1992, nn. 7-10: AAS 85 (1993) pp. 842-844; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, n. 26: AAS 87 (1995) pp. 298-299.

[23] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 21.

[24] Cf. Pio XII, Cost. Ap., Sacramentum Ordinis, 30 novembre 1947: AAS 40 (1948) p. 5; Congr. per la Dottr. della Fede, Dichiar., Inter insigniores, 15 ottobre 1976, parte IV: AAS 69 (1977) pp. 107-108; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, n. 25: AAS 87 (1995) p. 298.

[25] Cf. Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei, 20 novembre 1947: AAS 39 (1947) p. 540.

[26] Cf. S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, 3 aprilis 1980: AAS 72 (1980) p. 333.

[27] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52: AAS 95 (2003) p. 468.

[28] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 4, 38; Decr. sulle Chiese Orientali Cattoliche, Orientalium Ecclesiarum, 21 novembre 1964, nn. 1, 2, 6; Paolo VI, Cost. Ap., Missale Romanum: AAS 61 (1969) pp. 217-222; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 399; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Liturgiam authenticam, 28 marzo 2001, n. 4: AAS 93 (2001) pp. 685-726, qui p. 686.

[29] Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Ap., Ecclesia in Europa, n. 72: AAS 95 (2003) p. 692.

[30] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, 25 maggio 1967, n. 23: AAS 95 (2003) pp. 448-449; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, 25 maggio 1967, n. 6: AAS 59 (1967) p. 545.

[31] Cf. S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum: AAS 72 (1980) pp. 332-333.

[32] Cf. 1 Cor 11, 17-34; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52: AAS 95 (2003) pp. 467-468.

[33] Cf. Codice di Diritto Canonico, 25 gennaio 1983, can. 1752.

[34] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 22 § 1. Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 838 § 1.

[35] Codice di Diritto Canonico,can. 331; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 22.

[36] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 838 § 2.

[37] Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, 28 giugno 1988: AAS 80 (1988) pp. 841-924; qui artt. 62, 63, e 66, pp. 876-877.

[38] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52: AAS 95 (2003) p. 468.

[39] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, Christus Dominus, 28 ottobre 1965, n. 15; cf. anche Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 41; Codice di Diritto Canonico,can. 387.

[40] Orazione per la consacrazione episcopale nel rito bizantino: Euchologion to mega, Roma, 1873, p. 139.

[41] Cf. S. Ignazio di Antiochia, Ad Smyrn.8, 1: ed. F.X. Funk, I, p. 282.

[42] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 26; cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 7: AAS 59 (1967) p. 545; cf. anche Giovanni Paolo II, Esort. Ap., Pastores gregis, 16 ottobre 2003, nn. 32-41: L’ Osservatore romano, 17 ottobre 2003, pp. 6-8.

[43] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 41; cf. S. Ignazio di Antiochia, Ad Magn. 7; Ad Philad. 4; Ad Smyrn. 8: ed. F.X. Funk, I, pp. 236, 266, 281; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 22; cf. anche Codice di Diritto Canonico,can. 389.

[44] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 26.

[45] Codice di Diritto Canonico, can. 838 § 4.

[46] Cf. Cons. ad exsequ. Const. Lit., Dubium: Notitiae 1 (1965) p. 254.

[47] Cf. At 20, 28; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.sulla Chiesa, Lumen gentium, nn. 21 e 27; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, Christus Dominus, n. 3.

[48] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, 5 settembre 1970: AAS 62 (1970) p. 694.

[49] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 21; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi nella Chiesa, Christus Dominus, n. 3.

[50] Cf. Caeremoniale Episcoporum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Ioannis Pauli Pp. II promulgatum, editio typica, diei 14 septembris 1984, Typis Polyglottis Vaticanis, 1985, n. 10.

[51] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 387.

[52] Cf. ibidem, n. 22.

[53] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes: AAS 62 (1970) p. 694.

[54] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 27; cf. 2 Cor 4, 15.

[55] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 397 § 1; 678 § 1.

[56] Cf. ibidem,can. 683 § 1.

[57] Cf. ibidem, can. 392.

[58] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 21: AAS 81 (1989) p. 917; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 45-46; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 562.

[59] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Apost., Vicesimus quintus annus, n. 20: AAS 81 (1989) p. 916.

[60] Cf. ibidem.

[61] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 44; Congr. per i Vescovi, Lett. ai Presidenti delle Conferenze dei Vescovi inviata anche a nome della Congr. per l’Evangelizzazione dei Popoli, 21 giugno 1999, n. 9: AAS 91 (1999) p. 999.

[62] Cf. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 12: AAS 62 (1970) pp. 692-704, qui p. 703.

[63] Cf. Congr. per il CultoDiv., Dichiarazione circa le Preghiere eucaristiche e gli esperimenti liturgici, 21 marzo 1988: Notitiae 24 (1988) pp. 234-236.

[64] Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae: AAS 87 (1995) pp. 288-314.

[65] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 838 § 3; S. Congr. dei Riti, Istr. Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 31: AAS 56 (1964) p. 883; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Liturgiam authenticam, nn. 79-80: AAS 93 (2001) pp. 711-713.

[66] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, 7 dicembre 1965, n. 7; Pontificale Romanum, ed. 1962: Ordo consecrationis sacerdotalis, in Praefatione; Pontificale Romanum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II renovatum, auctoritate Pauli Pp. VI editum, Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum: De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera, diei 29 iunii 1989, Typis Polyglottis Vaticanis, 1990, cap. II, De Ordin. presbyterorum, Praenotanda, n. 101.

[67] Cf. S. Ignatio di Antiochia, Ad Philad. 4: ed. F.X. Funk, I, p. 266; S. Cornelio I citato in S. Cipriano, Epist. 48, 2: ed. G. Hartel, III, 2, p. 610.

[68] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 28.

[69] Cf. ibidem.

[70] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 52; cf. n. 29: AAS 95 (2003) pp. 467-468; 452-453.

[71] Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera: De Ordinatione presbyterorum, n. 124; cf. Missale Romanum, Feria V in Hebdomada Sancta: Ad Missam chrismatis, Renovatio promissionum sacerdotalium, p. 292

[72] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sessione VII, 3 marzo 1547, Decr. sui Sacramenti, can. 13: DS 1613; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 22; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) pp. 544, 546-547, 562; Codice di Diritto Canonico, can. 846, § 1; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 24.

[73] S. Ambrogio, De Virginitate, n. 48: PL 16, 278.

[74] Codice di Diritto Canonico, can. 528 § 2.

[75] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, n. 5.

[76] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 5: AAS 95 (2003) p. 436.

[77] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 29; cf. Constitutiones Ecclesiae Aegypticae, III, 2: ed. F.X. Funk, Didascalia, II, p. 103; Statuta Ecclesiae Ant., 37-41: ed. D. Mansi 3, 954.

[78] Cf. At 6, 3.

[79] Cf. Gv 13, 35.

[80] Mt 20, 28.

[81] Cf. Lc 22, 27.

[82] Cf. Caeremoniale Episcoporum, nn. 9, 23. Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 29.

[83] Cf. Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera, cap. III, De Ordin. diaconorum, n. 199.

[84] Cf. 1 Tm 3, 9.

[85] Cf. Pontificale Romanum, De Ordinatione Episcopi, presbyterorum et diaconorum, editio typica altera, cap. III, De Ordin. diaconorum, n. 200.

[86] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 10.

[87] Cf. ibidem, n. 41; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 11; Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, nn. 2, 5, 6; Decr. sull’ufficio pastorale dei Vescovi, Christus Dominus, n. 30; Decr. sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio, 21 novembre 1964, n. 15; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, nn. 3 e, 6: AAS 59 (1967) pp. 542, 544-545; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 16.

[88] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 26; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 91.

[89] 1 Pt 2, 9; cf. 2, 4-5.

[90] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 91; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 14.

[91] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 10.

[92] Cf. S. Tommasod’Aquino, Summa Theol., III, q. 63, a. 2.

[93] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 10; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 28: AAS 95 (2003) p. 452.

[94] Cf. At 2, 42-47.

[95] Cf. Rm 12, 1.

[96] Cf. 1 Pt 3, 15; 2, 4-10.

[97] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, nn. 12-18: AAS 95 (2003) pp. 441-445; Id.,Lett., Dominicae Cenae, 24 febbraio 1980, n. 9: AAS 72 (1980) pp. 129-133.

[98] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[99] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 30-31.

[100] Cf. S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Liturgicae instaurationes, n. 1: AAS 62 (1970) p. 695.

[101] Cf. Missale Romanum, Feria secunda post Dominica V in Quadragesima, Collecta, p. 258.

[102] Giovanni Paolo II,Lett. Ap., Novo Millennio ineunte, 6 gennaio 2001, n. 21: AAS 93 (2001) p. 280; cf. Gv 20, 28.

[103] Cf. Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 586; cf. anche Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 67; Paolo VI, Esort. Ap., Marialis cultus, 11 febbraio 1974, n. 24: AAS 66 (1974) pp. 113-168, qui p. 134; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Direttorio su pietà popolare e Liturgia, 17 dicembre 2001.

[104] Cf. Giovanni Paolo II, Ep. Ap., Rosarium Virginis Mariae, 16 ottobre 2002: AAS 95 (2003) pp. 5-36.

[105] Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) pp. 586-587.

[106] Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Istr., Varietates legitimae, n. 22: AAS 87 (1995) p. 297.

[107] Cf. Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 553.

[108] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 29: AAS 95 (2003) p. 453; cf. Conc. Ecum. Lateran. IV., 11-30 novembre 1215, cap. 1: DS802; Conc. Ecum. Trid., Sess. XXIII, 15 luglio 1563, Dottrina e canonisulla sacr. ordin., cap. 4: DS 1767-1770; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 553.

[109] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 230 § 2; cf. anche Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 97.

[110] Cf. anche Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 109.

[111] Cf. Paolo VI, Motu proprio, Ministeria quaedam, 15 agosto 1972, nn. VI-XII: Pontificale Romanum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, De institutione lectorum et acolythorum, de admissione inter candidatos ad diaconatum et presbyteratum, de sacro caelibatu amplectendo, editio typica, diei 3 decembris 1972, Typis Polyglottis Vaticanis, 1973, p. 10: AAS 64 (1972) pp. 529-534, qui pp. 532-533; Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 1; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 98-99, 187-193.

[112] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 187-190, 193; Codice di Diritto Canonico, can. 230 §§ 2-3.

[113] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 24; S. Congr. per i Sacr. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, nn. 2 e 18: AAS 72 (1980) pp. 334, 338; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 101, 194-198; Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 2-3.

[114] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 100-107.

[115] Ibidem, n. 91; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 28.

[116] Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Conferenza dei Vescovi delle Antille, 7 maggio 2002, n. 2: AAS 94 (2002) pp. 575-577; Esort. Ap. post-sinodale, Christifideles laici, 30 dicembre 1988, n. 23: AAS 81 (1989) pp. 393-521, qui pp. 429-431; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, 15 agosto 1997, Principi teologici, n. 4: AAS 89 (1997) pp. 860-861.

[117] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 19.

[118] Cf. S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Immensae caritatis, 29 gennaio 1973: AAS 65 (1973) p. 266.

[119] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., De Musica sacra, 3 settembre 1958, n. 93c: AAS 50 (1958) p. 656.

[120] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legisl., Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1992: AAS 86 (1994) pp. 541-542; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Lett. ai Presidenti delle Conf. dei Vescovi sul servizio liturgico dei laici, 15 marzo 1994: Notitiae 30 (1994) 333-335, 347-348.

[121] Cf. Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, art. 65: AAS 80 (1988) p. 877.

[122] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legisl., Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1992: AAS 86 (1994) pp. 541-542; Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Lett. ai Presidenti delle Conf. dei Vescovi sul servizio liturgico dei laici, 15 marzo 1994: Notitiae 30 (1994) 333-335, 347-348; Lett. a qualche Vescovo, 27 luglio 2001: Notitiae 38 (2002) 46-54.

[123] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 924 § 2: Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 320.

[124] Cf. S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Dominus Salvator noster, 26 marzo 1929, n. 1: AAS 21 (1929) pp. 631-642, qui p. 632.

[125] Cf. ibidem, n. II: AAS 21 (1929) p. 635.

[126] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 321.

[127] Cf. Lc 22, 18; Codice di Diritto Canonico,can. 924 §§ 1, 3; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 322.

[128] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 323.

[129] Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 13: AAS 81 (1989) p. 910.

[130] S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 5: AAS 72 (1980) p. 335.

[131] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 28: AAS 95 (2003) p. 452; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 147; S. Congr. per il CultoDiv., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 4: AAS 62 (1970) p. 698; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 4: AAS 72 (1980) p. 334.

[132] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 32.

[133] Ibidem, n. 147; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 28: AAS 95 (2003) p. 452; cf. anche Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 4: AAS 72 (1980) pp. 334-335.

[134] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 39: AAS 95 (2003) p. 459.

[135] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 2b: AAS 62 (1970) p. 696.

[136] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 356-362.

[137] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 51.

[138] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 57; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 13: AAS 81 (1989) p. 910; Congr. per la Dottr. della Fede, Dichiarazione sulla unicità e universalità salvifica di Cristo e della Chiesa, Dominus Iesus, 6 agosto 2000: AAS 92 (2000) pp. 742-765.

[139] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 60.

[140] Cf. ibidem, nn. 59-60.

[141] Cf. per es. Rituale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II renovatum, auctoritate Pauli Pp. VI editum Ioannis Pauli Pp. II cura recognitum: Ordo celebrandi Matrimonium, editio typica altera, diei 19 martii 1990, Typis Polyglottis Vaticanis, 1991, n. 125; Rituale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, Ordo Unctionis infirmorum eorumque pastoralis curae, editio typica, diei 7 decembris 1972, Typis Polyglottis Vaticanis, 1972, n. 72.

[142] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 767 § 1.

[143] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 66; cf. anche Codice di Diritto Canonico, can. 6, §§ 1, 2; e can. 767 § 1, in merito a ciò si tengano presenti anche le prescrizioni della Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 1: AAS 89 (1997) p. 865.

[144] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 66; cf. anche Codice di Diritto Canonico, can. 767 § 1.

[145] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 1: AAS 89 (1997) p. 865; cf. anche Codice di Diritto Canonico, can. 6, §§ 1, 2; Pont. Comm. per l’Interpr. autent. del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 20 giugno 1987: AAS 79 (1987) p. 1249.

[146] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 1: AAS 89 (1997) pp. 864-865.

[147] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sess. XXII, 17 settembre 1562, Il Ss.mo Sacrificio della Messa, cap. 8: DS1749; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 65.

[148] Cf. Giovanni Paolo II, Discorso ad alcuni Vescovi degli Stati Uniti d’America in occasione della visita «ad limina Apostolorum», 28 maggio 1993, n. 2: AAS 86 (1994) p. 330.

[149] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 386 § 1.

[150] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 73.

[151] Cf. ibidem, n. 154.

[152] Cf. ibidem, nn. 82, 154.

[153] Cf.Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 83.

[154] Cf. S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Liturgicae instaurationes, n. 5: AAS 62 (1970) p. 699.

[155] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 83, 240, 321.

[156] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 2: AAS 89 (1997) p. 865.

[157] Cf. specialmente Institutio generalis de Liturgia Horarum, nn. 93-98; Rituale Romanum, ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Ioannis Pauli Pp. II promulgatum: De Benedictionibus, editio typica, diei 31 maii 1984, Typis Polyglottis Vaticanis, 1984, Praenotanda, n. 28; Ordo coronandi imaginem beatae Mariae Virginis, editio typica, diei 25martii 1981, Typis Polyglottis Vaticanis, 1981, nn. 10 e 14, pp. 10-11; S. Congr. per il Culto Divino, Istr., sulle Messe nei gruppi particolari, Actio pastoralis, 15 maggio 1969: AAS 61 (1969) pp. 806-811; Direttorio per le Messe dei fanciulli, Pueros baptizatos, 1 novembre 1973: AAS 66 (1974) pp. 30-46; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 21.

[158] Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio, Misericordia Dei, 7 aprile 2002, n. 2: AAS 94 (2002) p. 455; Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Responsa ad dubia proposita: Notitiae 37 (2001) pp. 259-260.

[159] Cf. S. Congr. per il CultoDiv., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 9: AAS 62 (1970) p. 702.

[160] Conc. Ecum. Trid., Sess. XIII, 11 ottobre 1551, Decr. sulla Ss. Eucaristia, cap. 2: DS 1638; cf. Sess. XXII, 17 settembre 1562, Il Ss. Sacrificio della Messa, cap. 1-2: DS 1740, 1743; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 35: AAS 59 (1967) p. 560.

[161] Cf. Missale Romanum, Ordo Missae, n. 4, p. 505.

[162] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 51.

[163] Cf. 1 Cor 11, 28.

[164] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 916; Conc. Ecum. Trid., Sess. XIII, 11 ottobre 1551, Decr. sulla Ss. Eucaristia, cap. 7: DS 1646-1647; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 36: AAS 95 (2003) pp. 457-458; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 35: AAS 59 (1967) p. 561.

[165] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 42: AAS 95 (2003) p. 461.

[166] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 844 § 1; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, nn. 45-46: AAS 95 (2003) pp. 463-464; cf. anche Pont. Cons. per la Promoz. dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, La recherche de l’unité, 25 marzo 1993, nn. 130-131: AAS 85 (1993) pp. 1039-1119, qui p. 1089.

[167] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 46: AAS 95 (2003) pp. 463-464.

[168] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 35: AAS 59 (1967) p. 561.

[169] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 914; S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Dichiaraz., Sanctus Pontifex, 24 maggio 1973: AAS 65 (1973) p. 410; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div. e S. Congr. per il Clero, Lett. ai Presidenti delle Conf. dei Vescovi, In quibusdam, 31 marzo 1977: Enchiridion Documentorum Instaurationis Liturgicae, II, Roma 1988, pp. 142-144; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div. e S. Congr. per il Clero, Responsum ad propositum dubium, 20 maggio 1977:AAS 69 (1977) p. 427.

[170] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, 31 maggio 1998, nn. 31-34: AAS 90 (1998) pp. 713-766, qui pp. 731-734.

[171] Cf. Codice di Diritto Canonico,can. 914.

[172] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55.

[173] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 31: AAS 59 (1967) p. 558; Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Responsio ad propositum dubium, 1 giugno 1988: AAS 80 (1988) p. 1373.

[174] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 85.

[175] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 31: AAS 59 (1967) p. 558; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 85, 157, 243.

[176] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 160.

[177] Codice di Diritto Canonico,can. 843 § 1; cf. can. 915.

[178] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 161.

[179] Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Dubium: Notitiae 35 (1999) pp. 160-161.

[180] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 118.

[181] Ibidem, n. 160.

[182] Codice di Diritto Canonico, can. 917; cf. Pont. Comm. per l’Interpretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1984: AAS 76 (1984) p. 746.

[183] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 158-160, 243-244, 246.

[184] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 237-249; cf. anche nn. 85, 157.

[185] Cf. ibidem, n. 283a.

[186] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sessio XXI, 16 luglio 1562, Decr. sulla comunione eucaristica, capp. 1-3: DS 1725-1729; Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 55; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 282-283.

[187] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 283.

[188] Cf. ibidem.

[189] Cf. S. Congr. per il CultoDiv., Istr., Sacramentali Communione, 29 giugno 1970: AAS 62 (1970) p. 665; Istr., Liturgicae instaurationes, n. 6a: AAS 62 (1970) p. 699.

[190] Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 285a.

[191] Ibidem, n. 245.

[192] Cf. ibidem, nn. 285b et 287.

[193] Cf. ibidem, nn. 207 et 285a.

[194] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1367.

[195] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legisl., Responsio ad propositum dubium, 3 luglio 1999: AAS 91 (1999) p. 918.

[196] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 163, 284.

[197] Codice di Diritto Canonico,can. 932 § 1; cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 9: AAS 62 (1970) p. 701.

[198] Codice di Diritto Canonico, can. 904; cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa, Lumen gentium, n. 3; Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, n. 13; cf. anche Conc. Ecum. Trid., Sess. XXII, 17 settembre 1562, Il Ss. Sacrificio della Messa, cap. 6: DS 1747; Paolo VI, Lett. Enc., Mysterium fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) pp. 753-774, qui pp. 761-762; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 11: AAS 95 (2003) pp. 440-441; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 44: AAS 59 (1967) p. 564; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 19.

[199] Cf.Codice di Diritto Canonico, can. 903; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 200.

[200] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 36 § 1; Codice di Diritto Canonico, can. 928.

[201] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 114.

[202] Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, n. 36: AAS 90 (1998) pp. 713-766, qui p. 735; cf. anche S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 27: AAS 59 (1967) p. 556.

[203] Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, soprattutto n. 36: AAS 90 (1998) pp. 735-736; S. Congr. per il Culto Divino, Istr., Actio pastoralis, 15 maggio 1969: AAS 61 (1969) pp. 806-811.

[204] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 905, 945-958; cf. Congr. per il Clero, Decr., Mos iugiter, 22 febbraio 1991: AAS 83 (1991) pp. 443-446.

[205] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 327-333.

[206] Cf. ibidem, n. 332.

[207] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 332; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 16: AAS 72 (1980) p. 338.

[208] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 333; Appendix IV. Ordo benedictionis calicis et patenae intra Missam adhibendus, pp. 1255-1257; Pontificale Romanum ex decreto sacrosancti Oecumenici Concilii Vaticani II instauratum, auctoritate Pauli Pp. VI promulgatum, Ordo Dedicationis ecclesiae et altaris, editio typica, diei 29 maii 1977, Typis Polyglottis Vaticanis, 1977, cap. VII, pp. 125-132.

[209] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 163, 183, 192.

[210] Ibidem, n. 345.

[211] Ibidem, n. 335.

[212] Cf. ibidem, n. 336.

[213] Cf. ibidem, n. 337.

[214] Cf. ibidem, n. 209.

[215] Cf. ibidem, n. 338.

[216] Cf. S. Congr. per il Culto Div., Istr., Liturgicae instaurationes, n. 8c: AAS 62 (1970) p. 701.

[217] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 346g.

[218] Ibidem, n. 114; cf. nn. 16-17.

[219] S. Congr. per il Culto Div., Decr., Eucharistiae sacramentum, 21 giugno 1973: AAS 65 (1973) 610.

[220] Cf. ibidem.

[221] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 54: AAS 59 (1967) p. 568; Istr., Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 95: AAS 56 (1964) p. 898; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 314.

[222] Cf. Giovanni Paolo II, Lett., Dominicae Cenae, n. 3: AAS 72 (1980) pp. 117-119; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 53: AAS 59 (1967) p. 568; Codice di Diritto Canonico, can. 938 § 2; Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, n. 9; Missale Romanum, Institutio Generalis, nn. 314-317.

[223] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 938 §§ 3-5.

[224] S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Nullo unquam, 26 maggio 1938, n. 10d: AAS 30 (1938) p. 206.

[225] Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio, Sacramentorum sanctitatis tutela, 30 aprile 2001: AAS 93 (2001) pp. 737-739; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[226] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, nn. 26-78.

[227] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) pp. 449-450.

[228] Cf. Conc. Ecum. Trid., Sess. XIII, 11 ottobre 1551, Decr. sulla Ss. Eucharistia, cap. 5: DS 1643; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 569; Paolo VI, Lett. Enc., Mysterium Fidei: AAS 57 (1965) pp. 769-770; S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 3f: AAS 59 (1967) p. 543; S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 20: AAS 72 (1980) p. 339; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) pp. 449-450.

[229] Cf. Ebr 9, 11; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 3: AAS 95 (2003) p. 435.

[230] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) p. 450.

[231] Paolo VI, Lett. Enc., Mysterium fidei, 3 settembre 1965: AAS 57 (1965) p. 771.

[232] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 25: AAS 95 (2003) pp. 449-450.

[233] Codice di Diritto Canonico,can. 937.

[234] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[235] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, nn. 82-100; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317; Codice di Diritto Canonico,can. 941 § 2.

[236] Giovanni Paolo II, Lett.. Ap., Rosarium Virginis Mariae, 16 ottobre 2002: AAS 95 (2003) pp. 5-36; qui n. 2, p. 6.

[237] Cf. Congr. per il Culto Div. e la Disc. dei Sacram., Lettera della Congregazione, 15 gennaio 1997: Notitiae 34 (1998) pp. 506-510; Penit. Apost., Lett. a qualche sacerdote, 8 marzo 1996: Notitiae 34 (1998) 511.

[238] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 61: AAS 59 (1967) p. 571; Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, n. 83; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317; Codice di Diritto Canonico,can. 941 § 2.

[239] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, n. 94.

[240] Cf. Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, art. 65: AAS 80 (1988) p. 877.

[241] Codice di Diritto Canonico, can. 944 § 2; cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, n. 102; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317.

[242] Codice di Diritto Canonico, can. 944 § 1; cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, nn. 101-102; Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 317.

[243] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 10: AAS 95 (2003) p. 439.

[244] Cf. Rituale Romanum, De sacra Communione et de cultu Mysterii eucharistici extra Missam, Praenotanda, n. 109.

[245] Cf. ibidem, nn. 109-112.

[246] Cf. Missale Romanum, In sollemnitate sanctissimi Corporis et Sanguinis Christi, Collecta, p. 489.

[247] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Principi teologici, n. 3: AAS 89 (1997) p. 859.

[248] Codice di Diritto Canonico, can. 900 § 1; cf. Conc. Ecum. Lateran. IV., 11-30 novembre 1215, cap. 1: DS 802; Clemente VI, Lett. ad Mekhitar, Catholicon Armeniorum, Super quibusdam, 29 settembre 1351: DS 1084; Conc. Ecum. Trid., Sess. XXIII, 15 luglio 1563, Dottrina e canoni sulla sacr. ordin., cap. 4: DS 1767-1770; Pio XII, Lett. Enc., Mediator Dei: AAS 39 (1947) p. 553.

[249] Cf.Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 3; Giovanni Paolo II, Discorso al Simposio sulla «partecipazione dei fedeli laici al ministero pastorale dei sacerdoti», 22 aprile 1994, n. 2: L’Osservatore Romano, 23 aprile 1994; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Proemio: AAS 89 (1997) pp. 852-856.

[250] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Redemptoris missio, nn. 53-54: AAS 83 (1991) pp. 300-302; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Proemio: AAS 89 (1997) pp. 852-856.

[251] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa, Ad gentes, 7 dicembre 1965, n. 17; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Redemptoris missio, n. 73: AAS 83 (1991) p. 321.

[252] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 2: AAS 89 (1997) p. 872.

[253] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 32: AAS 95 (2003) p. 455.

[254] Codice di Diritto Canonico, can. 900 § 1.

[255] Cf. ibidem, can. 910 § 1; cf. anche Giovanni Paolo II, Lett., Dominicae Cenae, n. 11: AAS 72 (1980) p. 142; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 1: AAS 89 (1997) pp. 870-871.

[256] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 230 § 3.

[257] Cf. S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Immensae caritatis, proemio: AAS 65 (1973) p. 264; Paolo VI, Motu proprio, Ministeria quaedam, 15 agosto 1972: AAS 64 (1972) p. 532; Missale Romanum, Appendix III: Ritus ad deputandum ministrum sacrae Communionis ad actum distribuendae, p. 1253; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 1: AAS 89 (1997) p. 871.

[258] Cf. S. Congr. per i Sacram. e per il Culto Div., Istr., Inaestimabile donum, n. 10: AAS 72 (1980) p. 336; cf. Pont. Comm. per l’Interpretazione Autentica del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 11 luglio 1984: AAS 76 (1984) p. 746.

[259] Cf. S. Congr. per la Disc. dei Sacram., Istr., Immensae caritatis, n. 1: AAS 65 (1973) pp. 264-271, qui pp. 265-266; Pont. Comm. per l’Interpr. autent. del Codice di Diritto Canonico, Responsio ad propositum dubium, 1 giugno 1988: AAS 80 (1988) p. 1373; Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 8 § 2: AAS 89 (1997) p. 871.

[260] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 767 § 1.

[261] Cf. ibidem, can. 766.

[262] Cf. Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 2 §§ 3-4: AAS 89 (1997) p. 865.

[263] Cf. Giovanni Paolo II, Ep. Ap., Dies Domini, specialmente nn. 31-51: AAS 90 (1998) pp. 713-766, qui pp. 731-746; Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Novo Millennio ineunte, 6 gennaio 2001, nn. 35-36: AAS 93 (2001) pp. 290-292; Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 41: AAS 95 (2003) pp. 460-461.

[264] Conc. Ecum. Vat. II, Decr. sul ministero e la vita dei sacerdoti, Presbyterorum ordinis, n. 6; cf. Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, nn. 22, 33: AAS 95 (2003) pp. 448, 455-456.

[265] Cf. S. Congr. dei Riti, Istr., Eucharisticum mysterium, n. 26: AAS 59 (1967) pp. 555-556; Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, nn. 5 e 25: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui pp. 367, 372.

[266] Cf. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, n. 18: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui p. 370.

[267] Cf. Giovanni Paolo II, Lett., Dominicae Cenae, n. 2: AAS 72 (1980) p. 116.

[268] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Dies Domini, n. 49: AAS 90 (1998) p. 744; Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 41: AAS 95 (2003) pp. 460-461; Codice di Diritto Canonico, cann. 1246-1247.

[269] Codice di Diritto Canonico, can. 1248 § 2; cf. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, nn. 1-2: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui p. 366.

[270] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 33: AAS 95 (2003) pp. 455-456.

[271] Cf. Congr. per il Culto Divino, Direttorio per le celebrazioni domenicali in assenza del sacerdote, Christi Ecclesia, 2 giugno 1988, n. 22: Notitiae 24 (1988) pp. 366-378, qui p. 371.

[272] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 30: AAS 95 (2003) pp. 453-454; cf. anche Pont. Cons. per la Promoz. dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, La recherche de l’unité, n. 115: AAS 85 (1993) p. 1085.

[273] Cf. Pont. Cons. per la Promoz. dell’Unità dei Cristiani, Direttorio per l’applicazione dei principi e norme sull’ecumenismo, La recherche de l’unité, n. 101: AAS 85 (1993) pp. 1081-1082.

[274] Codice di Diritto Canonico,can. 292; cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Dichiarazione sulla retta interpretazione del can. 1335, seconda parte, C.I.C., 15 maggio 1997, n. 3: AAS 90 (1998) p. 64.

[275] Cf. Codice di Diritto Canonico, cann. 976; 986 § 2.

[276] Cf. Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Dichiarazione sulla retta interpretazione del can. 1335, seconda parte, C.I.C., 15 maggio 1997, nn. 1-2: AAS 90 (1998) pp. 63-64.

[277] Per ciò che riguarda i sacerdoti che hanno ottenuto la dispensa dal celibato, cf. S. Congr. per la Dottrina della Fede, Norme sulla dispensa dal celibato sacerdotale, Normae substantiales, 14 ottobre 1980, art. 5; cf. anche Congr. per il Clero ed altre, Istr., Ecclesiae de mysterio, Disposizioni pratiche, art. 3 § 5: AAS 89 (1997) p. 865.

[278] S. Tommaso d’Aquino, Summa Theol., II, 2, q. 93, a. 1.

[279] Cf. Giovanni Paolo II, Lett. Ap., Vicesimus quintus annus, n. 15: AAS 81 (1989) p. 911; cf. anche Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, nn. 15-19.

[280] Cf. Giovanni Paolo II, Motu proprio, Sacramentorum sanctitatis tutela, 30 aprile 2001: AAS 93 (2001) pp. 737-739; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[281] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1367; Pont. Cons. per l’Interpr. dei Testi Legislativi, Responsio ad propositum dubium, 3 luglio 1999: AAS 91 (1999) p. 918; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[282] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1378 § 2 n. 1 et 1379; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[283] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 908 et 1365; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[284] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 927; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. ai Vescovi della Chiesa Cattolica e agli altri Ordinari e Gerarchi interessati: sui delitti più gravi riservati alla stessa Congregazione per la Dottrina della Fede: AAS 93 (2001) p. 786.

[285] Codice di Diritto Canonico,can. 387.

[286] Ibidem, can. 838 § 4.

[287] Ibidem, can. 392.

[288] Giovanni Paolo II, Cost. Ap., Pastor bonus, art. 52: AAS 80 (1988) p. 874.

[289] Cf. ibidem, n. 63: AAS 80 (1988) p. 876.

[290] Cf. Codice di Diritto Canonico, can. 1417 § 1.

[291] Giovanni Paolo II, Lett. Enc., Ecclesia de Eucharistia, n. 24: AAS 95 (2003) p. 449.

[292] Ibidem, nn. 53-58: AAS 95 (2003) pp. 469-472.

[293] Cf. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra Liturgia, Sacrosanctum Concilium, n. 14; cf. anche nn. 11, 41 e 48.

[294] Cf. S. Tommaso d’Aquino, Summa Theol., III, q. 64, a. 9 ad primum.

[295] Cf. Missale Romanum, Institutio Generalis, n. 24.

 

 


 

Lettera al Cammino Neocatecumenale

Una puntualizzazione circa la celebrazione della Santissima Eucaristia nelle comunità del Cammino Neocatecumenali.

Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum

Dalla Città del Vaticano, 1 dicembre 2005:

Egregi Signor Kiko Argüello, Sig.na Carmen Hernandez, e Rev.do Padre Mario Pezzi,

a seguito dei dialoghi intercorsi con questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti circa la celebrazione della Santissima Eucaristia nelle comunità del Cammino Neocatecumenale, in linea con gli orientamenti emersi nell’incontro con Voi dell’11 novembre c.a., sono a comunicarVi le decisioni del Santo Padre.

Nella celebrazione della Santa Messa, il Cammino Neocatecumenale accetterà e seguirà i libri liturgici approvati dalla Chiesa, senza omettere né aggiungere nulla. Inoltre, circa alcuni elementi si sottolineano le indicazioni e precisazioni che seguono:

1. La Domenica è il “Dies Domini”, come ha voluto illustrare il Servo di Dio, il Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica sul Giorno del Signore. Perciò il Cammino Neocatecumenale deve entrare in dialogo con il Vescovo diocesano affinché traspaia anche nel contesto delle celebrazioni liturgiche la testimonianza dell’inserimento nella parrocchia delle comunità del Cammino Neocatecumenale. Almeno una domenica al mese le comunità del Cammino Neocatecumenale devono perciò partecipare alla Santa Messa della comunità parrocchiale.

2. Circa le eventuali monizioni previe alle letture, devono essere brevi. Occorre inoltre attenersi a quanto disposto dall’ “Institutio Generalis Missalis Romani” (nn. 105 e 128) e ai Praenotanda dell’”Ordo Lectionum Missae” (nn. 15, 19, 38, 42).

3. L’omelia, per la sua importanza e natura, è riservata al sacerdote o al diacono (cfr. C.I.C., can. 767 § 1). Quanto ad interventi occasionali di testimonianza da parte dei fedeli laici, valgono gli spazi e i modi indicati nell’Istruzione Interdicasteriale “Ecclesiae de Mysterio”, approvata “in forma specifica” dal Papa Giovanni Paolo II e pubblicata il 15 agosto 1997. In tale documento, all’art. 3, §§ 2 e 3, si legge:

§ 2 - “È lecita la proposta di una breve didascalia per favorire la maggior comprensione della liturgia che viene celebrata e anche, eccezionalmente, qualche eventuale testimonianza sempre adeguata alle norme liturgiche e offerta in occasione di liturgie eucaristiche celebrate in particolari giornate (giornata del seminario o del malato, ecc.) se ritenuta oggettivamente conveniente, come illustrativa dell’omelia regolarmente pronunciata dal sacerdote celebrante. Queste didascalie e testimonianze non devono assumere caratteristiche tali da poter essere confuse con l’omelia”.

§3 - “La possibilità del ‘dialogo’ nell’omelia (cfr. Directorium de Missis cum Pueris, n. 48) può essere, talvolta, prudentemente usata dal ministro celebrante come mezzo espositivo, con il quale non si delega ad altri il dovere della predicazione”.

Si tenga inoltre attentamente conto di quanto esposto nell’Istruzione “Redemptionis Sacramentum”, al n. 74.

4. Sullo scambio della pace, si concede che il Cammino Neocatecumenale possa usufruire dell’indulto già concesso, fino ad ulteriore disposizione.

5. Sul modo di ricevere la Santa Comunione, si dà al Cammino Neocatecumenale un tempo di transizione (non più di due anni) per passare dal modo invalso nelle sue comunità di ricevere la Santa Comunione (seduti, uso di una mensa addobbata posta al centro della chiesa invece dell’altare dedicato in presbiterio) al modo normale per tutta la Chiesa di ricevere la Santa Comunione. Ciò significa che il Cammino Neocatecumenale deve camminare verso il modo previsto nei libri liturgici per la distribuzione del Corpo e del Sangue di Cristo.

6. Il Cammino Neocatecumenale deve utilizzare anche le altre Preghiere eucaristiche contenute nel messale, e non solo la Preghiera eucaristica II.

In breve, il Cammino Neocatecumenale, nella celebrazione della Santa Messa, segua i libri liturgici approvati, avendo tuttavia presente quanto esposto sopra ai numeri 1, 2, 3, 4, 5 e 6.

Riconoscente al Signore per i frutti di bene elargiti alla Chiesa mediante le molteplici attività del Cammino Neocatecumenale, colgo l’occasione per porgere distinti saluti.

+ Francis Card. Arinze, Prefetto.

 


 

 

 

 

 

 

 

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