TESTI SEZIONE MONASTICA

 

 

SAN BERNARDO

«Sermoni sul Salmo 90»

 

Traduzione italiana a cura dell'Abate Dom Isidoro Tell o.s.b.

Edito a cura di Scritti Monastici, Abbazia di Praglia (PD)

 

 

 

SOMMARIO

 

 

PREFAZIONE

 

SERMONE PRIMO

Chi dimora nell'aiuto dell'altissimo, vivrà sotto la protezione del Dio del Cielo

SERMONE SECONDO

Dirà al Signore: Tu sei colui che mi accoglie e il mio rifugio, è il mio Dio, spererò in Lui

SERMONE TERZO

Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e dalla parola amara

SERMONE QUARTO

Ti adombrerà con le sue ali e sotto le sue penne spererai

SERMONE QUINTO

La sua verità ti circonderà come scudo

SERMONE SESTO

Non temerai i terrori della notte, né la freccia che vola di giorno, quanto si aggira nelle tenebre e l'assalto del demonio del mezzogiorno

SERMONE SETTIMO

Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma a te non si avvicinerà

SERMONE OTTAVO

Tu osserverai con i tuoi occhi e vedrai il castigo degli empi

SERMONE NONO

Sì, tu, Signore, sei la mia speranza, hai posto in luogo altissimo il tuo rifugio

SERMONE DECIMO

Non si avvicinerà a te il male, e il flagello non si accosterà alla tua tenda

SERMONE UNDICESIMO

Egli ha dato ai suoi angeli quest'ordine a tuo riguardo: di custodirti in tutte le tue vie

SERMONE DODICESIMO

Sulle loro mani ti porteranno perché non urti contro la pietra con il tuo piede

SERMONE TREDICESIMO

Camminerai sopra l'aspide e il basilisco e calpesterai il leone e il drago, 1

SERMONE QUATTORDICESIMO

Camminerai sopra l'aspide e il basilisco e calpesterai il leone e il drago, 2

SERMONE QUINDICESIMO

Perché ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò, perché ha conosciuto il mio nome

SERMONE SEDICESIMO

Ha gridato a me e io lo esaudirò; sono con lui nella tribolazione, lo libererò e lo glorificherò

SERMONE DICIASSETTESIMO

Lo colmerò di lunghezza di giorni e gli mostrerò la mia salvezza

 

 

 


 

 

PREFAZIONE

 

1. Non è senza un grande senso di compassione, fratelli, che io considero la vostra fatica. Cerco un sollievo da potervi dare e me ne viene in mente uno corporale, ma esso non giova a nulla, anzi può recarvi grandissimo danno. Infatti col togliere alla semente anche una piccola parte si reca gran detrimento a tutta la messe e se la vostra fatica penitenziale viene alleviata da una mia compassione crudele, poco a poco anche la vostra corona perderà le sue gemme [1]. Che faremo allora? Dov’è la farina del Profeta? Perché nella pentola c’è la morte [2]. Infatti vi mortificate continuamente con molti digiuni, con tante fatiche, con veglie prolungate, senza parlare di quello che riguarda lo spirito, come la contrizione del cuore e le numerose tentazioni. Voi vi mortificate, ma per amore di colui che è morto per voi. Tuttavia se la vostra tribolazione per lui è grande, per grazia sua grande sarà anche la vostra consolazione, affinché l’anima che non ha voluto trovare conforto in altre cose, trovi in lui la sua gioia. Infatti accanto a lui la stessa tribolazione può diventare una grande consolazione. Non è forse vero che le austerità che sopportate sono al di sopra delle forze umane, superiori alla natura e al di fuori dell’ordinario? Allora è un altro che le sopporta. Senza dubbio colui che sostiene tutto con la potenza della sua parola. Così, il nemico non si uccide forse con la sua stessa spada? E la grandezza della tribolazione con la quale egli soleva tentare non riporta piuttosto proprio essa la vittoria sulle tentazioni, essendo prova certissima della divina presenza? Che cosa dobbiamo temere se ci sta a fianco colui che sostiene tutto? Il Signore è difensore della mia vita: di chi avrò paura?[3] Così, anche se dovrò camminare immerso nell’ombra della morte, non temerò alcun male, perché tu sei con me [4]. E cos’è che sostiene tutta la mole della terra? E l’universo intero su chi si appoggia? E se c’è qualche cosa che sostiene tutte le altre, essa da chi è sostenuta? Non v’è altro che la parola potente di Dio che sostiene tutte le cose. Dalla parola del Signore, infatti, furono fissati i cieli, e dal soffio della sua bocca ogni loro schiera [5].

 

2. Perciò, affinché possiate trovare sollievo nella parola del Signore, specialmente in questi giorni nei quali, come è giusto, la vostra fatica è alquanto più grande del solito, non sarà inutile, come spero, intrattenermi con voi su qualche passo delle Sante Scritture, come, del resto, mi hanno chiesto anche alcuni di voi.

Così vogliamo scegliere il Salmo stesso dal quale il nemico ha preso occasione per tentare il Signore, affinché le armi del maligno si spezzino proprio là dove egli ha osato prenderle. A questo riguardo non voglio che ignoriate, fratelli, come tutti quelli che non usano santamente qualche passo delle Sante Scritture sono apertamente imitatori del nemico e soffocano con l’errore la verità di Dio, come talvolta sogliono fare alcuni [6].  Guardatevi, carissimi, da questo perché è cosa diabolica, e quelli che fanno così dimostrano di essere dalla sua parte mentre brigano per pervertire gli scritti salutari [delle Sante Scritture] a loro danno.

Ma non voglio fermarmi più a lungo su questo argomento. Penso che basti un breve cenno. Con l’aiuto del Signore, tentiamo ormai di spiegare e di esporre qualche cosa sul Salmo che abbiamo scelto.

 

NOTE

[1] Il paragone biblico del seme (cfr. Sal 125; Mt 13; Gv 12, 24; 2 Cor 9. 6) ricorre più volte nei Sermoni sul Salmo 90 (cf. QH 7, 14; 9, 3; lt), 3; 17, 3) e negli altri scritti di Bernardo per indicare ora la vita monastica nella totalità delle sue esigenze, ora le avversità dell’esistenza umana. Cfr. Introduzione. p. L.

Nella prefazione alla prima edizione dei sermoni, Bernardo era ancora più duro: «(..) si de poenarum diminutione solarium praebere voluero, crudelis ero, et non misericors. Quantum enim subtraham de poena, tantum de corona furabor. Tanto minus de fructu, quantum de semente subtraxero».

[2] 2 Re 4, 40: allusione a un miracolo del profeta Eliseo, che buttando della farina in una pentola avvelenata ne rende mangiabile il contenuto. L’aspetto mortificante delle osservanze quaresimali è sottolineato dall’insistente susseguirsi delle parole mors, mortificamini, mortuus.

[3] Sal 26, 1.

[4] Sal 22, 4.

[5] Sal 32, 6.

[6] Probabile allusione ad Abelardo: Ep. 189; 190; I, 1. IV, 9. V, 12.

 


 

  

 

SERMONE PRIMO

Sul primo versetto:

Chi dimora nell’aiuto dell’altissimo, vivrà sotto la protezione del dio del cielo

 

1. Chi sia colui che dimora nell’aiuto di Dio, lo si può conoscere meglio considerando quelli che non vi dimorano. Di questi se ne possono individuare tre specie. La prima è quella di coloro che non sperano, la seconda di coloro che sono disperati, la terza di coloro che sperano inutilmente.

Non dimora nell’aiuto di Dio colui che non considera Dio come suo aiuto ma confida nella propria forza e nell’abbondanza delle sue ricchezze. Sordo al consiglio del Profeta: Cercate il Signore mentre lo si può trovare, invocatelo mentre è vicino [1] e impegnato nella ricerca delle sole cose temporali, invidia la sorte degli empi vedendo la loro prosperità e si allontana dall’aiuto di Dio perché non lo ritiene necessario per acquistarsele. Ma perché metterci a giudicare i mondani? Temo, fratelli, che vi sia anche fra noi chi non dimora nell’aiuto dell’Altissimo, ma confida nella propria forza e nell’abbondanza delle proprie ricchezze. Uno magari è fervente, forte nelle veglie, nei digiuni, nella fatica e in altre simili osservanze, oppure può sembrargli di avere raccolto per tanto tempo una quantità di meriti e, confidando in essi, è assai rilassato nel timore di Dio, si abbandona facilmente con una sicurezza dannosa all’ozio, alla curiosità, alla mormorazione, alla maldicenza, alla critica. Per certo, se costui dimorasse nell’aiuto di Dio veglierebbe su se stesso e avrebbe paura di offendere colui che sente essergli ancora tanto necessario. Infatti tanto più avrebbe dovuto temere Dio e vigilare quanto più grandi sono i doni che da lui ha ricevuto. Poiché quello che ci viene da Dio non possiamo conservarlo e tenerlo senza di lui. Ora invece, e lo vedo e lo dico non senza pena, vi sono alcuni che al principio della loro conversione [2] sono abbastanza timorati e vigilanti, ma soltanto fino a che si sono un po’ allenati nella osservanza monastica. Dopo invece, mentre avrebbero dovuto essere molto più fervorosi che all’inizio secondo il detto: Quanti si nutrono di me avranno ancora fame [3], incominciano a comportarsi come se dicessero: «Perché servirlo ancora, quando ormai abbiamo quello che ci darà?» Oh! Se tu sapessi come è poco quello che hai e quanto presto perdi anche questo poco se non te lo conserva colui che te lo ha dato [4]! Queste sono due considerazioni che ci possono rendere molto vigilanti e sottomessi a Dio, così da non essere di quelli che non dimorano nell’aiuto dell’Altissimo perché non lo considerano necessario. Ecco coloro che non sperano nel Signore.

 

2. Ma vi sono altri che, al contrario, disperano, quelli cioè che, considerando la propria debolezza, si scoraggiano e sono travolti dalla pusillanimità dello spirito, perché dimorano nella debolezza delle proprie forze e ci pensano continuamente, tanto da essere sempre pronti a raccontare senza posa tutte le loro pene. Infatti quando uno è costantemente fissato su un oggetto lo stimolo a parlarne è molto forte.

Essi non dimorano nell’aiuto di Dio e non lo conoscono, perché non riescono una buona volta ad elevarsi per pensarlo [5].

Vi sono poi altri, che sperano sì, nel Signore, ma inutilmente, perché si lusingano talmente della sua misericordia da non emendarsi dei propri peccati. Questa speranza è del tutto vana e delude, perché non è accompagnata dalla carità.

Contro costoro il Profeta dice: Maledetto chi pecca nella speranza del perdono [6]. E un altro Profeta dice: il Signore ha benevolenza per quelli che lo temono e per quelli che sperano nella sua misericordia [7]. Prima di dire: di quelli che sperano, ha premesso intenzionalmente: di quelli che lo temono! Perché spera inutilmente colui che con il suo disprezzo respinge da sé la grazia e, così, annulla del tutto la sua speranza.

 

3. Nessuna di queste tre specie di persone dimora nell’aiuto dell’Altissimo. Infatti, i primi dimorano nei loro meriti, gli altri nelle loro pene e gli ultimi nei loro vizi. La dimora di questi è impura, inquieta quella dei secondi, stolta e pericolosa quella dei primi. Che cosa di più stolto che abitare in una casa la cui costruzione è appena incominciata? Credi tu forse di essere arrivato alla perfezione? Ma uno incomincia proprio quando ha finito. Questa casa è perfino pericolante e ha bisogno di essere puntellata e sostenuta piuttosto che abitata. La vita presente non è forse fragile e incerta? Allora lo sarà anche tutto quello che si appoggia su di essa. Nessuno può pensare di poter costruire solidamente sopra un fondamento che non è solido. Pericolosa è dunque la dimora di coloro che sperano nei propri meriti, pericolosa perché minaccia rovina. Quanto poi a coloro che, nella considerazione della propria debolezza, si abbattono fino a disperarsi, abbiamo detto che hanno una dimora inquieta e che abitano in mezzo ai tormenti. Infatti, finché soffrono le pene dalle quali sono accasciati giorno e notte e, come se non bastasse a ciascun giorno la sua pena, sono tormentati ancor più dai mali che ancora non sentono, e sono oppressi anche da quelli che forse non sperimenteranno mai, quale tormento, quale inferno più intollerabile si può immaginare? Tanto più che da una parte sono stretti da sofferenze così grandi, e dall’altra mancano dell’alimento del pane celeste. Questi sono coloro che non dimorano nell’aiuto dell’Altissimo perché disperano. Ma se i primi non lo cercano perché non ne sentono il bisogno, gli ultimi ne sono lontani perché cercano l’aiuto di Dio in una maniera nella quale non possono ottenerlo. Dimorano nell’aiuto dell’Altissimo soltanto quelli che fanno di esso l’unico oggetto del loro desiderio, quelli la cui unica trepidazione sta nel timore di perderlo e i cui pensieri e la cui sollecitudine si muovono intorno ad esso. È in questo che consiste propriamente la pietà, il culto di Dio. Beato davvero colui che dimora nell’aiuto dell’Altissimo in questo modo, perché vivrà nella protezione del Dio del cielo. Che cosa di ciò che è sotto il cielo potrà nuocere a colui che il Dio del cielo avrà voluto proteggere e conservare? Sotto il cielo vi sono le potenze dell’aria [8], sotto il cielo vi è questo mondo perverso, sotto il cielo vi è la carne che ha desideri contrari allo spirito.

 

4. Benissimo dunque è detto: Dimorerà nella protezione del Dio del cielo affinché chiunque avrà meritato di avere la sua protezione non abbia da temere nulla di quello che sta sotto il cielo, e questo tanto nel caso che l’espressione si riallacci al versetto che segue dicendo: Colui che abita nell’aiuto dell’Altissimo, che dimorerà nella protezione del Dio del cielo dirà al Signore: tu sei il mio sostegno, e le parole dimorerà nella protezione del Dio del cielo siano l’esposizione di quello che precede, cioè chi abita nell’aiuto dell’Altissimo, quanto nel caso che il testo non sembri piuttosto voler aggiungere qualcosa e insegnare che bisogna cercare aiuto per operare il bene, ma anche protezione per essere liberati dal male. Ma fa’ attenzione che dice nella protezione e non «alla presenza». Gli angeli esultano alla sua presenza; per me, volesse il cielo che potessi dimorare nella sua protezione. Essi sono beati alla sua presenza; oh! Se io potessi dimorare sicuro sotto la sua protezione! Del Dio del cielo soggiunge il Profeta. Infatti, benché non vi sia dubbio che egli è dappertutto, tuttavia dimora talmente nel cielo che, in paragone a quella dimora, sembra quasi che non sia presente sulla terra. Per questo, quando preghiamo noi diciamo: Padre nostro che sei nei cieli. Infatti, come l’anima, pur essendo in tutto il corpo, tuttavia risiede in maniera speciale e più eccellente nel capo dove sono tutti i sensi, mentre quanto al resto del corpo non muove altro che il tatto, tanto da sembrare che in confronto alla maniera nella quale è nel capo le altre membra piuttosto di abitarle le governi, così, se pensiamo alla presenza che godono gli angeli beati, può sembrare che noi abbiamo ben poco che meriti di essere detto «protezione di Dio». Nondimeno, beata l’anima che merita anche questo poco. Dirà, infatti, al Signore: Tu sei il mio rifugio. Ma riserviamo questo al sermone seguente.

 

NOTE

[1] Is 55, 6.

[2] La vita monastica è indicata con il termine tradizionale “conversio”.

[3] Sir 24, 29.

[4] Sulla necessità del timore di Dio in permanenza, cfr. In vigilia Nat. Dom. 3, 5.

[5] Della seconda categoria di coloro che non dimorano nell’aiuto dell’Altissimo Bernardo riparlerà in QH (= Qui habitat, sermoni sul salmo 90) 6, 1-2.

[6] Questo testo non si trova nella Sacra Scrittura. SaI 146, 11.

[7] Sal 146, 11.

[8] Per l’idea della dimora dei demoni nell’aria, cfr. Ef 2, 2; 6, 12. Bernardo (cfr. QH 11, 12; 13, 1-2; De gradibus hum. 10, 34) la eredita dai Padri: cfr. J. DANIÉLOU, Saint Bernard et les Pères grecques, in AA.VV., Saint Bernard théologien, 46-55.

 

 


 

 

 

SERMONE SECONDO

«Dirà al Signore: tu sei colui che mi accoglie e il mio rifugio. È il mio dio, spererò in lui.»

(Sal 90, 2)

 

1. Chi dimora nell’aiuto dell’Altissimo, dice il Profeta, dirà al Signore: Tu sei colui che mi accoglie. È il mio Dio, spererò in lui [1]. Lo dirà ringraziando e lodando il Signore e la sua misericordia per il doppio aiuto che riceve. Perché chiunque dimora ancora nell’aiuto di Dio e non nel suo regno, spesso deve fuggire e qualche volta cade. Dico che, fino a tanto che dimoriamo in questo corpo, è necessario fuggire davanti alla tentazione che insegue. Poiché se non fuggiamo in fretta, qualche volta, come suoi accadere, essa raggiungendoci ci urta e ci rovescia. Ma il Signore ci accoglie. Egli è dunque un rifugio presso il quale possiamo ripararci in fretta al sopraggiungere di colui che tenta di lapidarci con lo sterco dei buoi pigri, e così schivare una troppo vergognosa lapidazione [2]. Ma egli è anche colui che ci sostiene, affinché, anche quando siamo caduti, non urtiamo contro il suolo perché lui mette sotto la sua mano. Quando dunque sentiamo nei nostri pensieri l’urto della tentazione, fuggiamo subito presso di lui e domandiamo umilmente il suo aiuto. E se, per caso, la tentazione ci avrà colti di sorpresa, come avviene qualche volta perché ricorriamo a lui più tardi di quanto avremmo dovuto fare, preghiamo almeno che la mano del Signore ci sostenga. Infatti, finché si è obbligati a stare in questo mondo, è inevitabile per tutti che qualche volta si cada; ma alcuni si infrangono contro il suolo, altri, invece, no, perché il Signore pone sotto la sua mano [3]. Ma come faremo a distinguerli, per poi separare, secondo l’esempio del Signore, gli agnelli dai capri, i giusti dagli ingiusti? Perché anche il giusto cade sette volte al giorno.

 

2. Di fatto nella loro caduta vi è questa differenza. Il giusto è raccolto dal Signore e per questo si rialza più forte di prima; il malvagio, invece, se è caduto, non potrà rialzarsi più. Dirò anzi che egli cadendo sarà vittima della vergogna che lo rovina oppure della sfrontatezza. Infatti, o scusa il peccato per la vergogna, o assume una fronte da prostituta e finisce per non temere più Dio e per non vergognarsi più di nessuno, ma predica il suo peccato con la sfrontatezza di Sodoma. Il giusto, invece, cade sulla mano del Signore e, in modo sorprendente, il peccato stesso diventa per lui aumento di santità. Sappiamo infatti che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio [4]. Non torna forse a nostro vantaggio quella caduta che ci rende più umili e più vigilanti? Il Signore non accoglie forse colui che cadendo è sorretto dall’umiltà? Sono stato spinto e atterrato, dice il Profeta, ma colui che mi ha urtato non ha guadagnato niente perché il Signore mi ha sorretto [5]. L’anima fedele dirà dunque al Signore: Tu sei colui che mi sorregge [6]. Tutte le creature possono dire: «tu sei il mio creatore»; gli animali possono dire: «tu sei il mio pastore»; tutti gli uomini possono dire: «tu sei il mio redentore». Solamente colui che dimora nell’aiuto dell’Altissimo può dire: tu sei colui che mi accoglie. E, di conseguenza, aggiunge anche: e il mio Dio. Perché non dice: «il nostro Dio?» Perché nella creazione, nella redenzione e nei benefici che conferisce a tutti gli altri esseri è il Dio di tutti: invece nelle sue tentazioni ognuno degli eletti lo possiede quasi come un Dio personale. Infatti egli è così pronto a sostenere chi cade e a salvare chi fugge, da sembrare che abbandoni tutti gli altri per aiutare solamente lui.

 

3. Per questo motivo è utile per ognuno considerare sempre Dio non solamente come suo aiuto, ma anche come suo osservatore. E infatti quando potrà essere negligente colui che non cessa mai di fissare lo sguardo su Dio che lo osserva? Oppure come non potrà considerare Dio quasi come esclusivamente suo, quando vede che Egli lo guarda così attentamente da non cessare un sol momento di considerare il suo interno e il suo esterno e da scrutare e giudicare non soltanto tutte le azioni, ma perfino i più sottili movimenti dell’anima? Ben a ragione, dunque, questi può dire: È il mio Dio, spererò in lui. E bada che non ha detto: «ho sperato», oppure «spero», ma spererò. Questo, egli dice, è il mio desiderio, il mio proposito, l’aspirazione del mio cuore. Questa speranza è riposta nel mio cuore [7] e persevererò in essa: spererò in lui. Non voglio disperare, non voglio sperare invano perché è maledetto colui che pecca nella speranza del perdono, come anche colui che pecca per disperazione. E non voglio essere neppure di quelli che non sperano affatto nel Signore. Io spererò in lui, dice il Profeta. Ma dimmi: quale sarà il frutto, la mercede, il guadagno della speranza? Egli mi libererà dal laccio dei cacciatori e dalla parola amara. Ma, se non vi dispiace, rimettiamo il discorso su questo laccio e su questa parola a un altro giorno e a un altro sermone.

 

NOTE

[1] Sai 90, 1-2.

[2] Cfr. Sententiae, I serie, 7. Con un’allusione a Fil 3, 8, Bernardo applica la figura dello “sterco di buoi” ai pensieri mondani che il maligno desta nella mente di colui che compie con pigrizia gli esercizi della vita ascetica.

[3] Sal 36, 24.

[4] Rm 8, 28.

[5] Sai 117, 13.

[6] Sai 18, 15.

[7] Gb 19, 27.

 

 

 


  

 

 

SERMONE TERZO

«Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e dalla parola amara».

(Sal 90, 3)

 

1. A queste parole, fratelli miei, mi sento preso da una grande compassione verso me stesso e provo una altrettanto grande pietà per la mia anima: Egli mi ha liberato dal laccio dei cacciatori. Siamo noi, dunque, delle bestie? Proprio delle bestie! L’uomo, infatti, mentre era posto fra gli onori non comprese: è divenuto simile alle bestie insensate [1]. Sì, gli uomini sono animali, pecore erranti senza pastore. Perché, o uomo, ti insuperbisci? Perché vuoi fare il saccente? Pensa invece che sei divenuto una bestia e che si stanno preparando i lacci per venire alla tua caccia. Ma chi sono questi cacciatori? Sono cacciatori pessimi, malvagissimi, astutissimi, crudelissimi2. Sono cacciatori che non suonano il corno per non essere sentiti e per poter così colpire l’innocente di nascosto. Sono i dominatori di questo mondo di tenebra, e talmente furbi nella perfida cattiveria della loro frode diabolica che, al loro confronto, il più astuto degli uomini è come una bestia davanti al cacciatore, a meno che non si tratti di coloro che, come l’Apostolo, non ignorano le loro intenzioni e che, dotati della sapienza di Dio, hanno il dono di scoprire gli inganni dei demoni. Scongiuro voi, o novelle piante di Dio, voi che non avete ancora una sensibilità addestrata al discernimento del bene e del male, non vogliate seguire il giudizio del vostro cuore, non vogliate andare dietro ai vostri criteri, affinché, ancora inesperti, quello scaltro cacciatore non vi inganni. Perché ai secolari, che sono come degli animali selvatici e veramente bestiali, egli tende dei lacci abbastanza visibili, sicuro di poterli prendere facilmente. Ma a voi, che come cervi molto prudenti uccidete i serpenti e anelate alla sorgente dell’acqua viva [3], nasconde lacci più sottili e usa i mezzi più astuti per ordire il suo inganno. Perciò vi scongiuro di umiliarvi sotto la potente mano di Dio che è il vostro pastore e di obbedire a coloro che conoscono meglio di voi le astuzie di quel cacciatore, istruiti come sono dalla pratica diuturna nella quale vivono da lungo tempo e dalle numerose esperienze che hanno fatto su se stessi e su molti altri.

 

2. Ma ecco che ormai conosciamo bestie e cacciatori. Vediamo ora che cosa sia il laccio di cui qui si parla. Non voglio inventarlo io, né proporvi nessuna dottrina dubbia. Sia l’Apostolo a mostrarci questo laccio, perché egli non ignora le intenzioni di quei cacciatori.

Dicci dunque, o beato Paolo, che cosa sia questo laccio del diavolo dal quale l’anima fedele si rallegra di essere stata liberata. Coloro, egli dice, che vogliono arricchire in questo mondo, cadono nella tentazione e nel laccio del diavolo [4]. Il laccio del diavolo sono dunque le ricchezze di questo mondo? Ahimè! Quanto pochi se ne trovano che esultino di essere liberati da questo laccio! Quanti invece soffrono per non esserne irretiti abbastanza e si affaticano per ingolfarsi e impigliarsi in esso! Voi che avete lasciato tutto e avete seguito il Figlio dell’uomo che non ha dove posare il capo, esultate e dite: Perché lui mi ha liberato dal laccio dei cacciatori. Lodatelo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la forza e ringraziatelo dal profondo del cuore dicendo: Perché lui mi ha liberato dal laccio dei cacciatori. E perché sappiate quanto sia grande questo beneficio e quali doni vi sono stati fatti da Dio, ascoltate quello che segue: e dalla parola amara. O uomo, anzi, o bestia, tu non temevi il laccio? Temi almeno il martello [5]. Dalla parola amara, dice il Salmista. Quale è questa parola se non quella dell’inferno che non è mai sazio e dice: porta, porta, colpisci, strazia, su ammazza, svelto strappa la pelle? Che cos’è la parola amara se non: sia sterminato l’empio affinché non veda la gloria di Dio? [6]. Come godono i cacciatori dopo aver preso la bestia e come gridano: «afferrala, afferrala, infilzala nello spiedo, mettila sulla brace, buttala nelle caldaie che bollono minacciose», anche la parola che proferì la casa ribelle, il popolo giudaico, gridando: Via, via, crocifiggilo! [7] , fu una parola amara. Che parola orribile, che parola amara, che parola crudele! I loro denti furono davvero lance e frecce, la loro lingua spada affilata [8]. Questa parola amara, tu l’hai sopportata, Signore. E perché, se non per liberare noi dalla parola amara? Lo dobbiamo alla tua bontà se non abbiamo da soffrire quello che tu hai sofferto per noi.

 

3. I mondani, quando li esortiamo a fare penitenza, rispondono: È duro questo linguaggio [9]. È appunto ciò che leggiamo nel Vangelo. Allora il Signore parlava proprio di penitenza, ma in figura, come a gente alla quale non è concesso di conoscere il mistero del regno di Dio. E sentendolo dire: Se non mangerete la carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo sangue, dissero: Questo discorso è duro [10] e se ne andarono. Che cosa è infatti mangiare la sua carne e bere il suo sangue se non prendere parte alle sue sofferenze e imitare la condotta che egli tenne durante la sua vita terrena? Per cui, l’illibato sacramento dell’altare nel quale riceviamo il corpo del Signore ci insegna che come le specie e le apparenze del pane entrano visibilmente in noi, così dobbiamo pensare che egli stesso entra in noi con quella condotta che egli tenne sulla terra, per abitare nei nostri cuori mediante la fede “. Quando, infatti, entra nelle nostre anime la giustizia, è colui che per opera di Dio Padre è divenuto per noi giustizia che entra. Così pure colui che sta nell’amore dimora in Dio, e Dio dimora in lui [12]. Eppure molti ancora ci dicono: È duro questo discorso. Ma è dunque proprio duro questo momentaneo, leggero peso di tribolazione che procura una sublime magnificenza eterna di gloria? È proprio duro il riscattare con una pena brevissima e leggerissima quei supplizi e quei tormenti che non finiranno mai e dei quali nessuno è capace di farsi un’idea? Vi pare duro il sentirvi dire: Fate penitenza [13]? Vi sbagliate. Un giorno sentirete davvero quella parola amara, quel discorso, quell’annuncio di sventura che suona: Via, maledetti, nel fuoco eterno [14]. Queste sono le parole che dovete temere e considerare dure, e allora troverete che il giogo del Signore è soave e il suo peso leggero. E se ancora non riuscite a credere che esso è soave in se stesso, almeno non potrete ignorare che in confronto con quelle parole terribili è soavissimo.

 

4. Ma voi, fratelli miei, voi che avete ali per volare, sotto i cui occhi si tende invano la rete, voi che avete abbandonato tutte le ricchezze di questo mondo, che motivo avete di temere la parola amara quando siete stati liberati dal laccio? Beato te, o Idithun, al quale sono stati dedicati anche alcuni salmi. Tu hai saltato il laccio al fine di tenerti lontano dalla parola amara [15]. A chi, infatti, sarà detto: Via, maledetti, nel fuoco eterno: perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare [16], a chi, dico, sarà detto questo se non a coloro che hanno avuto ricchezze di questo mondo? Al sentire queste parole non si rallegrano profondamente i vostri cuori? Non si riempiono di gioia spirituale? Non considerate la vostra povertà più preziosa dei tesori del mondo? Poiché è proprio essa che vi libera dalla parola amara. Infatti, come può Dio esigere da voi quello che avete abbandonato per amor suo? Eppure glielo date, perché con il lavoro delle vostre mani Cristo è nutrito e vestito così bene che non gli manca niente [17]. Ringraziate Dio, dunque, esultate e dite: Perché lui mi ha liberato dal laccio dei cacciatori e dalla parola amara. Esultate, dico, ma con timore finché siete ancora quaggiù. Desidero che siate contenti, ma non sicuri, lieti della gioia che lo Spirito Santo effonde nei cuori, ma ancora timorosi e cauti per ogni possibile ricaduta.

 

5. Che cosa infatti dovete ancora temere? Una cosa e, per di più, gravissima: il peccato di Giuda, il peccato di apostasia. Siete stati ben fortunati, per avere preso ali come di colomba e per avere volato onde trovare riposo. Nel mondo non vi era riposo, ma fatica, dolore e afflizione di spirito. Ora, uno che ha volato in questo modo, che cosa deve temere se non eventualmente la vista di un cadavere che giace per terra o alcunché di simile e, mentre si abbassa attirato da esso, di essere scoperto da quei cacciatori spietati, cadere nei lacci che essi hanno preparato e finire in una condizione peggiore di quella nella quale si trovava prima della sua conversione? Lo ripeto, di questo si deve avere una gran paura: di ritornare al vomito o con i soli desideri del cuore oppure anche con il corpo. Leggiamo infatti che i figli d’Israele non potendo ritornare in Egitto con il corpo perché il Mar Rosso, chiuso dietro ai loro calcagni, lo impediva, vi ritornarono col cuore. Questo è quello di cui ognuno deve avere una gran paura, cioè di offendere Dio così gravemente da venire respinto e vomitato da lui. E, se la vergogna gli impedisse l’apostasia esteriore, deve temere che la tiepidezza non insinui a poco a poco l’apostasia del cuore così da coprire con l’abito religioso un cuore mondano e da buttarsi su ogni piacere secolaresco che riesca a trovare. Perché noi non siamo più santi dell’Apostolo, il quale temeva che dopo avere predicato agli altri, non gli succedesse di venire egli stesso squalificato.

E questo timore lo si deve avere fino a tanto che il laccio non sia spezzato, cioè fino a che l’anima non si sia liberata dal corpo. Infatti, anche il corpo è un laccio, per cui si legge che l’occhio fa preda dell’anima [18]. Per questo bisogna che l’uomo, il quale porta con sé il proprio laccio, non si senta affatto sicuro. Invece è bene che dimori nell’aiuto dell’Altissimo, affinché con esso si possa evitare il laccio [19].

 

NOTE

[1] Sal 48,13.

[2] Questa serie di superlativi con desinenze dalla sonorità acuta evoca quasi il sibilo dei dardi avvelenati del cacciatore: cfr J. LECLERCQ, Saint Bernard écrivain, in Id., Recueil, IV, 109.

[3] Allusione alla leggenda secondo cui i cervi, dopo aver ucciso i serpenti, sono presi da una sete ardente che li fa correre alla ricerca di una sorgente d’acqua. Cfr. Agostino, Enarr. in Ps. 41,3; Lexicon der christlichen Ikonographie, II, Roma 1970, 286-288.

[4] 1Tm 6,17.

[5] Il martello figura le pene dell’inferno: cf. QH 10, 3; De div. 42,6.

[6] Is 26,10: la citazione è fatta secondo la Vetus Latina.

[7] Gv 19,15.

[8] Sal 56,5.

[9] Gv 6,61.

[10] Gv 6,54. 61.

[11] La partecipazione al Sacramento dell’Eucarestia comporta la partecipazione alla sorte e alle scelte del Signore: cfr. anche In nat. Sancti Benedicti, 12. Vedi J. LECLERCQ, Christusnachfolge und Sakramente in der Theologie des hl. Bernard, in Archiv für Liturgiewissenschaft 8 (1963) 64-66.

[12] 1Gv 4,16.

[13] Mt 3,2; 4,17.

[14] Mt 25,41.

[15] Cfr. GIROLAMO, Liber de nom. hebr.: PL 23, 872, dove al nome di “Idithun” è dato il significato di “colui che li oltrepassa, li salta”. Cfr. anche AGOSTINO, Enarr in Ps. 38.

[16] Mt 25,41-42.

[17] Sul ricavato del lavoro manuale destinato ai poveri, cfr. É. GILSON, La teologia, 8 1-84.

[18] Sulla relazione tra anima e corpo cfr. QH 8,4.

[19] Per un’analisi letteraria del S. III, cfr. J. LECLERCQ, Saint Bernard écrivain, in ID., Recueil, IV, 109-110.

 

 


 

 

 

SERMONE QUARTO

«Ti adombrerà con le sue ali e sotto le sue penne spererai»

(Sal 90, 4)

 

1. A colui che loda umilmente e devotamente ringrazia, ben a ragione sono promessi da Dio benefici più grandi di quelli che ha già ricevuto. Poiché a chi è trovato fedele nel poco giustamente è affidato il molto, e, viceversa, chi è ingrato per i benefici ricevuti è indegno di riceverne altri [1]. È per questo che lo Spirito a chi ringrazia devotamente risponde: Dio non solamente ti farà questo ma anche ti adombrerà con le sue ali [2]. Credo che per queste ali si debba intendere la doppia promessa del Signore, quella degli aiuti per la vita presente e quella della gloria nella vita futura. Infatti se egli promettesse solamente il regno e lungo il viaggio venisse a mancare il viatico, certamente gli uomini si lamenterebbero e direbbero: «Ciò che è promesso è grande senz’altro, ma non ci è dato alcun aiuto per arrivarci». Perciò, colui che dopo questa vita ha promesso la vita eterna, ha anche promesso, con una bontà immensamente provvida, di dare il centuplo durante la vita presente. O uomo, che scusa puoi tu ormai addurre? Davvero la bocca di coloro che pronunziano lamenti ingiusti è stata chiusa [3]. Che altro potrà addurre il nemico per tentarti se non che la tua vita sarà lunga? Ma anche se hai innanzi a te un lungo cammino, perché avere paura quando ti è dato un cibo forte affinché non ti accada di venir meno lungo la strada? A Elia è stato offerto dall’angelo il cibo più comune usato dagli uomini: pane e acqua. Eppure vi è stata messa dentro tanta forza che egli, durante un viaggio di quaranta giorni, non si stancò né ebbe fame. Vuoi che gli angeli servano questo cibo anche a te? Molto strano davvero, se non lo vuoi.

 

2. Se tu desideri questo cibo e, per averlo, cerchi il servizio degli angeli con una brama umile e non superba, ascolta quello che è scritto del Signore. Quando il diavolo lo tentava e lo esortava a cambiare le pietre in pani, egli resistette e disse: Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio [4]. Poi, vinte le tentazioni e messo in fuga il tentatore, gli si accostarono gli angeli e lo servivano. Anche tu, allora, se vuoi che gli angeli ti servano, fuggi le consolazioni del mondo e resisti alle tentazioni del diavolo. Se vuoi porre le tue delizie nel ricordo del Signore, l’anima tua rifiuti di consolarsi in altre cose. Quando senti la fame, il nemico ti esorta a correre al pane. Tu invece ascolta colui che dice: Non di solo pane vive l’uomo. Perché ti disperdi in tante e così varie sollecitudini? Perché ti preoccupi ora del mangiare, ora del bere, ora del vestire, ora del dormire, oltre la misura necessaria al sostentamento del corpo, quando tutte queste cose le puoi trovare in una sola, cioè nella Parola di Dio? Essa infatti è una manna che contiene ogni sapore e il gusto di ogni profumo, è un riposo vero e sincero, soave e salutare, giocondo e santo [5].

 

3. Questa è la promessa di Dio per la vita presente. La promessa della vita futura chi potrà spiegarla? Se la speranza dei giusti è già una gioia — e una gioia così grande che qualsiasi cosa che si desidera al mondo, non regge al confronto — che cosa sarà la felicità che si aspetta? Occhio non ha visto, o Dio, all‘infuori di te, ciò che hai preparato a quelli che ti amano [6].

Quattro sorta di benefici noi riceviamo sotto le ali di Dio che ci coprono: sotto di esse restiamo nascosti, sotto di esse siamo protetti dall’assalto degli sparvieri e dei falchi, che sono le potenze dell’aria, sotto di esse un’ombra salutare ci rinfresca e respinge l’eccessivo calore del sole, sotto di esse siamo anche nutriti e riscaldati. Infatti il Profeta in un altro Salmo dice: Poiché mi ha nascosto nella sua tenda nel giorno della sventura [7], cioè quando i giorni sono ancora cattivi e viviamo in una terra straniera, consegnata al potere dell’empio, dove non vi è il regno della pace e dove il Dio della pace non ha posto il suo regno. Infatti, se vi regnasse, che ragione ci sarebbe di pregare: Venga il tuo regno? È necessario, dunque, finché viviamo, di nascondere quel poco di bene che abbiamo, perché chi trova il tesoro del regno dei cieli lo nasconde. È per questo che noi ci nascondiamo anche con il corpo nei monasteri e nelle foreste [8]. E se volete sapere che grande guadagno ricaviamo dal nasconderci in questo modo, credo che qui non ci sia nessuno il quale, se facesse in mezzo ai secolari un quarto di quello che fa in monastero, non sarebbe venerato come un santo e stimato un angelo, mentre qui è continuamente ripreso e rimproverato come negligente. Pensate voi che sia un guadagno da poco il non essere ritenuti santi prima di esserlo? E non temete di perdere la mercede futura, per avere forse ricevuto quaggiù la vile ricompensa di una gloria umana? È dunque necessario per questo nascondersi e non solamente davanti agli occhi altrui, ma anche, anzi molto di più, davanti agli occhi propri. È quello che raccomanda la parola del Signore: Quando avrete fatto tutto quello che vi è ordinato, dite: siamo servi da nulla. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare [9]. E guai a noi se non l’avessimo fatto! La grande virtù e la sicurezza piena consiste proprio nel vivere piamente e nel badare più a quello che ti manca che a quello che ti sembra di avere conseguito, dimenticando il passato e restando proteso verso l’avvenire. Ecco, dunque, il nascondimento che ci è dato, come abbiamo detto, sotto le ali del Signore. Tale forse fu l’ombra che lo Spirito Santo stese su Maria per nascondere un mistero tanto incomprensibile.

 

4. Riguardo alla protezione, questo stesso Profeta dice anche: Hai steso la tua ombra sul mio capo nel giorno della lotta [10]. Come, infatti, la chioccia, vedendo arrivare il nibbio, apre le ali perché i suoi pulcini ci vadano sotto e abbiano un riparo sicuro, così la somma e ineffabile bontà del nostro Dio è pronta per difenderci e, in certo qual modo, allargando il suo seno, si dilata per accoglierci. Per questo, più sopra, l’anima fedele gli ha detto: Perché tu sei il mio rifugio [11].

 Ma sotto queste stesse ali noi abbiamo anche un’ombra salutare e una protezione. Perché, come questo sole materiale, per quanto buono e necessario, con il suo calore, se questo non è moderato, fa male a una testa inferma e con il suo splendore nuoce agli occhi deboli (e questo avviene non già a causa del sole ma a causa della nostra debolezza), così è anche del sole della giustizia. Perciò è detto: Guardati dall‘essere troppo giusto [12], non perché la giustizia non sia una cosa buona, ma perché, essendo noi ancora deboli, è necessario che la grazia che riceviamo, benché buona in se stessa, sia moderata, perché non cadiamo nel vizio dell’orgoglio o dell’indiscrezione. E perché, anche pregando e supplicando senza posa, non possiamo arrivare a quella abbondanza di grazia che desideriamo? Forse perché Dio è divenuto povero o avaro, impotente o inesorabile? No, no davvero. Ma perché egli sa di che siamo plasmati [13], e allora ci copre con l’ombra delle sue ali. Ma non per questo si deve cessare dal chiedere, perché anche se non dà fino alla sazietà, dà, però, quanto basta al sostentamento necessario e, pur proteggendoci da un calore eccessivo, nondimeno ci riscalda, con il suo tepore, come una madre.

Questo, come abbiamo detto, è il quarto beneficio che ci è concesso dallo stare sotto le ali del Signore. Come pulcini siamo riscaldati dal caldo del corpo della madre, affinché, uscendo da Sotto di esso e andando attorno, non si raffreddi quella carità che non si riversa in noi se non per mezzo dello Spirito Santo che ci è dato, e così moriamo. Sarà dunque sotto queste ali che spererai con ogni sicurezza, affinché di fronte al dono dei beni presenti si consolidi la speranza di quelli futuri.

 

NOTE

[1] Sul dovere e i vantaggi della gratitudine, cfr. De div. 27 (Contra pessimum vitium ingratitudinis).

[2]Traduciamo “scapulae” con “ali”, e non letteralmente con “spalle”, per maggiore scorrevolezza, visto che Bernardo non sfrutta la distinzione tra “scapulae” e “pennae “, come invece fa CASSIODORO, Expos. Ps. 90: PL 70, 652.

[3] Sal 62,12.

[4] Mt 4, 4.

[5] Bernardo vuoi dire che la Parola di Dio letta, meditata e assimilata reca più soddisfazione di tutti i piaceri terreni: cfr. De div. 24.

[6] Is 64,4.

[7] Sal 26,5.

[8] Sulla scelta dei luoghi per la costruzione dei monasteri cistercensi, cfr. J.B. AUBERGER, L’unanimité, 87 ss.

[9] Lc 17,10.

[10] Sal 139,8.

[11] Sal 30,4.

[12] Qo 7,17.

[13] Sal 102,14.

 

 

 


 

 

 

 SERMONE QUINTO

«La sua verità ti circonderà come scudo»

(Sal 90, 5a)

 

1. Vegliate e pregate per non cadere in tentazione [1]. Voi sapete chi ha detto questo e sapete anche quando lo ha detto. Sono parole del Signore, dette nell’imminenza della sua passione. E notate che era lui che stava per soffrire e non i discepoli. Nondimeno diceva che si doveva pregare non per sé, ma per essi. Per questo disse a Pietro: Ecco Satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli [2]. Se essi dovevano temere così tanto nella passione del Signore, quanto dobbiamo temere noi, fratelli, nella nostra passione? Perciò vegliate e pregate per non cadere in tentazione, perché siete circondati da tentazioni da ogni lato. Infatti avete letto che la vita dell’uomo sulla terra è una tentazione’. Pertanto se la nostra vita è così piena di tentazioni da dover essere giustamente detta nel suo insieme una tentazione, dobbiamo vigilare con diligenza, essere circospetti e pregare per non incorrervi e cadervi dentro. Per questo nella preghiera del Signore vi è la domanda: E non ci indurre nella tentazione ‘. Poiché dunque sei circondato da tentazioni da ogni lato, la sua verità ti circonderà come scudo, affinché come da ogni lato vi sono lotte, così da ogni lato vi siano anche difese. È chiaro che lo scudo che può circondare deve essere spirituale. E ciò che circonda è la verità, nel senso che colui che promette è verace e dà quello che promette. Dio è fedele, dice l’Apostolo, e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze [5].

 

2. Molto a proposito la grazia della protezione divina è paragonata a uno scudo. Nella parte superiore esso è ampio e largo per difendere la testa e le spalle. Nella parte inferiore, invece, è più stretto per essere meno pesante, tanto più che le gambe sono più esili e non è così facile che vengano ferite, come non è neppure molto pericoloso essere feriti in quelle parti. Così Cristo, a difesa delle parti inferiori, cioè del corpo, dona ai suoi soldati grandi privazioni e grande penuria di cose temporali e non vuole che si sia appesantiti dalla loro molteplicità, ma, come dice l’Apostolo, quando abbiamo di che mangiare e di che coprirci, contentiamoci di questo [6]. Invece a difesa delle parti superiori, cioè dell’anima, dona maggiore abbondanza e ricchezza di grazia spirituale. Infatti trovi scritto: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta [7], cioè il vitto e il vestito, di cui aveva detto che non ci si deve preoccupare. Effettivamente di queste cose il nostro Padre celeste nella sua benignissima bontà ci provvede per un doppio motivo: sia perché, qualora ce le negasse, non ce lo crediamo avverso e così ci disperiamo, sia perché l’inquietudine eccessiva per procurarcele non rechi danno alla vita interiore. Senza di esse, infatti, non è possibile né vivere, né servire Dio. Tuttavia quanto meno ne abbiamo, tanto meglio!

 

3. Dunque, la sua verità ti circonderà come scudo: non temerai per il terrore della notte, né per la freccia che vola di giorno, per ciò che vaga nelle tenebre, e per l’assalto del demonio meridiano [8]. Sono queste le quattro tentazioni che ci circondano da ogni lato e, per vincerle, abbiamo bisogno anche noi di essere circondati dallo scudo del Signore a destra e a sinistra, davanti e di dietro. Di questo infatti voglio che siate preavvertiti: che nessuno potrà vivere quaggiù senza tentazione e, se per caso a qualcuno ne è tolta una, sia sicuro che deve aspettarne un’altra, o meglio, non sia sicuro ma trepidante e domandi di essere liberato senza ripromettersi, finché dimora in questo corpo mortale, la libertà o la quiete. E in questo dobbiamo considerare la benigna disposizione della bontà divina verso di noi, in quanto permette che siamo tormentati più a lungo da certe tentazioni perché non ne sopraggiungano altre più pericolose; altre volte, invece, ci libera più presto da alcune perché possiamo essere provati con altre che essa prevede esserci più utili. Dobbiamo però considerare, ma non adesso, quali siano le quattro tentazioni di cui il Profeta parla in questo passo. Credo infatti che esse insorgano contro coloro che abbracciano la vita monastica nello stesso ordine con il quale sono enumerate qui, e inoltre stanno all’origine di tutte le altre tentazioni.

 

NOTE

[1] Mt 26,41.

[2] Lc 22,31-32.

[3] Gb 7,1.

[4] Mt 6,13.

[5] 1Cor 10,13.

[6] Tm 6,8.

[7] Mt 6,33.

[8] Sal 90,5-6.

 

 


 

 

 

SERMONE SESTO

«Non temerai i terrori della notte, né la freccia che vola di giorno,

quanto si aggira nelle tenebre e l’ assalto del demonio del mezzogiorno»

(Sal 90, 5b-6)

 

1. Nelle Sante Scritture l’avversità di solito è indicata con l’immagine della notte [1] e noi sappiamo che la prima battaglia mossa contro coloro che vengono alla vita monastica suoi essere quella dei mali del corpo. Perché la carne, libera fino allora da ogni freno, non accetta pacificamente di essere trattata con durezza e trascinata in servitù, ma, ricordandosi della libertà appena perduta, arde con più violenza contro lo spirito, soprattutto quando è sottoposta a quelle sofferenze nelle quali voi affrontate la morte ogni giorno, dalle quali, anzi, siete messi a morte continuamente, che sono superiori alle vostre forze, al di là della natura, e contrarie alle vostre abitudini passate [2]. Allora che meraviglia se esse sconcertano, soprattutto coloro che non vi erano abituati e che non sono ancora abbastanza pronti a ricorrere alla preghiera e a trovare rifugio nelle sante meditazioni per alleviare in questo modo il peso della giornata e la calura? È all’inizio della nostra conversione che ci è necessario lo scudo del Signore per non temere i terrori della notte. Ed è ben detto che si deve temere non la notte, ma i terrori della notte, perché la tentazione non consiste propriamente nella sofferenza, ma piuttosto nella paura di essa. Tutti infatti sperimentiamo la fatica fisica, ma senza che questa costituisca per tutti una tentazione, e quelli che sono tentati soffrono molto più per la paura della pena futura che non per il dolore di quella presente.

 

2. Poiché, dunque, il timore stesso è una tentazione, giustamente è stato detto a colui che è circondato dallo scudo del Signore che non avrà paura di questa tentazione. Potrà essere assalito, potrà essere tentato, potrà aver paura della notte, ma questo timore non gli recherà alcun danno, anzi, se non ne sarà dominato, lo renderà immacolato e sarà purificato, come è detto nella Santa Scrittura: spaventati si purificheranno [3]. Questo timore è un crogiolo, ma la verità fa sì che esso purifichi senza bruciare. Per certo, è un timore notturno e tenebroso, ma il raggio della verità lo vince facilmente. Essa, infatti, presenta agli occhi del cuore ora i peccati che abbiamo commessi, affinché, come dice il Profeta di se stesso [4], anche noi siamo pronti ai flagelli per espiarli, confessando la nostra iniquità e pensando al nostro peccato; ora i supplizi eterni che abbiamo meritato, affinché tutti i mali che soffriamo in questa vita li consideriamo una delizia in confronto alle pene dalle quali, con essi, ci liberiamo; ora ci presenta i premi celesti verso i quali aspiriamo, pensando spesso che le sofferenze del tempo presente non sono paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi [5], ora anche quello che Cristo ha sofferto per noi, affinché considerando spesso quanto quella divina maestà ha patito per noi servi da nulla, ci vergogniamo di non essere capaci di sopportare a nostro vantaggio neppure delle piccole pene.

 

3. Ma forse la verità, specialmente perché è così molteplice e perché ti circonda da ogni parte, è riuscita non soltanto a reprimere, ma anche a espellere del tutto questo timore. La notte è inoltrata [6].

Allora, comportandoti nel modo appropriato come figlio della luce e del giorno, temi la freccia. Essa vola di giorno leggera, leggermente penetra, ma ti dico che infligge una ferita tutt’altro che leggera: essa uccide sul colpo. Questa freccia è la vanagloria. Non è che colpisca i pusillanimi e i rilassati. Sono quelli che figurano come più ferventi che devono guardarsi bene e temere questo pericolo, stando sempre attenti a non abbandonare lo scudo inespugnabile della verità. Che cosa vi è infatti di tanto contrario alla vanità come la verità? E non occorre che a questa freccia si oppongano i segreti e le intime profondità della verità: basta che l’anima conosca se stessa e che tragga da se stessa la verità. Se non sbaglio, è ben difficile che uno possa essere indotto a vantarsi per le parole adulatrici di coloro che lo lodano durante la sua vita, se nel suo intimo esamina se stesso alla luce della verità con una riflessione attenta. Infatti, se riflette sulla propria condizione, non dirà forse a se stesso: Come mai ti insuperbisci tu che sei terra e cenere? [7]. Se uno considera la propria corruzione, non siamo forse obbligati a confessare che in lui non vi è nulla di buono? E anche se dà l’impressione di aver alcunché di buono, penso che non troverebbe di che rispondere all’Apostolo che dice: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? [8]. E altrove: Chi crede di stare in piedi, guardi di non cadere [9]. Infine, dopo un calcolo sincero, potrà accorgersi facilmente di non disporre neppure di diecimila combattenti per affrontare colui che gli viene incontro con ventimila e che tutti i suoi atti di giustizia sono considerati come uno straccio sudicio.

 

4. Ma questa medesima verità bisogna opporla anche alle tentazioni che seguono. Perché l’antico nemico non desiste, ma dà mano ad altri mezzi ancora più astuti. Ha dato l’assalto a una torre che ha trovato salda da ambedue i lati. Deluso ormai in ambedue i tentativi, cessa di assalirla da sinistra con la pusillanimità destata dalla paura, e da destra con le lodi degli uomini. «Ma se non riesco ad abbattere con la forza», dice, «forse riuscirò a ingannare mediante l’astuzia di qualche traditore». Chi pensi sarà questo traditore? Certamente la cupidigia: radice dell’iniquità; e l’ambizione: male sottile, veleno nascosto, peste occulta, artefice di inganni, madre dell’ipocrisia, generatrice di livore, origine dei vizi, fornite dei delitti, ruggine delle virtù, tarlo della santità, accecatrice dei cuori, che crea le malattie con i rimedi e fa nascere il male dalla medicina. Il nemico dice: «Ha disprezzato la vanagloria perché è vana; chissà che non ambisca qualcosa di più solido, forse gli onori, forse le ricchezze». Quanti non ne ha fatto cacciare nelle tenebre esteriori questa peste che vaga nelle tenebre, spogliandoli della veste nuziale e svuotando la pratica delle virtù del vero spirito di pietà! Quanti, tristemente ingannati, non ne ha anche vergognosamente abbattuti, tanto che anche coloro i quali non s’erano accorti dell’occulto sovvertitore rimasero terrorizzati alla vista di quella rovina improvvisa?

E che cos’è che nutre questo verme se non l’alienazione della mente e l’oblio della verità?

E chi è che va alla ricerca di questo traditore per smascherarlo e per sbugiardarne gli artifici tenebrosi se non la verità? Difatti è la verità che dice: Che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde o rovina se stesso? [10]. E anche: Rigorosissimo sarà il giudizio sui potenti [11]. È la verità che, con pressante ricordo, fa pensare quanto è frivolo il conforto dell’ambizione, quanto grave il giudizio che sarà pronunciato su di essa, quanto breve il suo godimento, quanto ignota la sua fine.

 

5. Queste tentazioni le ha provate anche il Signore. Ma il nemico non ha avuto l’ardire di assalirlo con la quarta: quella dell’ignoranza. Egli infatti non aveva dubbi sulla sapienza profondissima di colui che misurava le sue risposte così bene che a lui non riusciva mai di conoscere niente di quello che voleva sapere. Così, nella prima tentazione voleva convincerlo, mentre era affamato, a cambiare le pietre in pane. Ma lui, senza rispondergli né che poteva, né che non poteva fare il miracolo, parlò di un altro pane dicendo: Non di solo pane, ecc. Nella seconda tentazione, invece, lo consigliava di precipitarsi dall’alto, promettendogli che se era il Figlio di Dio non si sarebbe fatto male, e tutta la città, vedendo questo spettacolo, lo avrebbe lodato e magnificato. Ma egli non rispose né che era, né che non era il Figlio di Dio. La terza fu una tentazione di ambizione, quando gli promise tutti i regni del mondo se, prostrandosi ai suoi piedi, l’avesse adorato. Non vedi come l’ambizione conduce all’adorazione del diavolo, a prezzo della quale questi promette ai suoi adoratori di poter giungere agli onori e alla gloria del mondo? Come ho detto, avendo conosciuto dalle sue risposte quanto grande fosse la sua prudenza, si astenne dal tentare il Signore con la quarta tentazione.

 

6. Ma che cosa fa contro gli altri che vede amare la giustizia e odiare l’iniquità con tutto l’impegno? Che cosa fa se non coprire il male con la maschera della virtù? Infatti, quelli che sa essere perfetti nell’amore del bene, cerca di persuaderli a fare il male sotto l’apparenza del bene e non di un bene qualunque, ma di un bene perfetto, affinché chi ama il bene con tanto ardore vi si precipiti e lo compia e cada con facilità. Questo è un demonio non solamente del giorno, ma addirittura del mezzogiorno. Non ebbe forse paura di lui Maria quando, all’insolito saluto dell’angelo, si spaventò? Forse che l’Apostolo non alludeva a lui quando diceva: Non ignoriamo le sue macchinazioni; Satana, infatti, si maschera da angelo di luce [12]. E infine, non temevano questo stesso demonio i discepoli, quando, vedendo il Signore che camminava sulle acque, gridarono credendo che fosse un fantasma? E osserva come si adatta bene quello che nota il testo, cioè che era la quarta vigilia quando si dice che i discepoli stettero in guardia contro la tentazione. Ma credo che per spiegare un fatto così evidente, come cioè sia la sola verità quella che scopre la falsità mascherata, non ci sia bisogno delle mie parole.

 

7. Un osservatore attento troverà facilmente queste quattro tentazioni anche in tutta la storia della Chiesa. I terrori della notte non tormentavano forse l’ancor fresca piantagione della Chiesa, quando chiunque uccideva i servi di Dio credeva di rendergli un atto di culto? Cessata, poi, la persecuzione e fattosi giorno, la turbò e la afflisse più gravemente la freccia che vola di giorno, quando sorsero alcuni dalla Chiesa stessa gonfi di spinto carnale, avidi di vanagloria, i quali, per farsi un nome con la forza della loro lingua, fabbricarono varie e perverse dottrine. Ma anche adesso se vi è pace da parte dei pagani, se vi è pace da parte degli eretici, non vi è pace da parte dei falsi figli. Moltiplicasti il popolo, Signore Gesù, ma non accrescesti la gioia [13], perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. Adesso sono tutti cristiani, ma quasi tutti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo. Anche le cariche e le dignità ecclesiastiche sono divenute oggetto di vile interesse e di speculazioni tenebrose. In esse non si cerca la salvezza delle anime, ma il lusso delle ricchezze. Per questo prendono la tonsura, per questo frequentano le chiese, celebrano messe, cantano salmi. Oggi si lotta spudoratamente per gli episcopati e per gli arcidiaconati, affinché le rendite delle chiese siano sperperate a scopi di superfluità e di vanità. Ormai non resta altro che si riveli l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, il demonio non soltanto del giorno, ma anche del mezzogiorno, che non solo si maschera in angelo di luce, ma si innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto [14]. Egli morde davvero molto crudelmente il calcagno della madre Chiesa dalla quale si duole che gli sia stata schiacciata la testa. Quest’assalto sarà certamente tremendo, ma la Verità libererà la Chiesa degli eletti anche da lui, abbreviandone i giorni a causa loro e distruggendo il demonio meridiano con lo splendore della sua venuta.

E ciò basti su queste quattro tentazioni: infatti mi ricordo di avere trattato dello stesso argomento, più o meno così, in un sermone sul Cantico dei Cantici, quando ebbi occasione di parlarvi di questo demonio del mezzogiorno, prendendo lo spunto dal luogo del riposo dello sposo, che la sposa desiderava le fosse indicato [15].

 

NOTE

[1] Cfr. GREGORIO MAGNO, Mor. 2, IX, 15: «Scriptura sacra saepe diem pro prosperis, noctem autem pro adversis ponere consuevit».

[2]  Cfr. QH Praef., 1.

[3] Gb 41,16.

[4] Cfr. Sal 37,18-19.

[5] Rm 8,18.

[6] Rm 13,12.

[7] Sir 10,9.

[8] Cor 4,7.

[9] 1Cor 10,12.

[10] Lc 9,25.

[11] Sap 6,7.

[12] 2Cor 2,11; 11, 4.

[13] Is 9,3.

[14] 2Ts 2,4.

[15] Con il sermone VI termina la prima redazione della serie: cfr. Introduzione, p. LIII. Il riferimento è a Sup. Cant. 33.

 

 


 

 

 

SERMONE SETTIMO

«Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma a te non si avvicinerà»

(Sal 90, 7)

 

1. Fratelli, viviamo nella speranza e non ci perdiamo d’animo nella tribolazione presente, perché aspettiamo le gioie indefettibili del cielo. E quest’attesa non la consideriamo vana, né incerta questa speranza, basata com’è sulle promesse della verità eterna. Inoltre, l’attesa dei beni futuri è assicurata anche dal conseguimento di quelli che riceviamo ora e l’efficacia della grazia in questa vita attesta con la più grande attendibilità che seguirà certamente anche la felicità della gloria promessa. Poiché il Signore delle virtù, è lui il re della gloria [1] e anche in un inno lo invochiamo come:

Padre di eterna gloria,

Padre di grazia potente [2].

Così gli cantiamo nel Salmo: Perché Dio ama la misericordia e la verità; il Signore darà grazia e gloria [3]. Sostenga dunque con coraggio la pietà, la lotta in questo mondo e sopporti con serenità ogni sorta di persecuzione. E come non sosterrà tutto, quella virtù che tutto può, portando con sé la promessa della vita presente e quella della vita futura? Resista essa coraggiosamente all’aggressore perché se resiste avrà presso di sé un difensore instancabile e se vince non le mancherà un remuneratore generosissimo.

Come di uno scudo, dice il Profeta, ti circonderà la sua verità [4].

 

2. L’invincibile protezione della verità è indubbiamente necessaria non soltanto adesso per chi vive, ma anche dopo per chi esce da questo mondo, adesso per i pericoli della lotta, dopo per l’avventarsi di mostruosi spiriti maligni. Infatti il nemico voleva far del male anche a quell’anima santissima del glorioso Martino e. sapendo che ormai gli restava poco tempo. quella bestia sanguinaria ebbe l’ardire di stare con tutto il furore della sua instancabile malizia presso colui sul quale non aveva nessun potere. Anzi, nella sua spudoratissima temerità, volle affrontare lo stesso Re della gloria, come attesta egli stesso dicendo: Viene il principe di questo mondo: egli non ha nulla di suo in me [5]. Beata quell’anima che durante la vita ha respinto così bene i dardi della tentazione con lo scudo della verità da non dover restare confusa quando, sulla porta di uscita da questo mondo, non avendo tollerato che entrasse in sé alcunché di avvelenato, dirà ai suoi nemici: Non troverai nulla di tuo in me, disgraziato [6]. Beato colui che lo scudo della verità protegge in tal modo da custodire e la sua entrata e la sua uscita: l’uscita da questa vita e l’entrata in quella futura, cosicché il nemico non possa tendere insidie alle spalle, né fargli alcun male di fronte. Allora, infatti, contro quelle visioni orribili ci sarà assolutamente bisogno di un custode, ci sarà bisogno di un grande consolatore, non meno di quanto ci sia bisogno ora di un aiuto e di un difensore contro i tentatori invisibili.

 

3. Intanto, o dilettissimi, glorificate e portate Cristo nel vostro corpo . È un carico soave, un peso piacevole, un fardello salutare, anche se qualche volta può sembrare che opprima, che sproni i fianchi, che flagelli colui che ricalcitra, che stringa e domi le mascelle con morso e briglie. Ma sempre per tuo gran bene. Assomiglia pure a un giumento che porta il Salvatore, ma senza esserlo del tutto. Perché è scritto: L’uomo quand’era in onore non comprese, è divenuto come le bestie insensate, si è fatto simile a loro [8]. Ma perché il Profeta o deplora o riprende così aspramente nell’uomo la somiglianza con i giumenti, tanto più che altrove, parlando di sé, dice a Dio, non senza una certa compiacenza: Davanti a te stavo come una bestia. Ma io sono con te sempre ? [9]. Io, credo, anzi, non solo credo, ma so che è raccomandabile per l’uomo una certa somiglianza con i giumenti, evidentemente non quella che consiste nell’essere privo di intelligenza e nell’essere stolto, ma piuttosto nell’essere capace di imitare la loro pazienza. Poiché, se il Profeta avesse detto: «L’uomo, posto sotto il peso di Dio, non ha ricalcitrato, è divenuto come un giumento presso di lui», questa non sarebbe la voce di uno che è irritato oppure che deplora la condizione umana. Chi non invidierebbe immensamente quel giumento, sul cui umile dorso il Salvatore, per offrire un esempio della sua ineffabile mansuetudine, si è degnato di sedersi, se, portando un carico così prezioso, avesse anche potuto conoscere l’onore singolare che gli veniva fatto? Imita dunque il giumento, ma senza esserlo, sopportando con pazienza il carico che ti è imposto, ma comprendendone anche l’onore e considerando con intelligenza e con gioia tanto la qualità del peso stesso, quanto il vantaggio che puoi ricavarne.

 

4. Il grande Ignazio, uditore del discepolo che Gesù amava e le cui reliquie arricchiscono la nostra povertà, questo nostro martire, in parecchie delle lettere che le scrive, saluta una certa Maria con il titolo di Cristifera [10]. Titolo magnifico di dignità, certamente, ed espressione di immenso onore perché portare colui servendo al quale si regna, non è un ornamento, ma un onore. Del resto, l’asinello del Salvatore, del quale abbiamo appena parlato, doveva forse aver paura di venir meno lungo la strada sotto un tale carico? Ovvero, doveva temere l’aggressione dei lupi, o l’incontro dei ladri, o il precipizio, o qualsiasi altro pericolo sotto una guida così grande? Fortunato colui che avrà portato Cristo in modo tale da meritare di essere introdotto nella città santa del Santo dei santi. Egli non ha affatto da temere né alcun ostacolo lungo la strada, né alcuna ripulsa alla porta. A quel giumento era la gente fedele che preparava la strada, a questo invece la prepareranno i santi angeli: Poiché ai suoi angeli ha dato per te quest’ordine: di custodirti in tutte le tue vie, perché non inciampi con il tuo piede contro la pietra [11]. Ma non dobbiamo anticipare a questo momento l’esposizione di questo passo, bensì seguire nel nostro commento l’ordine del testo biblico.

 

5. Il Salmista dice: Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma a te non si avvicinerà. Oggi dobbiamo spiegare questo versetto, lo sapete. Nel passo precedente, l’ultimo che vi ho spiegato, ho detto, se vi ricordate, che la protezione della verità libera da quattro grandissime e gravissime tentazioni di questa vita, cioè dai terrori della notte, dalla freccia che vola di giorno, da quanto si aggira nelle tenebre e dall‘assalto del demonio del mezzogiorno [12]. Quello che segue: Mille cadranno al tuo fianco, eccetera, credo che si debba riferire piuttosto alla vita futura. Per cui, al principio di questo sermone — se non sbaglio lo ricordate ancora — ho rievocato il detto dell’Apostolo nel quale egli afferma che la pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura. Ascoltate, dunque, e ascoltate con cuore esultante di gioia ciò che riguarda la promessa della vita futura che è l’oggetto della vostra speranza. Dov’è il vostro tesoro, là sia anche il vostro cuore. Ricordo che avete ascoltato attentamente ciò che riguarda la vita presente, non l’ho dimenticato. Ma ora bisogna che ascoltiate ancora più attentamente quello che riguarda la vita futura.

Infatti, anche lo pseudo-profeta, Balaam (ricordatelo voi che conoscete la storia sacra), anche lui, benché fosse perverso, sospirava di morire della morte dei giusti e pregava che la sua fine potesse essere simile alla loro. Il frutto della pietà è così grande, così grande è il premio della giustizia che non può non essere desiderato neppure dagli empi e dai perversi.

Ma il cantico di Sion piace poco ai salici di Babilonia [l3]. Perciò stando in mezzo ad essi si è costretti ad appendere le cetre e a tacere. C’è piuttosto da gemere sui fiumi di Babilonia se mai si riesce a persuaderli di piangere. Ma qui tra voi, dove al suono del salterio, al cantico di Sion, non mancheranno di quelli che danzano con tutta la gioia dello spirito e, presi dallo slancio di un desiderio santo, ardono di volare verso la vera Sion dicendo: Chi mi darà ali come di colomba per volare e trovare riposo? [14]: qui, tra voi, si deve cantare. Che altro è esultare se non saltar fuori di sé (per la gioia)? L’annuncio della tranquillità e della bellezza della riva lontana e ormai quasi disperata, per quanto sia gradito, esercita ben poca attrattiva su quelli che sono ancora in pericolo in mezzo al mare, su quelli che sono sbattuti dalle onde, e spinti dai flutti. Ma il versetto che oggi dobbiamo commentare non riguarda un’anima che si trova in questo stato. Infatti, chiunque si trovasse in queste condizioni, non potrebbe meritare di sentire: Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra. Non dimenticate a chi è stata fatta questa promessa: soltanto a colui che dimora nell‘aiuto dell‘Altissimo: vivrà sotto la protezione del Dio del cielo [15].

 

6. Ascolti dunque, colui che con il pensiero e con il desiderio è ormai vicino al porto della salvezza, colui che, gettata innanzi, per così dire, l’ancora della sua speranza, si sente inseparabilmente attaccato a quella terra desiderabile e aspetta, tutti i giorni della sua milizia terrestre, che arrivi l’ora del mutamento dello stato in cui ora si trova [16]. Questa vita, che voi conducete nella vocazione alla quale siete stati chiamati per essere in essa oggetto della divina giustificazione, è indubbiamente il mezzo principale e il più sicuro per prepararvi alla partenza da questo mondo per accostarvi a quel porto. Infatti queste due cose, vocazione e giustificazione, sono come un ponte sicuro di congiunzione fra due eternità, quella della glorificazione e quella della predestinazione, delle quali, come la predestinazione non ha, in Dio, nessun principio, così la glorificazione non avrà alcun termine. E perché non crediate che questa specie di congiunzione intermedia fra le due eternità sia una mia invenzione, sentite se di essa non parla ancora più chiaramente anche l’Apostolo dicendo: Quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi alla immagine del Figlio suo [17]. Come pensi tu che li glorificherà? E con quale ordine? Perché quello che viene da Dio è tutto disposto con ordine. Passerai forse dalla predestinazione alla glorificazione con un salto repentino? No, costruisciti un ponte, o meglio entra in quello già preparato, quello, cioè, di cui l’Apostolo dice: Quelli che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati [18].

 

7. In verità, ad alcuni questa via sembra buona. Lo è effettivamente e non vi è nulla da temere circa il suo termine. Non ti desti alcun sospetto la fine di questa strada, continua pure a camminare sicuro, con tanto più ardore quanto più è certo l’avvicinarsi del termine. Cammina sul ponte, come non dovrebbe avvicinarsi il termine? Convertitevi, dice il Battista, perché il regno dei cieli è vicino [19]. Ma tu dirai: il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono [20]. Non mi si apre nessun accesso se non attraverso le schiere nemiche. Lungo il percorso vi sono giganti. Svolazzano per l’aria, assediano il varco, spiano i passanti. Nonostante tutto questo, abbi fiducia, non aver paura. Sono grandi, sono numerosi, ma mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra. Cadranno da ogni parte per non farti più male, né adesso, né mai. Anzi, questo è ancora poco: cadranno per non avvicinarsi più. Sì, l’empio vedrà e si adirerà2’, ma verrà di fianco, perché la misericordia del tuo Dio arriverà prima di lui a proteggerti, e la stessa misericordia ti seguirà per custodire — come abbiamo ricordato sopra — anche la tua entrata e la tua uscita. Altrimenti, in quell’incontro così spaventoso con gli spiriti maligni, come potrebbero reggere i sentimenti umani senza essere scossi da uno spavento intollerabile?

 

8. Che cosa pensereste, fratelli, se fosse permesso anche a uno solo dei tanti principi delle tenebre di lanciarsi in mezzo a voi e di mostrarsi con tutta la sua ferocia e con l’enormità del suo corpo tenebroso? [22]. Quale senso del vostro corpo o quale sentimento dell’animo riuscirebbe a sostenere una tale vista? Sapete, del resto, come, pochi giorni or sono, a un fantasma notturno è stato permesso di turbare così gravemente uno di voi, prima addormentato e poi sveglio, che a mala pena egli poté conservare l’uso della ragione e sentirsi sicuro durante tutto quel giorno. Anche voi siete rimasti tutti ugualmente terrorizzati al grido terribile di quel monaco spaventato. C’è veramente da vergognarsi che, all’avverarsi di quel fatto, voi, e mezzo addormentati, abbiate lasciato dormire fino a tal punto anche la vostra fede.

Ma, indubbiamente, tutto questo è accaduto per nostro avvertimento, cioè perché ci ricordiamo con ogni diligenza contro chi dobbiamo combattere per non essere trovati mai né ignari dell’invidia del nemico, né ingrati verso la protezione divina. Evidentemente l’inveterata malizia del nemico infernale, a causa del tormento insopportabile della sua invidia, è esplosa con un furore così grande proprio in questi giorni santi di penitenza, come per mostrare che il vostro fervore lo tormenta più aspramente che mai. Egli è vicino ai santi che muoiono, con la stessa gelosia e con lo stesso furore che lo divora ora contro di voi, ma con maggiore libertà d’azione; però, tenendosi solamente di fianco, perché ormai non gli sarà più permesso né di mettersi davanti per fare violenza, né di strisciare di dietro per ingannare.

 

9. Ma, peraltro, egli non ti tenderà agguati neppure lungo la strada. Infatti a te non si avvicinerà [23]. Non solo non ti raggiungerà per colpirti, ma neppure ti si avvicinerà per spaventarti. Penso infatti che, alla vista di quelle figure così mostruose, e di una moltitudine così grande di facce spettrali, tu temi che ti colga lo spavento. Ma allora ti starà accanto un difensore eccellente e un consolatore fortissimo, quello precisamente del quale tu hai letto: Davanti a lui si prostreranno gli Etiopi [24], lambiranno la polvere i suoi nemici [25]. Davanti a lui il maligno sarà certamente ridotto al niente e così egli glorificherà quelli che Io temono. Finché tu sarai presente, Signore Gesù, i nemici facciano pure irruzione, ma si diano anche a fuga precipitosa; affluiscano pure da ogni parte, ma per scomparire, per perire davanti a Dio come fonde la cera davanti al fuoco. E perché dovrei temere quelli che vengono meno? Perché dovrei avere paura di quelli che tremano? Perché paventare quelli che cadono? Anche se dovrò camminare immerso nell’ombra di morte, non temerò alcun male, purché tu sia con me, Signore mio Dio. Poiché presto spirerà la brezza del giorno, le ombre si dissiperanno e i principi delle tenebre cadranno da una parte e dall’altra. Ché, se già adesso, mentre camminiamo ancora nella fede e non nella visione fra le loro maligne e occulte suggestioni, la fede trionfa vittoriosamente su di essi, con quanta più facilità la conoscenza limpida della verità pienamente svelata li spazzerà via con le loro facce tetre e tenebrose? E non metterti in pena per il loro numero, non stare ad aver paura della loro moltitudine. Ricordati che, a un solo comando del Salvatore, dal corpo di un solo uomo ossesso e posseduio da lungo tempo è uscita una intera legione di diavoli, la quale non ha avuto il coraggio di toccare i porci se non dietro il suo comando. Quanto più sotto la sua guida, qualunque sia il loro numero, cadranno da ogni lato, esclamando con immenso stupore: Chi è costei che sale come aurora che sorge, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come esercito schierato a battaglia? [26]. Intrepido, dunque, e libero da ogni timore, anzi giubilante di lode, guarderai con i tuoi occhi e non solo non avrai più da sostenere il loro assalto o da temere il loro furore, ma, invece, vedrai il castigo degli empi.

 

10. Quello che ho detto sembrerebbe poter bastare per oggi, ma mi pare che alcuni di voi siano in sospeso nell’attesa di qualche altra cosa. Se non sbaglio, i più desiderosi di apprendere vorrebbero sapere perché il Salmista dice che a destra ne cadranno diecimila, a sinistra, invece, mille. Io penso, infatti, che quello che è chiamato semplicemente lato, in questo luogo non lo si possa interpretare altrimenti che per il lato sinistro, tanto più che, subito dopo, il lato destro è designato con il suo nome proprio. Effettivamente, sembra che non senza una ragione misteriosa il Profeta ha predetto che dal lato sinistro ne cadranno molti, ma molti di più dal lato destro. A meno che uno non sia talmente ignorante e ottuso da credere che per mille e diecimila sia indicato un valore numerico preciso e non piuttosto una stragrande sproporzione. Noi, infatti, non è in questo modo che interpretiamo le sante Scritture, e neppure la Chiesa di Dio [27]. Cadranno, dunque, mille dal lato sinistro e diecimila dal lato destro, perché i nemici infernali sogliono attaccare e dare l’assalto all’ala destra con più accanimento e con maggior numero di forze. Infatti, se consideriamo il grande corpo della Chiesa, vediamo subito come sono assaliti con molta più violenza gli uomini spirituali della Chiesa stessa che non i carnali. E credo che per i suoi due lati, il destro e il sinistro, non senza ragione possiamo intendere queste due classi di uomini. È sempre così che opera la malizia superba e invidiosa del diavolo, assalendo con maggiore violenza i più perfetti, secondo il detto della Scrittura: Il suo cibo è un cibo scelto [28]. E anche: Sorbirà un fiume senza meravigliarsi, con la fiducia che il Giordano passi per la sua bocca [29]. È così, dico, che egli opera, anche se non senza una disposizione del consiglio di Dio, il quale, per quanto riguarda i meno perfetti, non permette che siano tentati oltre le loro forze, dando loro, con la tentazione, anche il suo frutto, e, invece, per quanto riguarda i più perfetti, prepara ad essi sul loro nemico trionfi non solamente più gloriosi ma anche più numerosi [30]. La Chiesa degli eletti dunque sarà tutta coronata per avere combattuto secondo le regole da ambedue i lati, abbattendo fin da ora i suoi nemici da tutte e due le parti con tale violenza da vedere poco dopo più manifestamente come essi cadono in mille alla sua sinistra e in diecimila alla sua destra. Così, una volta, avendo Davide dato prova della sua superiorità, e non essendo stata ancora manifestata in Israele la riprovazione di Saul, le donne cantavano in coro dicendo: Ha ucciso Saul i suoi mille, e David i suoi diecimila [31].

 

11. Ma se si preferisce riferire tutto questo a ognuno di noi individualmente anziché alla Chiesa tutta insieme, la possibilità di una interpretazione spirituale non manca neppure in questo caso. Basta che ognuno consulti la propria esperienza. Infatti, l’avversario cerca di ferire in noi con molto più impegno e con astuzie più numerose la destra che la sinistra e non si dà pena di toglierci i beni del corpo, quanto quelli dell’anima. È ben noto che i demoni invidiano al genere umano sia il benessere fisico, che quello spirituale e che vogliono privarci dell’una e dell’altra felicità, di quella terrena e di quella celeste. Ma è certo che si impegnano con molto più accanimento a privarci della rugiada del cielo, che non del grasso della terra. Lascio al vostro giudizio di decidere se non sia giusto che io paragoni ai due lati i due elementi dei quali l’uomo è composto. Non ho infatti nessun timore di essere contestato per avere paragonato i beni spirituali al lato destro e quelli materiali al lato sinistro, tanto meno da parte vostra che badate sempre a non confondere mai la destra con la sinistra e la sinistra con la destra [32]. Del resto, anche la vera Sapienza non insegna diversamente, dicendo che alla sua sinistra vi sono ricchezze e gloria e alla sua destra longevità di vita [33]. E vi riuscirebbe di gran danno il non sapere da qual parte la moltitudine ostinata dei nemici vi incalza con maggiore violenza. Bisogna, infatti, resistere con più forza dove la necessità di difesa urge maggiormente. dove fa pressione tutto l’urto della battaglia, dove si decide tutto l’esito della lotta e dove, se sarete vinti, cadrete in una schiavitù ignominiosa, se, invece, riporterete vittoria, avrete in trionfo glorioso.

 

12. È per conseguire questo trionfo, e certamente non operando da stolti, che esponete liberamente ai colpi del nemico il lato sinistro per conservare con tutta la premura il destro. Questa infatti non è altro che la prudenza del serpente raccomandata da Cristo e che tutti i cristiani devono imitare, cioè che, esposto se la necessità lo richiede tutto il corpo, si deve difendere solamente il capo. Questa è la vera filosofia, questo è anche il consiglio del Saggio, che, cioè, con ogni cura si custodisca il cuore, perché da esso sgorga la vita [34]. E questa è anche la grazia e la misericordia che Dio usa verso i suoi eletti e la sua protezione per i suoi santi [35], cioè di proteggere sempre in questa vita, con una assistenza premurosa, la loro destra, quasi dissimulando di interessarsi anche della loro sinistra. Perciò il Profeta dice di se stesso: Io ponevo sempre dinanzi a me il Signore, poiché egli mi sta alla destra perché non vacilli [36]. Credi tu che Dio non tenesse la mano destra, e soltanto la mano destra, di colui contro il quale egli diede al nemico la facoltà di fare liberamente quello che voleva nei riguardi delle sostanze e della vita? Soltanto, disse il Signore, risparmia la sua anima [37]. O buon Gesù, se tu stessi sempre alla mia destra! Lo so, e sono certo, che, se in me non domina il peccato, nessuna avversità potrà recarmi danno [38]. Fino a tanto che vivrò, sia pure rasato e percosso il lato sinistro, sia colpito dalle ingiurie, sia tormentato dalle villanie, lo espongo volentieri, purché io sia custodito da te, purché tu sia la mia difesa alla mia destra.

 

13. Ma forse, per i mille che cadranno dal lato sinistro, si devono intendere gli uomini piuttosto che i demoni. Effettivamente gli uomini non ci combattono se non a motivo di ogni sorta di beni temporali e transitori, sia perché sono malignamente gelosi che li possediamo, sia perché soffrono di una ingiusta cupidigia per esserne privi. Infatti, a volte cercano di toglierci le sostanze materiali, a volte la benevolenza degli uomini, a volte la vita stessa del corpo. La persecuzione degli uomini può infierire fin qui, perché all’anima essi non possono fare nessun male. Sappiamo invece che i demoni ci invidiano i beni celesti ed eterni, non già per riavere quello che essi hanno perduto irreparabilmente, ma perché l’indigente sollevato dalla polvere non possa accostarsi a quel posto dal quale essi, creati in stato di gloria, sono irreparabilmente caduti. Si adira e si strugge di livore la loro malvagità ostinata vedendo che la fragilità umana ottiene ciò che essi non meritarono di conservare. E se mai qualche volta cercano di infliggere a qualcuno dei danni temporali oppure godono perché questi sono stati inflitti da altri, tutta la loro astuzia mira a che il danno materiale, in colui che lo subisce o in qualsiasi altro, ridondi a danno spirituale. Invece gli uomini, tutte le volte che ci persuadono a fare — oppure quando essi stessi fanno — qualche cosa che reca danno alla nostra destra, non è questo che sembrano volere come fine principale, ma piuttosto quello di ricavare qualche vantaggio temporale oppure di allontanare qualche danno che possa sopraggiungere a qualcuno, cioè o a loro stessi o a noi o a qualsiasi altro. A meno che uno non si sia cambiato da uomo in diavolo a tal punto da desiderare che chiunque gli è divenuto nemico acerrimo venga punito con la dannazione eterna.

 

14. Perché mai noi miseri, perseguitati come siamo in tanti modi dai nemici spirituali, siamo così sonnacchiosi nella ricerca dei beni invisibili? Mi vergogno a dirlo, ma d’altra parte la violenza del dolore non mi permette di tacere. Quanti se ne trovano, fratelli, di quelli che portano l’abito religioso e che fanno professione di perfezione, ai quali sembra potersi applicare quella terribile parola del Profeta: Se mi dimentico di te, Gerusalemme, sia consegnata all’oblio anche la mia destra [39]. Infatti, dediti con ogni cura a custodire il lato sinistro, sono versatissimi, ma nella sapienza di questo mondo, alla quale dovevano avere rinunciato, quella, per giunta, che nonostante tutto è ispirata dalla carne e dal sangue, che, secondo il detto dell’Apostolo, sembrava non avessero voluto seguire. E così tu li vedi afferrare tanto avidamente i beni presenti, provare una gioia così mondana per i vantaggi passeggeri, turbarsi e scoraggiarsi così tanto per danni anche minimi nei beni terreni, difenderli con spirito così carnale, correre a destra e a sinistra con tale sfacciataggine, impigliarsi negli affari materiali con così poco spirito religioso come se queste cose fossero tutta la loro parte, tutta la loro sostanza. Sì, l’agricoltore coltiva un terreno povero con una cura particolare, ma probabilmente perché non ha altra proprietà più grande e più preziosa. Anche il mendicante si nasconde in seno un pezzo di pane, perché nelle sue borse arrugginisce soltanto questa specie di metallo. Ma tu, perché ti dedichi in tal modo a questa estrema povertà, male sperperando in essa anche la tua fatica? Tu hai un’altra proprietà che, forse, credi lontana. No, ti sbagli: nulla ci è così vicino come ciò che è dentro di noi Ma forse ti lagni che essa, anche se non è lontana, per lo meno è inutile, così da doverne ricercare un’altra in questa vita che ti soddisfi. Ti sbagli: la troverai piuttosto dentro dite; anzi non la troverai se non dentro di te. O calcoli forse che essa non abbia (più) bisogno della tua opera? Oppure che non renda abbastanza alle cure del coltivatore, o che sia riposta in luogo sicuro tanto da non avere più bisogno della vigilanza di un custode? Comunque tu la pensi, sappi che ragioni da grande stolto. Qui, infatti, assai più che in ogni altro campo, ciascuno raccoglie quello che ha seminato [41]. Ma: Chi semina scarsamente, scarsamente raccoglierà, e chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà [42], tanto che un grano ne produrrà trenta, un altro sessanta e un altro cento. Però, tu porti questo tesoro in vasi di creta, se pure lo hai ancora. Infatti temo che tu lo abbia già perduto o che ti sia stato rubato, oppure che gli estranei abbiano già divorato la tua sostanza, senza che tu te ne sia accorto, e così non possa attaccare il tuo cuore al tuo tesoro, perché non lo possiedi più. Ché se non è così, ma ciononostante sei tanto premuroso circa i beni terreni e non trascuri nemmeno le cose più piccole, ma conservi con cura perfino la tua paglia, io ti scongiuro, ricordati di custodire anche il tuo granaio. Anzi, bada di non esporre al pericolo il tuo tesoro, tu che dedichi tanta cura al tuo letamaio. Saranno in mille quelli che ti invidiano il letamaio, ma il tesoro te lo assediano in diecimila, i quali, come non sono da meno dei primi per numero, non lo sono neppure per astuzia e crudeltà. Rivolgi gli occhi della fede verso il lato destro. Forse hanno già sfondato l’entrata, forse fanno già liberamente bottino di tutto, forse già distribuiscono le spoglie. Ma tu come mai, da quel cattivo osservatore che sei, fissi lo sguardo verso il lato sinistro, se non perché ti sembra che i beni terreni ti stiano non già dal lato sinistro del corpo, bensì dalla parte sinistra del volto, per poterli contemplare continuamente, tanto che sembra che chi te li ha toccati non abbia toccato il tuo fianco, ma piuttosto la pupilla del tuo occhio?

 

15. Del resto, chiunque tu sia che trascuri il lato destro e ti prendi tanta cura del lato sinistro, fa’ in modo fin d’ora di non dover essere messo insieme con i capri alla sinistra che ti sei scelta. È una parola amara, fratelli, e non è senza motivo che vi siete spaventati. Ma non è meno necessario stare in guardia che aver paura. E poi, il mio Signore Gesù, dopo gli altri benefici della sua inestimabile bontà verso di me, ha anche accettato che, per me, gli fosse trafitto il lato destro, perché non voleva profondere i suoi benefici se non dalla sua destra e in essa solamente prepararmi un posto di rifugio. Oh! Se meritassi di essere quella colomba che abita nella fenditura della roccia, e nella fenditura del lato destro! Ma nota che egli non ha sentito affatto questa ferita. Infatti non l’ha voluta ricevere se non dopo essersi assopito nel sonno della morte, per avvertirti che, fino a tanto che vivi, devi vigilare sempre alla guardia di questo lato, e che bisogna ritenere morta quell’anima che, per una funesta insensibilità, non sembra si dia gran pensiero se viene ferita nella parte destra. Giustamente si dice che il cuore dell’uomo è situato nel lato sinistro del corpo, appunto perché le sue affezioni sono inclinate e proclivi verso la terra. Certo non lo ignorava colui che diceva gemendo pietosamente: La mia anima si è attaccata al suolo: dammi vita secondo la tua parola [43]. Ma anche colui che ci ammoniva dicendo: Con le mani innalziamo i nostri cuori a Dio [44] voleva che non rimanessimo soggetti all’inclinazione della natura umana e alla pesantezza del cuore. Evidentemente con quelle parole ci esortava a elevarci dal lato sinistro verso il lato destro. I soldati, fratelli, portano lo scudo solamente dal lato sinistro: se non vogliamo far parte del numero di coloro che combattono per questo mondo e non per Cristo, non imitiamoli. Nessuno, dice l’Apostolo, quando presta servizio militare per Dio, s‘intralcia nelle faccende della vita comune [45], cioè mette lo scudo dal lato sinistro e non dal lato destro.

 

16. Tuttavia, fratelli, se ricordate quello che abbiamo detto sopra, dobbiamo coprire ambedue i fianchi. Infatti il Profeta dice: La sua verità ti circonderà come scudo [46], e l’Apostolo: Con le armi della giustizia a destra e a sinistra [47]. Ma ascolta la Giustizia in persona; perché forse non è prescritta la medesima strategia per ambedue i lati. Infatti, per un lato ci è comandato: Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate spazio all’ira divina [48]. Invece, per l’altro lato: Non date spazio al diavolo [49] e anche: Resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi [50]. E senti ancora in che modo devi coprire ambedue i lati: Preoccupatevi di compiere il bene, dice il medesimo Apostolo, non solo davanti a Dio, ma anche davanti agli uomini [51]. Perché questa è la volontà di Dio, che, operando il bene, non soltanto lasciate struggersi d’invidia gli spiriti maligni, ma anche chiudiate la bocca all’ignoranza degli uomini stolti. Ma questa protezione ci sarà necessaria in eterno? E la schiera dei nemici ci assalirà da ambedue i lati per sempre? No, verrà il giorno in cui non solo non ci incalzeranno più, ma non potranno neppure stare più in piedi. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra [52] Perché allora la malizia umana non potrà ormai più nuocere, né avremo maggiore paura delle migliaia di diavoli di quanta ne abbiamo di altrettante schiere di vermi o di mosche. E, finalmente, non li guarderemo diversamente da come i figli di Israele, attraversato ormai il Mar Rosso, guardavano dappertutto intorno a sé i cadaveri degli Egiziani e vedevano le ruote dei loro carri andare in fondo al mare. Così anche noi, ma con molta più gioia e sicurezza, canteremo inni al Signore perché si è maestosamente glorificato precipitando assieme nell’ abisso cavallo e cavaliere. Amen.

 

NOTE

[1] Sal 23,10.

[2] Inno di AMBROGIO, Splendor Paternae gloriae, vv. 10-11, cantato quasi quotidianamente alle lodi nei primi tempi di Citeaux.

[3] Sal 83,12.

[4] Sal 90,5.

[5] Gv 14,30.

[6] SULP. SEVERO, Ep. 3, 16.

[7] Siamo in Quaresima, e il pensiero di Bernardo va istintivamente all’ingresso di Gesù in Gerusalemme; cfr. In ramis palm. 2,6.

[8] SaI 48,13.

[9] Sal 72,23.

[10] Si tratta di una lettera spuria, composta nel secolo IV (cfr. PG 5, 881-887). È indirizzata a una «fidelissimae dignae Deo Christiferae filiae Mariae», di Cassobola.

[11] Sal 90,11-12.

[12] Sal 90, 5-6.

[13] I “salici” e i “fiumi di Babilonia” simboleggiano gli uomini mondani, tutti presi dalle sollecitudini e dai piaceri terreni.

[14] Sal 54,7.

[15] Sal 90,1.

[16] Allusione al mutamento prodotto dalla morte.

[17] Rm 8,29.

[18] Rm 8, 30. Nel progetto salvifico di Dio, la vita monastica è come un ponte tra le due sponde dell’eterna elezione gratuita, in corde Dei, e della gloria futura. Nel monastero si attualizzano la “vocatio” e la “iustificatio” di Rm 8,29. Si tratta di un cammino sicuro per chiunque è chiamato a percorrerlo: cfr. In ded. Eccl. 5. Vedi anche P. DELFGAAUW, La nature et les degrés de l’amour selon S. Bernard, in AA.VV., Saint Bernard théologien, 148. 234-252.

[19] Mt 3,2.

[20] Mt 11,12.

[21] Sal 111,10.

[22] Sulla corporeità degli spiriti maligni, cfr. E. BOISSARD, La doctrine, 119. Vedi anche De div. 28, 6.

[23] Sal 90,7.

[24] Per un lettore che ha familiarità con i racconti sui Padri del deserto, gli “Etiopi” di cui parla il Salmo evocano immediatamente una delle forme in cui i demoni erano soliti apparire ai monaci: cfr. G.M. COLOMBAS, Il Monachesimo delle origini, 11, Milano 1990, 238.

[25] Sal 71,9.

[26] Ct 6,9.

[27] Con questa affermazione categorica Bernardo dichiara la sua fedeltà al metodo esegetico dei Padri della Chiesa: cfr. H. DE LUBAC, Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, Roma 1962, 1063; cfr. anche E. FRANCESCHINI, S. Bernardo nel suo secolo, in AA.VV., S. Bernardo. Pubblicazione commemorativa nell’VIII centenario della sua morte, Milano 1954, 14-29.

[28] Ab 1,16.

[29] Gb 40,18.

[30] Sui tre ordini di uomini che compongono il corpo della Chiesa, cfr. Y. CONGAR, L’ecclésiologie de S. Bernard, in AA.VV., Saint Bernard théologien, 136-190.

[31] 1Sam 18,7; 21,11. Cfr. In ramis palm. 2. 2. I mille rappresentano coloro che soffrono sotto il peso delle avversità, i diecimila quanti fanno i baldanzosi godendo dei piaceri mondani: questi ultimi sono destinati in più gran numero alla perdizione.

[32] Bernardo elogia i suoi monaci, solleciti e capaci di distinguere e valutare i beni spirituali (la destra) e quelli terreni (la sinistra).

[33] Cfr. Pr 3,16.

[34] Pr 4,23.

[35] Sap 4,15.

[36] Sal 15,8.

[37] Gb 2, 6.

[38] Orazione “Super populum” assegnata al venerdì dopo le Ceneri nel Sacramentarjo Gregoriano di Papa Adriano (37, 4: cfr. H. LIETZMANN, Das Sacramentarium Gregorianum nach dem Aachener Urexemplar, Münster in West. 1921, 27). Cfr. anche QH 13,5.

[39] Sal 136,5.

[40] I beni spirituali, posseduti nell’intimo dell’anima, sono un’anticipazione terrena dei beni eterni. Il loro valore giustifica la piena accoglienza delle austerità della vita cistercense.

[41] Gal 6,8.

[42] 2Cor 9, 6.

[43] Sal 118,25.

[44] Lam 3,41.

[45]2Tm 2,4.

[46] Sal 90,5.

[47] 2Cor 6,7.

[48] Rm 12,19.

[49] Ef 4,27.

[50] Gc 4,7.

[51] Rm 12,17.

[52] Sal 90,7.

 

 


 

 

 

SERMONE OTTAVO

«Tu osserverai con i tuoi occhi e vedrai il castigo degli empi»

(Sal 90, 8)

 

1. Se potessi parlarvi più spesso, o carissimi, sarei senz’altro più breve nei miei discorsi e credo che qualche volta l’abbiate avvertito anche voi. Del resto, per il fatto che tante volte, costretto dalle preoccupazioni della giornata, ho dovuto con grandissima pena astenermi dal consolarvi e dall’esortarvi con la mia parola, penso che nessuno di voi debba meravigliarsi se, per voler ricuperare il tempo perduto, il discorso diventa tanto più lungo quanto è più raro.

Questo valga come breve introduzione per scusarmi con voi del discorso di ieri e di quello di oggi: di quello di ieri per la sua lunghezza e di questo di oggi per la sua brevità. Temo, infatti, che ad alcuni sia piaciuta poco la lunghezza di quello di ieri e che poco piacerà la brevità di quello di oggi e che li preferiscano ambedue uguali piuttosto che uno lungo e l’altro breve.

Dice, dunque, il Salmista: La sua verità ti circonderà come scudo: non temerai i terrori della notte, né la freccia che vola di giorno, quanto si aggira nelle tenebre e l’assalto del demonio del mezzogiorno. Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra: ma a te non si avvicinerà [l].

Nei sermoni precedenti, commentando questo testo, vi ho detto quello che la Verità si è compiaciuta di farmi conoscere, come, cioè, Dio protegge l’anima fedele in vita dalle tentazioni, e in morte dalle difficoltà. Lo stesso Profeta, affermando più brevemente l’una e l’altra cosa, dice in un altro Salmo: Per te sarò liberato dalla tentazione e con il mio Dio scavalcherò le mura [2] cioè, sotto la sua guida, essa non incontra inciampo mentre cammina quaggiù, né ostacolo quando esce dalla vita. Così, per una parte, è indicato come l’anima viene spesso strappata dalla tentazione e, per un’altra parte, come ormai essa arriva a godere di una liberazione piena e sicura. In questo terzo passo, poi, che qui aggiunge: Tu guarderai con i tuoi occhi, mi sembra che sia contenuta la promessa di una felicità immensa. Mille, dice egli, cadranno al tuo fianco e diecimila alla tua destra, ma a te non si avvicinerà. E tu guarderai con i tuoi occhi. Così, Signore, così avvenga, te ne prego: cadano essi ma non io, si spaventino essi ma non io, siano confusi essi ma non io.

 

2. Qui, in poche parole e con molta chiarezza, mi viene affermata l’immortalità dell’anima e insieme garantita la fede nella risurrezione dei corpi. Poiché, mentre essi cadono, io sopravviverò per vedere, e non verranno meno neppure questi occhi con i quali vedrò la loro punizione finale. Infatti non dice semplicemente «vedrai con gli occhi», ma con i tuoi occhi osserverai, cioè con quegli stessi occhi che ora si consumano per la stanchezza e vengono meno mentre speri nel tuo Dio. Davvero, fratelli, gli occhi si consumano finché speriamo. Infatti, quello che già si vede come lo si spera? Ciò che si spera, se visto, non è più speranza [3], dice l’Apostolo. Tu, dunque, osserverai con quegli occhi stessi che ora non osi neppure alzare verso il cielo, proprio con quelli dai quali tante volte, quaggiù, colano le lacrime e che sono consumati da una continua compunzione. Non pensare che te ne vengano dati dei nuovi, saranno i tuoi che ti verranno rinnovati. Ma perché parlare dell’occhio, il quale, benché sia una piccolissima parte del corpo, nondimeno è parte principalissima e la più eccellente, quando nel nostro cuore sta riposta la beata speranza che, secondo la promessa della Verità, neppure un capello del capo perirà?

 

3. Ma forse ci è promessa proprio la vista degli occhi perché durante questa vita la visione dei beni celesti è stata il nostro desiderio più vivo. Sono certo, dice il Salmista, di contemplare i beni del Signore nella terra dei viventi [4]. Infatti, bramando di camminare nella visione piuttosto che nella fede, l’anima desidera che gli occhi. nobilissime finestre del suo corpo. si aprano alla contemplazione della verità. Difatti la fede dipende dall’ascolto [5] e non dalla visione. Inoltre essa è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono [6]. Per questo, sia nella fede che nella speranza, l’occhio è impotente e giova solamente l’udito. Il Signore mi ha aperto l’orecchio [7], dice il Profeta. Ma verrà un tempo quando egli aprirà anche l’occhio. Verrà il momento nel quale non si dirà più: Ascolta, figlia, e porgi l’orecchio [8], ma piuttosto: «Alza i tuoi occhi e contempla». Che cosa? Oh! La gioia e l’esultanza di cui il tuo Dio ti fa tesoro. Cioè non soltanto quello che ora puoi udire e credere pur senza vederlo, ma anche quello che, come non lo ha visto l’occhio, così non lo ha neppure potuto sentire l’orecchio, né è entrato in cuore d’uomo, cioè quello che Dio ha preparato a coloro che lo amano. Infatti, l’occhio, per la virtù della risurrezione, potrà afferrare tutte quelle cose che adesso non riescono a percepire né l’udito, né l’intelligenza. Io penso che sia a motivo di questa ardentissima brama di vedere quello che sente e che crede, che un altro notissimo araldo della risurrezione futura ha fatto menzione degli occhi: Di nuovo, egli dice, sarò circondato dalla mia pelle e nella mia carne vedrò Dio mio salvatore, che io, proprio io, vedrò, e non altri, e lo vedranno i miei occhi. E ha aggiunto: Questa è la speranza che ho riposto nel mio seno [9]. Ma forse dobbiamo considerare più attentamente le parole:

I miei occhi, e anche quelle del Salmo dove dice: Osserverai con i tuoi occhi. Forse che adesso gli occhi possono sembrare miei? Oh no! Certamente qualche volta hanno potuto sembrare miei perché anch’essi risultano parte di quella porzione di sostanza paterna che ho ricevuto per mal custodirla [10]. Infatti è andata presto in rovina, l’ho dissipata molto in fretta tutta quanta. La legge del peccato ha preso possesso di tutte le mie membra; la morte, della quale sono diventato schiavo anch’io, è entrata liberamente attraverso le mie finestre: schiavo miserabile davvero e al servizio non di un uomo ma di un animale sozzo e immondo. Infatti, servivo non da mercenario, ma proprio da schiavo. A meno che non si creda che riceva uno stipendio colui al quale è negato anche il cibo e un cibo più nocivo della fame stessa. Bramoso infatti di saziarmi delle carrube che si danno ai porci, nessuno me ne dava, tanto da essere costretto a vivere per i porci, ma senza poter condividere il loro pasto. E allora, era mio l’occhio quando faceva preda della mia anima? Ridotto a questo estremo, finalmente sono stato costretto a rimettere nelle mani del mio padrone i beni che mi aveva dato affinché egli stesso se li affrancasse dalla tirannide del nemico, perché io da solo non potevo farlo in nessun modo.

 

5. Considerate molto attentamente, carissimi, e fate attenzione alla grande potenza con la quale siete stati liberati dal giogo intollerabile del Faraone, affinché le vostre membra non siano più strumenti di ingiustizia al peccato ed esso non regni più nei vostri corpi mortali. Questa non è opera vostra, fratelli, è la destra del Signore che ha fatto meraviglie sono cose che può fare solamente colui che può tutto. Non vogliate dire: È la nostra mano che è potente 12 ma, con una confessione altrettanto utile quanto sincera, dichiarate che tutto questo è stato fatto dal Signore. E poi, ognuno si convinca che deve stare attentissimo a non pretendere durante la vita, quando i giorni sono ancora cattivi e l’uomo malsicuro in tutti i luoghi, di voler riprendere dalla mano di un tutore così buono e così provvido questo suo possesso per usarlo con libertà pericolosa e dannosa. Se il Padre è geloso, lo è per tuo bene. Non è per invidia, ma per provvidenza che egli dispone che tutta la tua sostanza continui a restare sua, affinché tu non la perda. Quando poi sarai arrivato a quella grande e santa città entro i cui confini egli ha stabilito la pace e dove non si teme più nessun assalto nemico, allora non solamente ti restituirà a te, ma per di più ti darà anche se stesso. Ma per ora metti un freno ai tuoi desideri, e non appropriarti con nessun gesto temerario le membra che sono consacrate a Dio, pensando che le cose destinate a usi santi non possono più essere messe a servizio della vanità, della curiosità, del piacere, o di qualsiasi altra opera mondana, senza grave sacrilegio. O non sapete, dice l’Apostolo, che i vostri corpi sono tempio dello Spirito Santo che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? [13]. E anche: Il corpo non è per l’impudicizia [14]. Ma per chi allora? Forse per te? Sì, esso sia pure in tuo potere, purché tu riesca a sottrarlo all’impeto dell’impudicizia, oppure, dopo che ne è stato strappato, tu possa almeno domano con le tue forze. Ma se per caso non ci riuscissi, anzi proprio perché non ci riesci, appartenga il corpo non all’impudicizia, ma al Signore e serva alla santità affinché non gli accada di servire di nuovo alla corruzione peggio di prima.

Parlo con esempi umani, dice l’Apostolo, a causa della debolezza della vostra carne. Come avete messo le vostre membra a servizio dell’impurità e dell’iniquità a prò dell’iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia, per la vostra santificazione [15]. Questo, com’egli ha detto, a causa della debolezza della carne. Ma, quando quello che sarà stato seminato nella debolezza risorgerà pieno di forza, non vi sarà più nessuna necessità di servire. Quando la sicurezza sarà piena di libertà e la libertà piena di sicurezza, come non restituirà Dio il corpo a se stesso ancora più pienamente? Quel gran Padre di famiglia come non farà dono della libertà perfetta al suo servo fedele quando lo costituirà sopra tutti i suoi beni?

 

6. Allora, finalmente, tu contemplerai con i tuoi occhi, purché tu abbia riconosciuto davvero, mentre vivevi, che essi erano suoi e non tuoi. Infatti, anche prescindendo dal motivo del voto tanto necessario, a cui ho accennato e con il quale, rinunciando alle tue voglie, hai consacrato al culto divino quelle membra che con le tue forze non riusciresti affatto ad affrancarti dalla tirannia del peccato, ti sembra che anche così siano tue quelle membra nelle quali, anche se non regna, tuttavia dimora una legge contraria a quella di Dio e nelle quali la pena del peccato, tuo secondo nemico, non solamente rimane, ma ha anche il sopravvento e comanda liberamente? Dirai tu che è tuo quel corpo che è morto a causa del peccato, ovvero che appartiene alla tua anima quello che non cessa di aggravarla? Certo, se uno vorrà dirlo suo, non farà altro che definirlo esattamente suo fardello e sua prigione. Parimenti, come potrai chiamare tuoi gli occhi che ora, vuoi o non vuoi, tante volte sono còlti dal sonno, molestati dal fumo, lacerati da un pulviscolo, obnubilati da un umore nocivo, tormentati da un dolore acuto, finalmente accecati dalla morte ultima a venire? Essi saranno veramente tuoi quando tutti questi intralci non ci saranno più, di modo che potrai contemplare con occhi veramente tuoi e dei quali, da allora in avanti, potrai servirti a piacere per guardare tutto con libertà e sicurezza. Allora infatti godendo della visione della verità purissima non avranno più bisogno di essere distolti dallo sguardo delle cose vane. E, ancor meno, entrerà la morte per le finestre, perché anch’essa, ultimo nemico, sarà annientata. Oppure temi che per una così grande pienezza di luce, dove ognuno dei giusti rifulge come un sole, essi abbiano da offuscarsi? Lo si dovrebbe temere certamente, se la risurrezione non glorificasse anche gli occhi come le altre membra del corpo umano.

 

7. E vedrai il castigo degli empi. Essere esposti alla vista dei giusti sarà per gli empi un grave tormento e un gran cumulo di mali. Nei loro tormenti potrebbe forse sembrare un sollievo l’essere dimenticati, o almeno sfuggire allo sguardo di coloro che essi hanno perseguitato con tanta cattiveria. Ma, anche se questo nostro sguardo aggiunge ad essi un carico immenso di pena, che necessità di guardarmi ci sarà per noi? Quale utilità, quale piacere? Infatti, che cosa può sembrare così empia, così inumana, così esecrabile come voler pascere i propri occhi con il sangue dei nemici e dei malvagi, per quanto crudeli essi siano stati, e godere alla vista dei tormenti degli infelici? Tuttavia, come il peccatore vedrà e si adirerà, digrignerà i denti e si struggerà — infatti i benedetti saranno chiamati al regno prima che i maledetti siano gettati nella fornace del fuoco eterno, affinché questi al vedere quello che hanno perduto soffrano più atrocemente —, così anche i giusti vedranno e gioiranno, constatando a quali mali sono sfuggiti. E come, in quella così grande separazione, la visione degli angeli sarà, per i capri, causa di estremo livore, ugualmente per gli eletti la considerazione dei reprobi sarà motivo immenso di riconoscenza e di lode. Poiché, come potrebbero i giusti esprimere più splendidamente la loro riconoscenza se, insieme alla incomprensibile felicità di cui godono, non vedessero anche il castigo dei peccatori dal quale ricordano fedelissimamente e devotissimamente di essere stati preservati per la sola misericordia del Redentore? E, d’altra parte, dove troverebbero gli empi di che struggersi per sì gran furore se non vedendo sotto i propri occhi gli altri venire introdotti nel regno della perfetta beatitudine, ed essi alla loro volta, dopo tale spettacolo, gemendo essere condannati a quei fetori, a quegli orrori, a quei tormenti del fuoco eterno, e alla miseria di una morte immortale? , dice il Signore, sarà pianto e stridore di denti [16]: pianto per il fuoco che non si spegne, stridore per il verme che non muore. Sì, pianto per il dolore, stridore di denti per il furore. Il pianto lo strapperà l’enormità dei tormenti, lo stridore dei denti la veemenza dell’invidia che li consuma e la loro cattiveria ostinata. Per questo, dunque, vedrai il castigo dei peccatori, perc1é, ignorando un pericolo così grande dal quale sei stato preservato, tu non abbia da divenire ingrato al tuo liberatore.

 

8. Ma non basta. La visione del castigo dei peccatori sarà anche motivo di sicurezza perfetta per i giusti. Perché coloro al fianco dei quali ne cadono mille e diecimila alla loro destra, vedendoli non solamente cadere, ma cadere nell’ inferno, non avranno ormai più da temere né la cattiveria degli uomini, né quella dei demoni. Credi tu che essi potrebbero sentirsi liberi da ogni timore e da ogni sospetto da parte del serpente che è il più astuto di tutti gli animali, specialmente al ricordo della prima donna che egli ha sedotto, nel paradiso terrestre, prima che sia consegnato con tutti i suoi membri alle fiamme vendicatrici e prima che i giusti vedano come fra lui e loro è stato stabilito un grande abisso?

 

9. La considerazione del castigo dei peccatori ti recherà anche un terzo vantaggio. Nel confronto con la loro bruttura, tu brillerai più splendido e più glorioso. Infatti, quando due oggetti opposti sono messi uno di fronte all’altro, le caratteristiche dei singoli risaltano di più. Così, confrontando il bianco con il nero, il bianco sembra ancora più bianco e il nero ancora più nero. Ma, a questo riguardo, ascolta la testimonianza più sicura dataci dalla parola profetica: Il giusto godrà nel vedere la vendetta. E perché questo? Laverà le sue mani nel sangue dei peccatori [17]. Non le sporcherà, ma le laverà nel sangue, affinché il giusto appaia più bianco quanto più è macchiato di sangue il peccatore, e quanto più l’empio si insozza, il giusto diventi più splendido e più bello.

 

10. Il sentimento umano non sarà costretto a resistere minimamente a nessuno di questi tre motivi di piacere alla vista del castigo dei cattivi. Ma non è per nessuno di essi che la Sapienza riderà della rovina degli empi, giacché essa riderà certamente. Lo preannuncia lei stessa, quella che non può mentire, dicendo: Vi ho chiamati e avete rifiutato; ho steso la mia mano e nessuno ci ha fatto attenzione [18], e un poco più avanti continua: Anch‘io riderò della vostra rovina, mi farò beffe quando su di voi verrà la paura, quando vi piomberà addosso la sventura, quando, come turbine, vi sorprenderà la morte [l9]. Che cosa crediamo, dunque, che piacerà alla Sapienza nella rovina degli stolti, se non la sua giustissima disposizione e il suo ordine irreprensibile nel governo delle cose? Per certo, quello che allora piacerà alla Sapienza, dovrà piacere anche a tutti i sapienti. Allora non ti sembri duro quello che è detto: Contemplerai con i tuoi occhi, quando perfino riderai della loro rovina. Non già che tu lo faccia per compiacerti del loro castigo con un sentimento di crudeltà atroce, ma perché la maniera stupenda dell’ordine divino desta un piacere immenso a tutti quelli che hanno lo zelo della giustizia e l’amore dell’equità. Come sarà possibile non godere nell’ammirare tutto e nel glorificare in tutte le cose l’ordinatore dell’universo, quando, nella pienezza della luce della verità, tu conoscerai perfettamente e profondamente che tutto è stato stabilito a perfezione, che a ciascuno è toccato il posto che gli conviene, che anzi ognuno è andato da sé al proprio posto? Giustamente l’Apostolo Pietro ha detto che il figlio della perdizione è andato al posto che si è scelto. Essendo compagno delle potenze dell’aria, è nell’aria che si è squarciato, perché, traditore 1cl vero Dio e del vero uomo venuto dal cielo a operare la salvezza mezzo alla terra, il cielo non volle accoglierlo, né la terra sostenerlo.

 

11. Osserverai, dunque, con i tuoi occhi, e vedrai il castigo degli empi. In primo luogo per conoscere il castigo dal quale sei sfuggito, poi per prendere atto della sicurezza perfetta che hai conseguito, in terzo luogo per fare il confronto fra la tua felicità e la loro miseria e finalmente per il tuo amore ardente verso la giustizia di Dio. Allora non ci sarà più tempo per la misericordia, ma soltanto per il giudizio e, dove non c’è da sperare nessuna correzione, non si può neppure sperare che vi sarà per gli empi nessuna compassione. Scomparirà dalla debolezza della natura umana quel sentimento di simpatia del quale ora sa fare uso la carità per salvare raccogliendo, per così dire, nell’interno larghissimo di una rete distesa pesci buoni e cattivi; cioè sentimenti di gioia e sentimenti di tristezza. Ma questo accade soltanto nel mare di questa vita. Arrivato alla spiaggia, il pescatore sceglierà solamente i pesci buoni, cioè i sentimenti di gioia. E allora godrà con quelli che godono senza potere più piangere con quelli che piangono. Altrimenti, come potrà essere giudicato da noi il mondo se non avremo dimenticato questa tenera compassione e se non saremo stati introdotti nella cella ove è conservato il vino inebriante del Signore, conforme al detto del Salmista: Entrerò nelle potenze del Signore; Signore, ricorderò soltanto la tua giustizia [20]? Effettivamente, neppure adesso ci è permesso di trattare il povero con parzialità, oppure di avere, nel giudizio, pietà verso di lui, ma, anche con dispiacere, bisogna contenere questo sentimento di pietà e pronunciare una sentenza giusta. Quanto più dovrà realizzarsi il detto del Salmo: I loro giudici sono stati assorbiti e uniti alla pietra [21], là dove non ci sarà più nessun contrasto di sentimenti e nessun senso di dolore o di tristezza verso gli empi, essendo i giusti presi dal sentimento della giustizia per imitare la solidità della Pietra alla quale sono uniti? [22] Uniti alla Pietra, dice il Salmista, per seguire la quale, e solamente essa, hanno abbandonato tutto il resto. Infatti, è proprio quello che la stessa Pietra rispose a Pietro quando le domandava quale ricompensa avrebbero ricevuto un giorno: Quando il Figlio dell’uomo sarà venuto sul trono della sua gloria, siederete anche voi su dodici troni e giudicherete le dodici tribù di Israele [23]. E anche il Profeta, preannunciando questo, dice: Il Signore verrà al giudizio con gli anziani del suo popolo [24] Credi tu che allora si potrà trovare qualcosa di arrendevole nei giudici uniti alla Pietra? Chi si unisce a Dio, dice l’Apostolo, forma con lui un solo spirito [25] e chi si unisce alla Pietra non farà con essa che un unico blocco. È a questa unione che il Profeta sospirava giustamente dicendo: Il mio bene è stare unito a Dio [26]. Così dunque sono uniti i loro giudici alla Pietra [27]. Oh! Quale familiarità! Che altissimo onore! Che fiducia privilegiata! Che prerogativa di sicurezza perfetta!

 

12. Che cosa si può pensare che ispiri tanta paura, tanta inquietudine e un’apprensione così tremenda come il trovarsi davanti a quel terribile tribunale, per essere giudicati e per attendere da un giudice così severo una sentenza ancora incerta? È terribile, dice l’Apostolo, cadere nelle mani del Dio i28 Giudichiamoci noi stessi adesso, fratelli, e cerchiamo di fuggire quell’attesa spaventosa pronunciando su di noi il giudizio fino da questa vita: Dio non ripeterà il giudizio sulla stessa cosa29 Certamente, come di alcuni sono manifesti i peccati, così di altri sono manifeste le opere buone ancora prima del giudizio, affinché quelli siano lanciati nell’inferno sull’istante, dal peso stesso dei loro delitti, senza attendere la sentenza, e questi, invece, salgano senza alcun ritardo con tutta la libertà dello spirito ai troni preparati per loro30. Beata la povertà volontaria di coloro che hanno lasciato tutto e hanno seguito te, Signore Gesù! Beata davvero se essa, in quel fragore degli elementi, in quel tremendo esame dei meriti, in quella così grande diversità di sentenze, può dare tanta sicurezza e rendere tanto gloriosi coloro che l’hanno praticata! Ma ascoltiamo quello che l’anima devota e fedele, o per non sembrare diffidente, o per non essere presuntuosa, risponde a così grandi promesse. Poiché,  il Salmista continua, tu, o Signore, sei la mia speranza [31]. Come poteva parlare più umilmente e con tanta pietà? Ma sembra che a quelle parole non si possa far eco meglio che con quello che segue: Hai posto in luogo altissimo il tuo rifugio [32]. E ora, perdonatemi, fratelli. Anche oggi mi sembra di avere un po’ superato i limiti della brevità che vi avevo promesso.

 

NOTE

[1] Sal 90,5-7.

[2] Sal 17,30.

[3] Rm 8,24.

[4] Sal 26,13.

[5] Rm 10,17.

[6] Eb 11,1.

[7] Is 50,5.

[8] Sal 44,11.

[9] Gb 19,26-27.

[10] Allusione alla parabola del figliol prodigo.

[11] Sal 117,16.

[12] Dt 32,27.

[13] 1Cor 6,19.

[14] 1Cor 6,13.

[15] Rm 6,19.

[16] Mt 13, 42.50.

[17] Sal 57, 11.

[18] Pr 1,24.

[19] Pr 1,26-27.

[20] Sal 70,16.

[21] Sal 140,6.

[22] Cfr. De dil. Deo XV, 40; De div. 65,3.

[23] Mt 19,28.

[24] Is 3,14.

[25]1Cor 6,17.

[26] Sal 72,28.

[27] Sal 140,6.

[28] Eb 10,31.

[29] Na 1,9.

  

 


 

 

 

 SERMONE NONO

«Sì, tu, Signore, sei la mia speranza, hai posto in luogo altissimo il tuo rifugio»

(Sal 90, 9)

 

1. Ascoltiamo qualche cosa anche oggi, fratelli, sulla promessa del Padre, sulla speranza dei figli, sulla mèta di questo nostro pellegrinaggio, sulla ricompensa della nostra fatica e sul frutto della nostra servitù. Una servitù veramente dura. E non solo quella che tolleriamo per la condizione stessa della natura umana, ma anche quella della nostra vita monastica, con la quale, per mortificare al più presto la nostra volontà e per affrettarci a perdere le nostre vite in questo mondo, ci siamo messi nei ceppi di una disciplina così stretta e nel carcere di una penitenza tanto austera. Sarebbe proprio una servitù miserabile, ma solamente se fosse forzata e non spontanea. Ma poiché voi offrite a Dio il vostro sacrificio spontaneamente e la vostra volontà non subisce nessuna violenza se non dalla stessa vostra volontà, deve esserci qualche motivo speciale che vi sostiene; e io penso che esso sia proprio quella tale cosa, della quale non può esservene un’altra più grande. Si deve forse piangere quello che si fa per lui, per grave e penoso che sia? Anche se la veemenza della fatica strappa talvolta, a chi ci osserva, sentimenti di compassione, la considerazione del motivo che ce la fa sostenere dovrebbe piuttosto destare compiacimento. E se poi si pensa che tutto ciò che si fa di bene non solo lo si fa per lui, ma anche per mezzo di lui? È Dio infatti che suscita in voi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni [1]. È lui, dunque, l’autore e, insieme, il rimuneratore dell’opera, è lui tutta la nostra ricompensa, affinché quel sommo bene il quale in se stesso è semplicissimo agisca in noi come doppia causa del bene che facciamo, cioè come causa efficiente e come causa finale. Beati voi, dilettissimi, perché, in tutte queste vostre prove così numerose, non soltanto resistete, ma ne uscite anche vincitori, con la forza di colui che vi ha amati. E questo non avviene forse col suo aiuto? Ma è chiaro! Infatti, dice l’Apostolo, come abbondano in noi le sofferenze per Cristo, così per mezzo di Cristo abbondano anche le nostre consolazioni [2].

 

2. Parola corrente, parola comune Per amore di Dio, ma, se non la si dice tanto per dire, parola profondissima! Essa suona spesso sulla bocca degli uomini, anche di quelli che si sa che non l’hanno affatto nel cuore. Tutti domandano che si dia loro qualche cosa per amore di Dio e per amore di Dio supplicano con insistenza di essere aiutati. Si chiede facilmente per amore di Dio anche quello che non è secondo Dio, e vi è perfino chi domanda che gli si faccia per amore di Dio ciò che egli desidera non già per amore di Dio, ma piuttosto contro Dio. Eppure, quando la si dice non alla leggera, non abusivamente, non per moda, oppure come semplice artificio letterario per convincere, ma, invece, come del resto si dovrebbe fare, per abbondanza di devozione e con purezza di intenzione, essa è parola viva ed efficace. Infatti, il mondo passa con la sua concupiscenza, e, andando in rovina anch’esso, si vedrà come tutto quello che si è fatto per lui è stato fatto inutilmente e senza stabilità duratura. Poiché, venendo meno il fondamento, come non verranno meno insieme con esso tutte le cose che sembravano appoggiarsi sopra? Perciò anche quelli che seminano nella carne dovranno raccogliere dalla carne solamente corruzione. Infatti ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria è come un fiore d’erba, e appena l’erba si sarà seccata dovrà cadere insieme anche il fiore. Solamente colui che è, è una causa che non viene mai meno, e non è il fiore d’erba, ma la parola del Signore che rimane in eterno. Il cielo e la terra passeranno, dice il Signore, ma le mie parole non passeranno [3].

 

3. Allora, o carissimi, è per prudenza e per vostro vantaggio che, seguendo le parole delle sue labbra, avete scelto di camminare su vie scabrose spargendo la vostra semente là dove neppure un chicco può andare perduto. Certo, chi semina scarsamente, non è che non raccolga niente, ma raccoglierà scarsamente [4], perché chi miete riceve la sua mercede, e noi sappiamo bene chi è che ha promesso che neppure colui che per amor suo avrà dato un bicchiere d’acqua fresca a uno che ha sete resterà privo della sua ricompensa. Ma uno non sarà forse misurato con la misura con la quale avrà misurato lui stesso? E, all’atto della retribuzione, non avrà forse una ricompensa sproporzionata colui che non si è limitato a dare dell’acqua, ma, versando il proprio sangue, avrà bevuto il calice del Salvatore che gli è stato offerto? Questo non è un calice di acqua fresca, ma un calice inebriante e squisito, un calice ricolmo di vino puro, ma anche ben drogato [5].

Infatti, solamente il mio Signore Gesù ha avuto il vino puro, lui che solo è perfettamente puro e che può anche rendere sempre puro chi è stato concepito nell’impurità. In verità, ha avuto il vino puro solamente colui che secondo la divinità è Sapienza la quale, per la sua purezza, arriva in ogni luogo senza che in essa si infiltri nulla di contaminato e, secondo l’umanità, non commise peccato e non si trovò inganno nella sua bocca [6]. Lui soltanto ha subito la morte non per necessità della condizione umana, ma per libera scelta della sua volontà, non per proprio interesse — perché egli non ha bisogno dei nostri beni — e neppure per rendere dono per dono, essendo morto non per degli amici che già aveva, ma per procurarseli, cioè per trasformare i nemici in amici. Infatti, è quando eravamo nemici che siamo stati riconciliati con Dio per mezzo del sangue del Figlio suo. O meglio, egli è morto per degli amici perché erano già amati da lui anche se essi ancora non lo amavano. Perché è in questo che consiste la grazia, che non siamo stati noi ad amare Dio, ma è stato lui ad amarci per primo. Vuoi sapere quanto tempo prima che lo amassimo noi? Benedetto sia Dio Padre del Signore nostro Gesù Cristo, dice l’Apostolo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo [7]. E dopo soggiunge: Ci ha colmati di benefici nel suo Figlio diletto [8]. Come dunque non siamo stati amati in lui già nel momento nel quale in lui siamo stati scelti? E come potevamo non essergli cari trovandoci in colui che ci ha ricolmati di beni? Così, dunque, se consideriamo il tempo, Cristo è morto per degli empi, ma se consideriamo la nostra predestinazione, non per degli empi, ma per dei fratelli e degli amici.

 

4. Sotto tutti questi aspetti, dunque, il suo vino, e solamente il suo, è puro, così che nessuno degli altri può pretendere che non valga a proprio riguardo il detto profetico: Il tuo vino è diluito con acqua [9]. Lo è, in primo luogo, perché nessuno in questa vita è puro da macchia [10], né possa gloriarsi di avere un cuore illibato. Poi, perché, o prima o dopo, tutti sono obbligati a pagare il debito della morte. In terzo luogo, perché quelli che sacrificano le loro vite per Cristo si guadagnano la vita eterna a questo prezzo; e guai a loro se si vergognassero di rendergli testimonianza! In quarto luogo, perché non possono corrispondere al tanto grande amore che è stato loro offerto e dispensato gratuitamente in anticipo se non con un amore troppo sproporzionato e troppo povero. E nondimeno colui nel quale non vi è nessuna mescolanza di imperfetto con il perfetto non disdegna queste nostre insufficienze, tanto che l’Apostolo dice con fiducia che egli completa nella sua carne quello che manca ai patimenti di Cristo. Benché, dunque, debba essere dato da lui a tutti gli eletti ugualmente Io stesso identico denaro della vita eterna, come una stella differisce da un’altra nello splendore e altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro quello delle stelle, così sarà nella vita eterna quanto alla risurrezione dei morti. E anche se la casa è unica, nondimeno in essa vi sono molti posti, di modo che, per quanto riguarda l’eternità e la sufficienza della ricompensa, chi ha poco non soffrirà diminuzione e chi ha molto non sovrabbonderà, e, per quanto poi riguarda la grandezza e la diversità dei meriti, ognuno riceverà in proporzione alla sua fatica, affinché nulla vada perduto di quello che è stato seminato in Cristo.

 

5. Ma tutto questo, fratelli, è stato detto per rilevare il grande pregio spirituale delle parole che oggi ci siamo proposti di commentare [11]: Sì, tu, Signore, sei la mia speranza [12]. In tutto quello che devo fare, in tutto quello che devo evitare, in tutto quello che devo sopportare, in tutto quello che devo desiderare sei tu, Signore, la mia speranza. È questa l’unica causa che mi fa tenere in conto le promesse che mi hai fatto, questa tutta la ragione della mia attesa. Che altri metta pure avanti i suoi meriti, si vanti pure di sopportare il peso del giorno e il caldo, di digiunare due volte la settimana e, finalmente, di non essere come gli altri uomini. Per me il mio bene è stare unito a Dio, porre nel Signore Dio la mia speranza [13]. Sperino pure gli altri chi in una cosa e chi in un’altra, questi nella scienza delle lettere, quegli nella sapienza del mondo, quest’altro metta pure la sua fiducia in qualsiasi altra vanità. Io, per amor tuo, ho considerato tutte le altre cose come perdita e le ritengo come spazzatura perché tu, Signore, sei la mia speranza. Speri chi vuole nell’incertezza delle ricchezze: io perfino le cose necessarie al vitto non le spero se non da te, confidando in quella tua parola per la quale ho rigettato tutto: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte le cose vi saranno date in aggiunta [14]. Poiché a te si abbandona il misero, dell’orfano tu sarai il soccorso [15]. Se mi sono promessi dei premi, sarà per mezzo tuo che io spererò di poterli ottenere. Se contro di me si scatenano battaglie, se il mondo infuria, se il maligno freme, se la carne ha desideri contrari allo spirito, io spererò in te.

 

6. Avere questi sentimenti, fratelli, è vivere di fede, e nessuno può dire dal fondo del cuore tu, o Signore, sei la mia speranza all’infuori di colui che, per un’intima convinzione proveniente dallo Spirito, seguendo l’esortazione del Profeta, getta sul Signore il proprio affanno [16], sapendo che è da lui che deve ricevere sostegno secondo quello che dice anche l’Apostolo Pietro: Gettando in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi [17]. E se abbiamo nel cuore tali sentimenti, perché indugiamo ad abbandonare completamente delle speranze misere, vane, inutili, e seduttrici, per attaccarci con tutto l’ardore dello spirito, con tutta la devozione dell’anima a quest’unica speranza così solida, così perfetta, così beata? Se per il Signore vi è alcunché di impossibile, se alcunché gli riesce difficile, cerca pure qualche altro fondamento per la tua speranza. Ma egli può tutto con la sua parola. Che cosa gli è più facile che dirla? Ma non vorrei che tu ignorassi che cos’è questa parola. Ecco! Se egli ha deciso di salvarci, saremo liberati sull’istante, se vorrà darci la vita, la vita è nella sua benevolenza, se vorrà accordarci dei premi eterni, egli può fare tutto ciò che vuole. Ma, ormai sicuro della facilità con la quale può aiutarci, hai forse qualche sospetto circa la sua volontà di farlo? Ebbene, anche le testimonianze su questa volontà sono degnissime di tutta la nostra fiducia. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici [18]. Insomma, quando mai quella maestà divina verrà meno verso chi spera in lei, essa che esorta con tanta istanza a mettere in lei la nostra fiducia? Non abbandona certamente quelli che sperano in essa. Verrà in loro aiuto, dice il Salmista, e li scamperà e li salverà e li libererà dagli empi [19]. Perché? Per quali meriti? Ascolta ciò che segue: Perché hanno sperato in lui20. Che dolce motivo, ma quanto efficace, quanto irrefutabile! È in questo che sta propriamente la giustizia, ma quella che deriva dalla fede e non dalla legge. Io, dice il Signore, li ascolterò, qualunque sia l’afflizione dalla quale mi giungerà il loro grido [21]. Su, enumera pure tutte le tue pene. Le sue consolazioni rallegreranno la tua anima secondo il loro numero, purché tu non ti rivolga altrove, purché tu gridi a lui, purché tu speri in lui e riponga il tuo rifugio non in qualche cosa di basso o di terreno, ma in luogo altissimo. Chi ha sperato in lui ed è rimasto abbandonato? [22]. La sua parola non rimarrà senza effetto: è più facile che passino il cielo e la terra.

 

7. Il Salmista continua: Hai posto in luogo altissimo il tuo rifugio. Il tentatore non vi si avvicinerà, non vi salirà il calunniatore, non vi arriverà quel pessimo accusatore dei fratelli. Infatti, se ricordate l’inizio del Salmo, queste parole sono dette a colui che vive sotto la protezione dell’Altissimo, per trovare in lui rifugio dallo scoraggiamento e dalla tempesta. E doppia è la necessità di questo rifugiarsi in lui: le lotte al di fuori, ed i timori al di dentro. Infatti, vi sarebbe meno bisogno di fuggire se la fortezza d’animo all’interno tollerasse virilmente gli sconvolgimenti esterni, oppure se la pusillanimità interiore fosse rinforzata dalla tranquillità esteriore. Hai posto in luogo altissimo il tuo rifugio, dice il Salmista. Fuggiamo spesso, fratelli, verso questo riparo: è un luogo fortificato, là non c’è da avere paura di nessun nemico. Oh! Se fosse possibile rimanerci per sempre! Ma questo non è cosa del tempo presente. Quello che ora è rifugio, un giorno diventerà dimora, e dimora eterna. Per adesso, anche se non ci è dato di rimanervi, bisogna almeno ritornarci spesso. Infatti, per ogni tentazione, per ogni tribolazione, per qualsiasi necessità sta aperta per noi una città di rifugio, abbiamo un seno materno largo per accoglierci, ci sono preparate le fenditure della roccia, ci stanno aperte per accoglierci le viscere della misericordia del nostro Dio. Nessuna meraviglia che chi si allontana da questo rifugio non meriti di salvarsi dai suoi mali.

 

8. Quello, fratelli, che è stato esposto a spiegazione di questo versetto sembrerebbe poter bastare se il Profeta avesse detto semplicemente: Poiché ho sperato in te [23], come in alcuni altri salmi. Ma le parole: Tu, o Signore, sei la mia speranza, dicono forse qualche cosa di più grande e di più sublime, cioè che egli non soltanto spera nel Signore, ma che spera il Signore stesso [24]. Infatti è più esatto chiamare nostra speranza l’oggetto che speriamo, anziché quello per cui speriamo. Forse, vi sono alcuni che bramano di ottenere dal Signore beni temporali e spirituali di ogni specie, ma l’amore perfetto ha sete soltanto del bene sommo e grida con

desiderio ardentissimo: Che c’è per me in cielo e che cosa desidero da te sopra la terra? O Dio del mio cuore e mia porzione, o Dio, in eterno! [25]. Il testo del Profeta Geremia che abbiamo letto oggi ci ha indicato egregiamente in poche parole l’una e l’altra speranza: Buono è il Signore con coloro che sperano in lui, con l’anima che lo cerca [26]. Osserva qui attentamente anche la diversità di numero, come, cioè, per quelli che sperano in lui usa il numero plurale, perché questo atteggiamento è comune a molti, invece per chi cerca la sua persona usa il numero singolare, perché non solamente il non sperare nulla se non da lui, ma ancor più il non cercare nulla < all’infuori di lui implica una purezza, una grazia, e una perfezione del tutto singolari. Ché se egli è buono verso quelli che sperano in lui, quanto più lo sarà verso quelli che non cercano altro che lui?

 

9. Giustamente, perciò, è detto in risposta all’anima che lo cerca: Hai posto in luogo altissimo il tuo rifugio. Infatti, l’anima che è così assetata di Dio non si contenta di costruire con Pietro una tenda su un monte terreno, né di toccarlo con Maria sulla terra, ma invece grida: Fuggi, mio diletto, simile a gazzella e a un cerbiatto sopra i monti di Betel [27], perché lo ha sentito dire: Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me [28]. E anche: Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre [29]. Ma, non ignorando ormai più il disegno celeste, essa esclama con l’Apostolo: Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così [30]. Sopra i monti di Bethel, dice essa, cioè al di sopra dei Principati e delle Potestà, al di sopra degli Angeli e degli Arcangeli e anche dei Cherubini e dei Serafini, perché i monti della casa di Dio, che è il significato della parola Bethel, non sono altro che questi. Essa, infatti, sospira di afferrarlo alla destra del Padre, dove il Padre non e più grande di lui, alla destra dell’Altissimo, coaltissimo con lui. Poiché questa, fratelli, è la vita eterna, che conosciamo il Padre, vero Dio, ma anche colui che egli ha mandato, Gesù Cristo, vero e unico Dio con lui, benedetto sopra tutte le cose per sempre. Amen.

 

NOTE

[1] Fil 2,13.

[2] 2Cor 1.5.

[3] Lc 21.33.

[4] 2Cor 9, 6.

[5] “Ben drogato” nel senso di vino sincero, forte, inebriante, come Bernardo dirà citando Is 1,22, non diluito con acqua, senza ombra di mescolanza con ciò che è imperfetto.

[6] 1Pt 2,22.

[7] Ef 1,3-4.

[8] Ef 1,6.

[9] Is 1,22.

[10] Gb 14,4; si fa poi allusione a Pr 20.9.

[11] Tutta la seconda parte del sermone è un inno alla speranza.

[12] Sal 90,9.

[13] Sal 72,28.

[14] Mt 6, 33.

[15] Sal 9, 35.

[16] Sal 54, 23.

[17] 1Pt 5, 7.

[18] Gv 15 13.

[19] Sal 36, 40.

[20] Ibid.

[21] Introito di giovedì della III settimana di Quaresima.

[22] Sir 2, 11.

[23]  Sal 15, I; 24, 20 ecc.

[24] «Tu, Signore, sei la mia speranza». Bernardo, innamorato della Scrittura, cerca di trarre dalla Parola di Dio tutta la pienezza del suo significato, fermandosi su ogni particolare: «osserva il posto delle parole (...) il loro genere il loro numero (...) il tempo dei verbi» (M. DUMONTIER, Saint Bernard et la Bible, Bruges-Paris 1953, 108). Mentre egli parla traendo dal testo infinite variazioni, a suo dire è la stessa Sapienza che, come la donna forte di Pr 31, «quando tiene la conocchia da un batuffolo di lana sa tirar fuori un filo interminabile e tesse una tela tanto ampia da confezionare un doppio vestito per ognuno dei suoi servi» (Sup. Cant. 15, 5). Cf. M. DUMONTIER, Saint Bernard et la Bible, 114-115.

[25] Sal 72, 25-26.

[26] Lam 3, 25.

[27] Ct 8, 14.

[28] Gv 14, 28.

[29] Gv 20, 17.

[30] 2Cor 5, 16.

 

 


 

 

 

SERMONE DECIMO

«Non si avvicinerà a te il male, e il flagello non si accosterà alla tua tenda»

(Sal 90, 10)

 

1. Non è una mia affermazione, né cosa nuova per voi, anzi, è notissima, che negli oggetti principali della nostra fede è più facile conoscere e più pericoloso ignorare quello che non sono piuttosto che quello che sono. Sembra che questo si possa dire convenientemente anche della speranza. Infatti l’intelligenza umana, dopo l’esperienza di tanti mali, comprende molto più facilmente quello da cui sarà liberata che quello di cui godrà. In realtà, l’intima affinità tra la fede e la speranza sta nel fatto che ciò che la fede crede che si verificherà, la speranza incomincia a sperare che si verificherà a proprio favore. Per questo l’Apostolo giustamente definisce la fede fondamento delle cose che si devono sperare, poiché è chiaro che nessuno può sperare quello che si ritiene non esista, proprio come non si può dipingere sul vuoto. La fede dice: «Dio ha preparato ai suoi fedeli beni grandi e incomprensibili». La speranza, invece: «Essi sono messi da parte per me». La carità, poi, come terza, soggiunge: «Per me, io corro verso di essi». Ma, come ho già detto, è ben difficile o addirittura impossibile conoscere che cosa siano quei beni, a meno che Dio stesso, come dice l’Apostolo, non abbia rivelato a qualcuno, per mezzo del suo Spirito, quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono in cuore d’uomo, le cose che Dio ha preparato per coloro che lo amano [1]. Difatti, anche Paolo, benché fosse già perfetto quando dimorava ancora nel corpo mortale — perché se non fosse possibile qui in terra una, per così dire, perfezione imperfetta, l’Apostolo non direbbe: Quanti dunque siamo perfetti dobbiamo avere questi sentimenti [2], quelli, cioè, di cui un momento prima aveva detto: Non che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione [3] — anche Paolo, dico, è costretto a confessare: Ora conosco in modo imperfetto [4], e: Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia [5]. Così, in questa vita, con una pia e provvida insistenza viene inculcato maggiormente ciò che all’uomo risulta più comprensibile circa i beni futuri. Infatti, è proprio di quelli che soffrono stimare somma felicità l’essere liberati dalle loro afflizioni e ritenere beatitudine perfetta la esenzione da ogni male. Per cui il Profeta dice nel Salmo: Ritorna, anima mia, alla tua pace, perché il Signore ti ha beneficato [6], senza tuttavia nominare nessuno dei beni che formano la felicità che gli è stata data, ma aggiungendo solamente: Perché egli mi ha sottratto dalla morte, ha liberato i miei occhi dalle lacrime, ha preservato i miei piedi dalla caduta [7]. Con queste parole indica chiaramente che egli considera un grande riposo e un grande cumulo di benefici da parte di Dio l’essere liberato dalle tribolazioni e dai pericoli.

 

2. Molto simile a questa affermazione è anche quella del Salmo novantesimo, che dobbiamo commentare oggi: Non si avvicinerà a te il male, e il flagello non si accosterà alla tua tenda. Da quanto posso capire, il senso di questo versetto è facile a comprendere e alcuni di voi lo hanno forse già afferrato al volo. Perché non siete così poco istruiti e così sprovvisti della scienza delle cose spirituali da non distinguere con la massima facilità fra voi stessi e le vostre tende, come anche fra quello che è chiamato male e quello che è detto flagello [8]. Infatti, avete sentito come l’Apostolo, dopo avere combattuto la buona battaglia, diceva che molto presto avrebbe lasciato la sua tenda. Ma perché stare a ricordare le parole dell’Apostolo? Quasiché un soldato possa ignorare che cosa sia la propria tenda e abbia bisogno di essere istruito in queste cose dall’esempio altrui. Purtroppo vediamo alcuni che hanno cambiato le proprie tende in dimore di schiavitù vergognosissima e si servono di esse non per combattere le battaglie di Dio, ma per viverci dentro una schiavitù miserabile. Anzi, e questo è addirittura ridicolo, alcuni sono talmente fuori strada e sono caduti in così grande dimenticanza della propria condizione e in tale delirio spirituale, da sembrare che identifichino se stessi con questa loro tenda esteriore. Quelli, infatti, che, quasi morti spiritualmente, dedicano tutte le loro cure alla carne occupandosi della loro tenda come se fossero convinti che non avrà mai da cadere, non mancano forse non solo della conoscenza di Dio, ma anche di quella di se stessi? Eppure la tenda dovrà cadere, e cadrà anche presto! Non danno forse l’impressione di ignorare se stessi quelli che sono così dediti alla carne da credere di non essere altro che carne, tenendo le loro anime in così poco conto da neppur sapere di averle? Se saprai distinguere ciò che è prezioso da ciò che è vile, sarai come la mia bocca [9], dice il Signore: cioè, se distinguerai con perspicacia fra i beni interiori e quelli esteriori, così da avere più paura del male per te stesso che del flagello per la tua tenda. Questo male è quello del quale è scritto: Sta’ lontano dal male e fa’ il bene [10]. È quel male che priva l’anima della propria anima, che crea una separazione fra te e Dio, tanto che fino a quando esso regna, quello che è un corpo senza anima, lo diventa l’anima senza Dio, veramente morta a se stessa, come uno di quelli di cui l’Apostolo diceva che erano stati come senza Dio in questo mondo.

 

3. Con questo non voglio dire affatto che tu debba odiare la tua carne. Amala come un aiuto che ti è stato dato e come destinata a condividere con te la felicità eterna. Ma l’anima deve amare la propria carne in modo da non sembrare che essa stessa si sia cambiata in carne e che il Signore non debba dire: Il mio spirito non resterà nell’uomo, perché egli è carne [11]. L’anima ami pure la propria carne, ma abbia molto più cura della propria anima [l2]. Adamo ami pure la sua Eva, ma non tanto da obbedire alla voce di lei più che a quella di Dio. Del resto, non giova neppure a lei essere amata in modo tale che, mentre tu la difendi in questa vita dai colpi della correzione paterna di Dio, tu accumuli sopra di lei la sua collera e la condanna eterna. Razza di vipere, dice Giovanni, chi vi ha suggerito di sottrarvi all ‘ira imminente? Fate frutti degni di conversione [13]. Come se dicesse in termini più chiari: Abbracciate la disciplina, ché non si adiri il Signore [14]. Sopportate la verga che vi corregge per non sentire il martello che vi spezza [15]. Come gli uomini carnali ci dicono: «Il vostro genere di vita è crudele; perché non avete riguardo per la vostra carne?» - «Sia pure così: ma è la semente che noi non risparmiamo. In quale altro modo potevamo usarle riguardo? Non le torna forse più a conto rinnovarsi e moltiplicarsi nel campo anziché marcire nel granaio? Ahimè! I giumenti sono marciti nel loro letame [16]. È questo il modo con il quale voi risparmiate la vostra carne? Ammettiamo pure che in questa vita noi siamo crudeli perché non la risparmiamo, ma voi, risparmiandola, siete ben più crudeli. Poiché per noi già fin da adesso la nostra carne riposa nella speranza, voi invece vedrete quale ignominia dovrà subire la vostra in questa vita e quanta miseria la aspetta in quella futura». Non si avvicinerà a te il male, e il flagello non si accosterà alla tua tenda. Qui è indicato un doppio premio e come una doppia immortalità. Infatti, in che cosa consiste la morte se non nella separazione dell’anima e del corpo? È per questo che un corpo lo si dice esanime. Ma da che cosa è causata questa separazione se non dai mali di questa vita, dalla violenza dei dolori, dalla stessa corruzione del corpo e dalla pena del peccato? Giustamente la nostra carne teme e odia un flagello che le infligge la pena della separazione amara da una compagnia così piacevole e così onorifica [17]. Ma, lo voglia o non lo voglia, bisogna che per ora essa sopporti questo flagello fino a tanto che non sia tolto. Le conviene però tollerarlo in maniera tale che tu possa liberartene definitivamente, e che da quel momento in poi il flagello non si avvicini più alla tua tenda.

 

4. Ma, come ho già ricordato sopra e come si deve ricordare continuamente, la vera vita dell’anima è Dio. Ora, il male è anche causa della separazione fra l’anima e Dio, ma il male dell’anima, il quale non è altra cosa che il peccato. Ahimè, fratelli, come ci si può dare alle frivolezze, come si può trovare gusto nelle oziosità con accanto questi due serpenti pronti a toglierci due vite, uno quella del corpo e l’altro quella dell’anima? E come mai dormiamo sicuri se non perché la negligenza in un pericolo così grande più che di sicurezza è segno di sfiducia nel conseguimento della felicità del cielo? In verità, noi dobbiamo desiderare di essere liberati dalla morte del corpo e da quella dell’anima; ma, finché siamo in questa vita, dobbiamo guardarci dal peccato più che dalla sua pena e allontanarci con molto maggior premura dal male dell’anima che dal flagello del corpo, perché per l’anima è più dannoso e triste essere separata da Dio che dal suo corpo. Difatti, quando sarà tolto di mezzo definitivamente ogni peccato, allora, tolta la causa, non resterà più neppure l’effetto. E come non ti si potrà avvicinare più il male dell’anima, così non riuscirà ad avvicinarsi alla tua tenda nemmeno il flagello del corpo, perché ogni pena sarà tanto più lontana dall’uomo esteriore quanto più lo sarà la colpa di quello interiore. Il Salmista, infatti, non dice: «In te non vi sarà male, né flagello nella tua tenda», ma: Non si accosterà, non si avvicinerà.

 

5. Effettivamente, si constata che vi sono degli uomini nei quali il peccato non soltanto abita, ma addirittura regna, tanto da sembrare che non possa essere più vicino o più intimo se non quando dominerà talmente da non riuscire più ad abbandonare il suo potere in avvenire. Ve ne sono poi altri, nei quali il peccato rimane, sì, ma senza prevalere e dominare, come sradicato ma non ancora espulso, abbattuto ma non completamente rigettato. Si sa che all’inizio non fu così, perché nei progenitori, precedentemente alla loro prima disobbedienza, il peccato non soltanto non regnava, ma neppure esisteva. Sembra, tuttavia, che già allora fosse in qualche modo vicino, per riuscire a entrare in loro così in fretta. E colui che disse: Quando tu avrai mangiato dell’albero della scienza del bene e del male morrai [18], di che altro li avvertiva se non che anche la pena del peccato, benché ancora non fosse nei corpi, nondimeno era già alle porte? Felice, pertanto, la nostra attesa, beata la nostra speranza. Poiché la risurrezione, rispetto alla nostra condizione primitiva, sarà tanto più gloriosa in quanto che nessuna colpa e nessuna pena, cioè nessun male e nessun flagello regnerà o abiterà né potrà mai più regnare o abitare sia nelle nostre anime, sia nei nostri corpi. Non si avvicinerà a te il male, dice il Salmista, e il flagello non si accosterà alla tua tenda. Nulla infatti è tanto lontano come quello che non può più essere presente.

 

6. Ma che cosa stiamo facendo, fratelli? Io ho paura di un rimprovero. Infatti sappiamo che il nostro grande e comune Abate ha destinato questo tempo non già alla quiete dei discorsi, ma al lavoro delle mani. Penso, però, che mi perdonerà facilmente, tanto più se non dimentica quel pietoso inganno con il quale una volta Romano lo servì per tre anni mentre era nella spelonca. Infatti leggiamo: Romano si sottraeva piamente allo sguardo del Padre e in certi giorni portava a Benedetto il pane che riusciva a sottrarre al suo pasto [19]. Per parte mia, sono certo, fratelli, che molti di voi hanno una riserva di delizie spirituali ben più abbondante della mia, ma quello che vi comunico non lo sottraggo a me stesso. Anzi, qualunque cosa sia quello che il Signore mi suggerisce, insieme con voi lo gusto con più sicurezza e con più soavità, perché questo alimento non diminuisce quando è distribuito, ma piuttosto quando lo si dispensa cresce. Ma, se qualche volta vi parlo contro la consuetudine del nostro Ordine, non lo faccio per mia presunzione, ma per volontà dei miei venerabili fratelli Abati, i quali mi impongono anche quello che non si permetterebbero assolutamente di fare essi stessi in qualsiasi momento della giornata. Sanno, infatti, che per me vi è una ragione speciale e una particolare necessità [20]. Perché, se potessi lavorare con voi, ora non starei qui a parlare. L’esempio del lavoro forse sarebbe una parola più efficace e anche più gradita alla mia coscienza. Del resto, finché a causa dei miei peccati e, come sapete, per le diverse infermità di questo corpo così molesto e anche per la limitata disponibilità di tempo, questo non mi è permesso, voglia il Signore che, dicendo e non facendo, meriti di essere trovato almeno il più piccolo nel regno di Dio [21].

 

 

 

NOTE

[1] 1Cor 2,9.

[2] Fil 3, 15.

[3] Fil 3, 12.

[4] 1Cor 13, 12.

[5] Ibid.

[6] Sal 114,7.

[7] Sal 114, 8.

[8] Gran parte delle considerazioni di questo sermone sono impostate sul doppio binomio anima / tenda, male / flagello, che è l’insieme delle pene inflitte per il peccato.

[9] Ger 15, 19.

[10] Sal 36, 27.

[11] Gn 6, 3.

[12] Cioè Dio: cfr. QH 10, 4.

[13] Mt 3, 7-8.

[14] Sal 2, 12.

[15] Ricompare l’immagine del martello: cfr. QH 3, 2.

[16] Gl 1, 17.

[17] Chiara affermazione di rispetto per il corpo. sede dell’anima.

[18] Gn 2, 17.

[19] GREGORIO MAGNO, Dialoghi II, 1, 5.

[20] Cfr. Introduzione, pp. XLII-XLIII. LV.

[21] Con il sermone X termina la seconda redazione del Commento al Salmo 90.

  

 


 

 

 

 SERMONE UNDICESIMO

«Egli ha dato ai suoi angeli quest’ordine a tuo riguardo: di custodirti in tutte le tue vie»

(Sal 90, 11)

 

1. Sta scritto, e con quanta verità, che per le misericordie del Signore non siamo annientati [1], né abbandonati nelle mani dei nostri nemici. L’occhio instancabile e vigile della bontà singolare del Signore veglia su di noi. Non dorme né sonnecchia il custode di Israele. Il che è necessariò. Perché non dorme, né sonnecchia neppure colui che combatte Israele. E come il Signore si preoccupa e ha cura di noi, così lui si dà da fare per uccidere e distruggere, e il suo unico pensiero è che chi si è allontanato da Dio a lui più non ritorni. Ma noi non prestiamo nessuna o poca attenzione alla cura che ha per noi colui che ci guida, alla difesa di colui che ci protegge e ai benefici che egli ci elargisce, ingrati alla sua grazia, anzi alle molteplici grazie con le quali ci previene e ci aiuta. Infatti, a volte è lui personalmente che riempie le nostre anime di splendori, a volte ci visita per mezzo degli angeli, a volte ci ammaestra per mezzo di uomini e a volte ci consola e ci istruisce con le Scritture. Poiché tutto ciò che è stato scritto, è stato scritto per nostra istruzione, perché in virtù della pazienza e della consolazione che ci viene dalle Scritture teniamo viva la nostra speranza [2]. Ben detto per nostra istruzione, affinché in virtù della pazienza teniamo viva la speranza. Infatti, come è detto altrove, la saggezza dell’uomo si conosce dalla pazienza [3]. È la pazienza che produce la virtù provata, e la virtù provata la speranza [4]. Perché soltanto noi non badiamo a noi stessi? Perché soltanto noi ci trascuriamo?

Dobbiamo forse chiudere gli occhi sui pericoli nei quali ci troviamo perché il Signore ci aiuta da tutte le parti? Anzi, proprio per questo dovremmo vigilare su noi stessi con maggior diligenza. Poiché non si avrebbe così grande premura per noi né in cielo, né in terra se non ne avessimo un gran bisogno. Non saremmo certamente custoditi in tanti modi se le insidie non fossero altrettanto numerose.

 

2. Beati, perciò, quei nostri fratelli i quali, liberi dal timore dei mali e stabiliti in maniera tutta speciale nella speranza, sono ormai svincolati dal laccio dei cacciatori e sono passati dalle tende dei combattenti alle dimore di quelli che riposano. A uno di essi, anzi a tutti insieme, è detto: Non si avvicinerà a te il male, e il flagello non si accosterà alla tua tenda [5]. Ma bada che questa promessa è fatta non a chi vive secondo la carne, ma a chi, pur vivendo nella carne, cammina secondo lo spirito, perché in un uomo carnale non è possibile fare distinzione fra lui e la sua tenda. In lui tutto è confusione, perché è un figlio di Babilonia, un uomo che è tutto carne, e lo spirito non rimane in lui. E dove non c’è lo spirito buono, quando mai mancherà il male? Ma dove c’è il male non potrà non avvicinarsi anche il flagello, perché il male è inseparabile dalla pena. Non si avvicinerà a te il male, e il flagello non si accosterà alla tua tenda [6]. Una grande promessa! Ma che cosa mi permette di sperarne il compimento? Come scamperò dal male e dal flagello, come fuggirò, come mi allontanerò affinché non mi si avvicinino? Per quale mio merito, con quale bravura, con quale forza ci riuscirò? Perché ai suoi angeli ha dato per te quest’ordine: di custodirti in tutte le tue vie. E quali sono tutte queste vie? Quelle percorrendo le quali tu ti allontani dal male e fuggi l’ira imminente. Molte sono le vie e di molte specie. Questo è certamente un gran pericolo per chi viaggia. Quanto facilmente nell’imbattersi in molte strade andrà fuori da quella che è la sua, colui che non ha saputo conoscerle. Agli angeli, infatti, è stato comandato di custodirci non già in tutte le vie, ma soltanto in tutte le nostre vie. Poiché ve ne sono di quelle dalle quali dobbiamo essere trattenuti per non entrarvi e altre sulle quali non possiamo camminare senza sostegno.

 

3. Pertanto, fratelli, esaminiamo attentamente quali siano le nostre vie per poi cercare di conoscere anche quali siano le vie dei demoni, quali quelle degli spiriti beati e quali quelle del Signore. Veramente quello che intraprendo a spiegare è superiore alle mie forze, ma mi aiuterete voi con le vostre preghiere, affinché il Signore mi apra il tesoro della sua sapienza e si renda gradite le offerte delle mie labbra.

Le vie, dunque, dei figli di Adamo sono la necessità e la cupidigia 7. Noi, infatti, siamo condotti e trascinati dall’una e dall’altra, o, più precisamente, la necessità ci spinge e la cupidigia ci trascina. La necessità riguarda specialmente il corpo, e non è semplice, ma ha moltissimi sentieri tortuosi e altrettanti svantaggi. Vantaggi ne ha ben pochi, seppure ne ha qualcuno. Chi mai ignora quanto sono numerose le necessità degli uomini? Chi è capace di descriverle tutte? Ce lo insegna l’esperienza, ce lo fa capire il tormento stesso di cui esse sono la causa. E così si capisce come si debba gridare al Signore: Liberami non «dalla necessità», ma dalle mie necessità [8].

Ma colui che non avrà chiuso l’orecchio agli ammonimenti del Saggio bramerà di essere liberato non soltanto da questa via della necessità, ma anche da quella della cupidigia. Che cosa dice egli, infatti? Prendi le distanze dalle tue voglie; e anche: Non andar dietro ai tuoi appetiti [9]. Fra i due mali è certamente meglio camminare nella via della necessità, piuttosto che in quella della cupidigia. Le necessità sono senz’altro numerose, ma le cupidigie lo sono molto di più per ogni verso, anzi oltre ogni misura. La cupidigia riguarda il cuore. Perciò è tanto più forte della necessità quanto l’anima è superiore al corpo. Queste sono le due vie che agli uomini sembrano buone, ma che non arrivano al loro termine se non quando li immergono nelle profondità dell’inferno.

Se ora hai scoperto le vie degli uomini, vedi che forse non si riferisca proprio ad esse quello che è detto: Nelle loro vie non vi è che dolore e infelicità [10]: dolore nella necessità e infelicità nella cupidigia. Come mai nella cupidigia si trova affanno, cioè mancanza di felicità, contrariamente a quello che si pensa? Che cosa accade a colui al quale sembra che, nell’abbondanza delle cose terrene, sorrida l’ambita felicità? Egli è tanto più infelice quanto più fortemente stringe l’infelicità credendola felicità, e quanto più vi si immerge tanto più da essa è inghiottito. Guai ai figli degli uomini per una felicità tanto falsa e fallace! Guai a chi dice: Sono ricco, non ho bisogno di nulla [11], mentre è un povero e un nudo e un infelice e un miserabile. La necessità proviene dalla debolezza del corpo, la cupidigia, invece, dall’inedia e dalla dimenticanza del cuore. Infatti, l’anima mendica il pane altrui perché dimentica di mangiare il proprio: essa sospira con avidità le cose terrene perché non medita affatto quelle celesti.

 

4. Consideriamo ora anche le vie dei demoni, consideriamole e teniamocene in guardia, osserviamole per fuggirle, perché le loro vie sono la presunzione e l’ostinazione. Volete conoscere come lo so? Considerate il loro capo. Come lui, così i suoi familiari. Pensate agli inizi delle sue vie per capire se non si sia gettato d’un tratto in una evidente ed enorme presunzione dicendo: Dimorerò sul monte del testamento, nelle parti più remote del settentrione. Sarò simile all’Altissimo [12]. Che presunzione temeraria e orrenda! Forse che non sono caduti tutti gli operatori di iniquità, non sono stati cacciati senza poter stare in piedi [13]? Per la presunzione non poterono stare in piedi e per l’ostinazione colui che è caduto non potrà rialzarsi [14]. Per la presunzione egli è uno spirito che va, per l’ostinazione uno spirito che non ritorna. La presunzione dei demoni desta ben tanto stupore, ma non meno sorprendente è la loro ostinazione, a causa della loro superbia che cresce senza misura. Perciò per essi non vi è possibilità di cambiamento [15]. Non avendo voluto tornare indietro dalla via della presunzione, sono caduti in quella dell’ostinazione. Che cuore perverso e sconvolto hanno tutti quei figli degli uomini che seguono le orme dei demoni e camminano sulle loro vie! Tutta la lotta degli spiriti maligni contro di noi sta proprio nel sedurci per farci entrare nelle loro vie, per farci camminare su di esse in loro compagnia e per portarci a quel termine che è stato fissato per essi. O uomo, fuggi la presunzione, affinché il tuo nemico non abbia a godere dite. Perché è in questi vizi che egli si compiace più di tutto, avendo sperimentato in se stesso come ti sia difficile il potere uscire da un abisso così grande.

 

5. Ma non voglio, fratelli, che ignoriate in che modo si scende, anzi si cade, in quelle due vie. Il primo gradino di questa discesa che ora mi si presenta, sta nel dissimulare a se stessi la propria debolezza, le proprie colpe, il proprio niente, quando uno, scusandosi, lusingandosi e convincendosi di essere qualche cosa mentre non è niente, inganna se stesso. Il secondo gradino è l’ignoranza di se stesso. Infatti, dopo che il primo gradino si è intrecciato delle inutili cinture di foglie, che altro gli resta se non l’impossibilità di poter vedere le sue ferite ormai coperte, tanto più che le ha coperte con il solo scopo di non vederle? E questo finalmente fa sì che, anche se un altro gliele fa vedere, egli sostiene che non sono ferite, ricorrendo a parole maliziose per trovare delle scuse nei peccati [16]. E questo è il terzo gradino ormai molto vicino alla presunzione, anzi la rasenta. Infatti, che male si vergogna ormai di fare e di rifare colui che presume perfino di difenderlo? Ma costui difficilmente si fermerà su una strada buia e scivolosa, tanto più che non manca neppure il cattivo angelo del Signore a inseguirlo e a incalzarlo. Pertanto, il quarto gradino, o piuttosto il quarto precipizio, è il disprezzo, cosicché, come dice la Scrittura, l’empio, giunto nel profondo dei peccati, disprezza [17]. Da quel momento in poi, il pozzo chiude sempre di più la sua bocca sopra di lui, mentre il disprezzo consegna una tale anima all’impenitenza e l’impenitenza è sigillata dall’ostinazione. Questo è ormai il peccato che non è perdonato né in questo secolo, né nel futuro, perché il cuore duro e indurito non teme Dio, né gli importa più di nessuno. Colui che è unito in tal modo al diavolo in tutte le sue vie, è chiaro che è divenuto un solo spinto con lui. Le vie degli uomini, che abbiamo descritto precedentemente, sono quelle delle quali è detto: Nessuna tentazione vi sorprenda se non umana [18], perché peccare è umano. Ma chi ignora che le vie dei demoni sono molto diverse dalla natura dell’uomo? A meno che in alcuni l’abitudine di peccare non sia divenuta natura. Tuttavia, anche se alcuni fanno del peccare una seconda natura, resta vero che perseverare nel male non è umano ma diabolico.

 

6. E quali sono le vie dei santi angeli? Quelle, certamente, che ci ha rivelato l’Unigenito del Padre quando disse: Vedrete angeli salire e scendere sul Figlio dell’uomo [19]. Le loro vie sono dunque l’ascesa e la discesa: l’ascesa per il loro bene e la discesa, o piuttosto la condiscendenza, per il nostro. Così, quegli spiriti beati salgono con la contemplazione di Dio e scendono con la compassione verso dite per custodirti in tutte le tue vie. Salgono verso il suo volto e discendono al suo cenno, perché per te ha dato ordine ai suoi angeli. Tuttavia, neppure quando scendono rimangono privi della visione della sua gloria, perché vedono sempre la faccia del Padre [20].

 

7. Penso che desideriate sentire quali siano anche le vie del Signore. Potrebbe sembrare grande presunzione da parte mia se vi promettessi di essere io stesso a mostrarvele. Ma si legge che egli stesso ci insegnerà le sue vie. E, in questo, a chi altri si potrebbe credere se non a lui? Egli dunque ha manifestato le sue vie quando ha aperto le labbra del Profeta perché dicesse: Tutte le vie del Signore sono misericordia e verità [21]. È così che viene a ognuno in particolare e a tutti in comune, cioè con la misericordia e con la verità. Infatti, dove si presume molto della sua misericordia, ma si dimentica la sua verità, là Dio senz’altro non c’è, come non lo si trova neppure là dove vi è una grande paura al ricordo della sua verità e nessuna consolazione a quello della sua misericordia. Poiché colui che non sa dove si trova veramente la misericordia non possiede la verità e, d’altra parte, senza la verità, la misericordia non può essere vera. Ma dove la misericordia e l verità si incontrano, anche la giustizia e la pace si baciano, né può mancare Colui che dimora nella pace. Quante cose abbiamo udite e conosciute — perché i nostri padri ce lo hanno narrato — su questa felice unione della misericordia e della verità! La tua misericordia e la tua verità mi hanno accolto [22], dice il Profeta. E altrove: La tua misericordia è davanti ai miei occhi e mi diletto della tua verità [23]. Ma anche lo stesso Signore attesta nei riguardi del Profeta: La mia verità e la mia misericordia saranno con lui [24].

 

8. Ma considera anche le venute visibili del Signore, per constatare come nella manifestazione che si è già compiuta tu trovi un Salvatore misericordioso e come, invece, in quella che è promessa alla fine del mondo dovrai sostenere un rimuneratore che giudica secondo verità. Infatti è forse con riferimento a queste due venute che si deve interpretare il detto della Scrittura: Dio ama la misericordia e la verità, il Signore darà grazia e gloria [25]. Per quanto anche nella prima venuta si sia ricordato della sua misericordia, e, insieme, della sua verità verso la casa d’Israele, e nella seconda, pur giudicando il mondo con giustizia e le genti con la sua verità, non si farà un giudizio senza misericordia, a meno che non si tratti di chi non ha usato misericordia. Queste sono le vie eterne delle quali è scritto presso il Profeta: Le colline del mondo si sono incurvate sotto le sue vie eterne [26]. Mi è facilissimo provarlo. Infatti è detto nella Scrittura Santa: La misericordia del Signore è da sempre e dura in eterno [27], e: La verità del Signore dura in eterno [28]. Da queste strade hanno deviato i colli del mondo, cioè i demoni superbi, i principi di questo mondo e di queste tenebre. Essi non hanno conosciuto la via della verità e della misericordia e non si sono ricordati dei suoi sentieri. Che ha di comune con la verità colui che è bugiardo e padre della menzogna [29]? Inoltre tu trovi scritto apertamente di lui che non ha perseverato nella verità [30]. Quanto poi sia stato lontano dalla misericordia, lo attesta la condizione miserabile nella quale egli ci ha gettati. Quando mai è stato misericordioso uno che era omicida fin dal principio del mondo? E, finalmente, chi è cattivo con se stesso, con chi si mostrerà buono? [31].

Quant’è cattivo oltre misura con se stesso lui che non si rammarica mai della propria iniquità né mai si affligge per la propria condanna! Una falsa presunzione lo ha buttato fuori della via della verità e l’ostinazione crudele gli ha precluso quella della misericordia. Perciò, né può trovare misericordia in se stesso, né la può ottenere dal Signore. In questo modo, dunque, quelle colline superbe hanno fuorviato dalle vie eterne, quando, cioè, attraverso i loro anfratti e i loro sentieri distorti, o meglio attraverso i loro precipizi, hanno abbandonato le vie del Signore che sono diritte. Invece, altre colline, con quanta più prudenza e profitto si sono piegate e umiliate sotto le vie del Signore per la loro salvezza! Non perché si siano piegate rispetto ad esse deviando dalla dirittura delle vie del Signore, ma perché sono state le stesse vie eterne a piegarle. Non è forse un vedere incurvarsi le colline del mondo quando i grandi e i potenti della terra si inchinano davanti al Signore con una devota sottomissione e, prostrati ai suoi piedi, lo adorano? Forse che non si curvano quando dalla dannosa altezza della loro vanità e della loro crudeltà scendono negli umili sentieri della misericordia e della verità?

 

9. Verso queste vie del Signore si dirigono non soltanto le vie degli angeli, ma anche quelle degli eletti. Il primo passo che il peccatore fa per uscire dall’abisso dei suoi vizi consiste in quella misericordia con la quale egli sente pietà per il figlio di sua madre, cioè per la propria anima, rendendosi così gradito a Dio.
Infatti, in questo modo imita la grande opera dell’immensa misericordia del Salvatore, unendosi così nella compunzione a Chi per primo è stato trafitto per lui, morendo così in qualche modo anch’egli per la propria salvezza, senza risparmiare se stesso. Questa compassione è il primo sentimento di colui che ritorna al suo cuore ed è sentita nelle profonde intimità dello spirito. Ma poi bisogna che essa avanzi e proceda sulla via regia che conduce alla verità, bisogna cioè, come ve lo raccomando spessissimo. che alla contrizione del cuore faccia seguito la confessione della bocca. Con il cuore, infatti, si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la confessione per giungere alla salvezza [32]. È necessario che colui il quale si converte nell’intimo del cuore diventi piccolo ai propri occhi secondo quello che dice la Verità: Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli [33]. Non voglia dunque dissimulare quello che non può ignorare, come, cioè, dal peccato sia stato ridotto a un niente. Non si vergogni di portare alla luce della verità quello che, con sentimento di compassione, ha veduto nel segreto del cuore. In questo modo l’uomo entra nelle vie della misericordia e della verità, che sono le vie del Signore, le vie della vita, e il loro frutto è la salvezza di chi le percorre.

 

10. È chiaro che anche le vie degli angeli tendono ugualmente verso le stesse vie del Signore. Infatti, quando salgono per contemplare, essi cercano la verità, desiderando la quale si saziano, e saziandosi ne acuiscono il desiderio. Invece, quando discendono, praticano la misericordia verso di noi, custodendoci in tutte le nostre vie. Infatti, sono spiriti incaricati di un ministero, inviati per servirci. Nostri servi, non nostri padroni. E in questo imitano l’esempio dell’unigenito di Dio, il quale è venuto non per essere servito, ma per servire, ed è stato in mezzo ai suoi discepoli come colui che serve. Il vantaggio delle vie degli angeli, per quanto riguarda loro stessi, è la loro stessa beatitudine, e un’obbedienza amorosa a Dio; invece, per quanto riguarda noi, da un lato consiste nell’ottenerci la grazia divina, e dall’altro nel custodire la nostra via, perché ai suoi angeli ha dato per te quest’ordine: di custodirti in tutte le tue vie, in tutte le tue necessità, in tutti i tuoi desideri. Altrimenti, tu potresti entrare facilmente nelle vie della morte precipitando o dalla necessità nella ostinazione oppure dalla cupidigia nella presunzione, le quali non sono più le vie degli uomini, ma quelle dei demoni. In che cosa infatti si riscontra che gli uomini sono così facilmente ostinati come in quelle cose che o fingono o credono che appartengano alla necessità? «Qualsiasi ammonizione tu faccia loro», dice Terenzio, essi ti rispondono: «Io posso quello che posso e nulla più di quello che posso. Se tu vieni a trovarti nel mio caso, prova a pensarla diversamente» [34]. E come ci precipitiamo nella presunzione, se non nel trasporto di un desiderio violento?

 

11. Dio, dunque, ha ordinato ai suoi angeli, durante questa vita, non già di ritirarti dalle tue vie, ma di custodirti in esse e, per così dire, di dirigere le tue vie verso le sue facendoti camminare nelle loro. Ma tu dirai: «In che modo?» Ecco! Facendo, se non puoi per altro motivo almeno sollecitato dalla tua necessità, quello che gli angeli fanno in maniera più pura e per sola carità, cioè discendere e condiscendere per dimostrare al prossimo la tua compassione, e poi, innalzando di nuovo con i medesimi angeli i tuoi desideri, sforzandoti di salire con tutto l’ardore dell’anima verso la somma ed eterna verità. Per questo siamo esortati a innalzare i cuori con le mani, per questo sentiamo dirci ogni giorno: In alto i cuori, per questo, se siamo negligenti, veniamo rimproverati e ci si dice: Fino a quando, o uomini, avrete un cuore pesante? Perché amate cose vane e cercate la menzogna? [35] Difatti, un cuore libero e leggero si innalza più facilmente nella ricerca e nell’amore della verità. E non stupirti se quelli che si degnano di custodirci nelle nostre vie non disdegnano di accoglierci, anzi di introdurci insieme con loro nelle vie del Signore. Ma con quanta più gioia di noi, con quanta più sicurezza essi camminano sulle vie del Signore! Del resto anch’essi dimorano nella misericordia e nella verità, ma molto meno di colui che è la Verità e la Misericordia in persona.

 

12. Con che ordine Dio ha messo tutti gli esseri alloro posto come spetta a ognuno di essi! Sovrano, al di sopra di tutte le cose, lui, che è l’eccelso, oltre il quale e al di sopra del quale non vi è nulla. I suoi angeli, poi, non li ha posti nel luogo più alto, ma in luogo sicuro, perché sono uniti nel modo più stretto a colui che sta al di sopra di tutto, e, per questo, sono confermati con la potenza che viene dall’alto. Gli uomini, invece, non sono né nel posto più alto, né al sicuro, ma in un luogo che esige vigilanza. Sono sul solido, cioè sulla terra, in luogo molto basso, ma non nel più basso, affinché abbiano la possibilità e la necessità di tenersi in guardia. Quanto ai demoni, essi vagano nelle onde dell’aria, instabili come il vento e leggeri. Indegni di salire al cielo, sdegnano di discendere sulla terra [36].

Ma per oggi basta così. Oh! Se, per suo dono, fossimo capaci di ringraziare come merita colui dal quale viene la nostra capacità. Perché, da soli, non siamo capaci neppure di pensare qualche cosa di nostro se non ce lo concede colui che dà a tutti generosamente e che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli dei secoli.

 

 NOTE

[1] Lam 3, 22.

[2] Rm 15, 4.

[3] Pr 19, 11.

[4] Rm 5, 4.

[5] Sal 90, 10.

[6] Con l’accenno al male, al flagello e alla tenda Bernardo si riallaccia al sermone precedente e mette sull’avviso il lettore attento che il commento al Salmo vuoi essere un tutto unitario e strutturato.

[7] Su “necessitas” e “cupiditas”, caratteristiche dell’uomo come semplice creatura e come essere decaduto, cfr. In vigilia Nat. Dom. 2, 3; É. GILSON, La teologia, 42-47.

[8] Sal 24, 17.

[9] Sir 18, 30.

[10] Sal 13, 3.

[11] Ap 3, 17.

[12 ] Is 14, 13-14.

[13] Sal 35, 13.

[14] Sal 40, 9.

[15] Sal 54, 20.

[16] Sal 140, 4.

[17] Pr 18, 3.

[18] 1Cor 10, 13.

[19] Gv 1, 51.

[20] Mt 18, 10. Cfr. Sup. Cant. 77, 4; GREGORIO MAGNO, Mor 2, III, 3.

[21] Sal 24, 10. Verità è qui sinonimo di giustizia, a differenza di quanto segue poco oltre (QH 11, 8).

[22] Sal 39, 12.

[23] Sal 25, 3.

[24] Sal 88, 25.

[25] Sal 83, 12.

[26] Ab 3, 6.

[27] Sal 102, 17.

[28] Sal 116, 2.

[29] Gv 8, 44.

[30] Ibid.

[31] Sir 14, 5.

[32] Rm 10. 10.

[33] Mt 18, 3.

[34] TERENZIO, Andria, 310.

[35] Sal 4, 3.

[36] Cfr. nota 8 al sermone 1.

 

 


 

 

 

SERMONE DODICESIMO

«Sulle loro mani ti porteranno perché non urti contro la pietra con il tuo piede»

(Sal 90, 12)

 

1. Se ben ricordate, nel discorso di ieri abbiamo detto che le vie dei demoni sono la presunzione e l’ostinazione e vi ho anche spiegato il motivo delle mie parole. Ma, se lo credete necessario, possiamo scoprire le loro vie anche per un’altra strada. Perché anche se essi si danno da fare in tutti i modi per nasconderle, lo Spirito Santo li mette allo scoperto in molte maniere, in molte maniere egli mostra nelle sante Scritture i sentieri degli empi. Infatti, riguardo a tutti costoro leggiamo che gli empi si aggirano intorno [1], e, del loro capo, in particolare, che va in giro cercando chi divorare [2]. Lui stesso fu costretto a confessarlo davanti alla maestà divina, quando, presente tra i figli di Dio, gli fu chiesto donde venisse. Ho fatto il giro della terra, rispose, e l’ho percorsa [3]. Diciamo dunque che le sue vie sono un girare attorno e un tendere agguati. Con un movimento si avvicina a noi, con l’altro invece si aggira su se stesso. Infatti sempre egli s’innalza, e sempre è atterrato; la sua superbia sale sempre e sempre è umiliata. Non è questo un muoversi su se stesso? Infatti, colui che gira attorno riparte ogni volta e non avanza mai. Guai all’uomo che imita questo movimento, a colui che non esce mai dalla sua volontà propria. Se appena ti sforzi di strapparlo ad essa, sembrerà che ti segua, ma è un inganno. Non lo si strapperà completamente da essa. Si sforza da tutte le parti, fugge qua e là, ma resta sempre attaccato alla volontà propria.

 

2. Tuttavia, se il girare attorno su se stesso è cattivo, di gran lunga peggiore è lo stare in agguato degli altri. Proprio questo lo fa essere “diavolo”. Ma in che modo, fratelli, quell’essere superlativamente superbo discende per circuire l’uomo miserabile? Osserva anche qui il movimento circolare dell’empio. I suoi occhi vedono tutto ciò che vi è di eccelso e insieme egli indaga con curiosità tutto ciò che nell’uomo vi è di più abbietto, ma per salire ancora di più, per gonfiarsi maggiormente e, dopo avere disprezzato la miseria dell’uomo, per apparire ai propri occhi più sublime, come sta scritto: Il misero freme mentre l’empio inorgoglisce [4]. Con quale perversità l’angelo cattivo cerca di imitare gli angeli buoni, i quali pure salgono e scendono! Ma egli sale per brama di vanità e scende per livore maligno. Quanto è falsa la sua salita, altrettanto crudele è la sua discesa. Perché, come abbiamo detto ieri, in lui non vi è misericordia né verità. D’altronde se gli angeli maligni discendono per tenderci insidie, siano rese grazie a colui per ordine del quale discendono anche gli angeli buoni per soccorrerci, per custodirci in tutte le nostre vie. E non soltanto per questo, perché: Sulle loro mani ti porteranno, continua il Salmista, affinché non urti contro la pietra il tuo piede.

 

3. Che grande insegnamento, fratelli, che grande monito, che grande conforto ci vengono dati in queste parole della Scrittura! Quale mai fra tutti i Salmi consola i pusillanimi, ammonisce i negligenti, ammaestra gli ignoranti così magnificamente? È per questo che la Provvidenza divina ha voluto anche concedere ai suoi fedeli che i versetti di questo salmo scorressero sulle loro labbra soprattutto in questo tempo di Quaresima. E sembra che l’occasione venga proprio dall’abuso che di esso ha fatto il diavolo stesso, affinché anche in questo quel pessimo servo sia costretto, pur contro voglia, a servire i figli. Che cosa, infatti, poteva essere a lui più molesto e a noi più gradito del fatto che anche la sua malizia giovasse al nostro bene? Ai suoi angeli egli ha dato per te quest’ordine: di custodirti in tutte le tue vie . Celebrino il Signore le sue misericordie e le sue meraviglie in favore dei figli degli uomini [6]. Lo celebrino e dicano tra i popoli: Il Signore ha fatto grandi cose per loro [7]. Signore, che cos ‘è l’uomo perché tu ti sia manifestato a lui [8], o perché te lo prendi tanto a cuore? [9] Te lo prendi a cuore, sei sollecito di lui, ti prendi cura di lui [10]. E, perfino, gli mandi il tuo Unigenito, gli infondi il tuo Spirito e gli prometti anche la visione del tuo volto. E perché nel cielo nessuno sia dispensato dall’interessarsi premurosamente di noi, tu mandi a nostro servizio quegli spiriti beati, li incarichi della nostra custodia, dai ordine a essi di essere nostre guide. Non ti contenti di fare di quegli spiriti i tuoi angeli, li fai anche angeli dei tuoi piccoli. Infatti, i loro angeli vedono sempre la faccia del Padre [11]. Sì! Quegli spiriti beati li fai messaggeri tuoi fra te e noi e messaggeri nostri fra noi e te.

 

4. Ai suoi angeli ha dato ordini per te. Che degnazione stupenda, che tenerezza di amore! Chi è che ha dato questi ordini? A chi li ha dati? Per chi? E che cosa ha comandato? Consideriamo attentamente, fratelli, imprimiamo diligentemente nella nostra memoria questo comando così grande. Chi è che l’ha emesso? Di chi sono gli angeli? Ai comandi di chi obbediscono? Di chi eseguono la volontà? Ecco! Ai suoi angeli ha dato ordini per te, perché ti custodiscano. Anzi, sono pronti perfino a prenderti e a portarti sulle loro mani. È la somma maestà divina che ha comandato, ed è ai suoi angeli che ha comandato, cioè a quegli spiriti sublimi, tanto beati, vicinissimi e intimamente uniti a lui, veri familiari di Dio. Ed è per te che ha dato ordini. Tu chi sei? Signore, che cosa è l ‘uomo perché te ne ricordi e il figlio dell’uomo perché te ne curi? [12]. Come se l’uomo non fosse putredine e verme il figlio dell’uomo [13]. Ma che sorta di ordini pensi tu che egli abbia dato per te? Pensi forse che abbia scritto contro di te sentenze amare? Ha forse ordinato di mostrare la loro potenza contro una foglia dispersa dal vento e di dare la caccia a una paglia secca? Oppure di sopprimere l’empio perché non veda la gloria di Dio? Questo dovrà ben essere comandato un giorno, ma finora non lo è stato comandato. Affinché un giorno non abbia da esserlo, non allontanarti dall’aiuto dell’Altissimo, dimora sotto la protezione del Dio del cielo. Poiché, se uno è protetto dal Dio del cielo, un tale comando non sarà mai pronunciato contro di lui, ma piuttosto in suo favore. E se, per ora, il comando non è ancora dato, esso è rimandato perché tutto torni a favore degli eletti. Infatti, il prudente Padrone di casa ai suoi servi pronti ad andare a raccogliere subito la zizzania seminata in mezzo al grano dice: Aspettate fino alla mietitura, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, non sradichiate anche il grano [14]. Ma, frattanto, come si conserverà il buon grano? Questa è precisamente l’opera che adesso devono compiere gli angeli e il comando che essi hanno ricevuto per il tempo presente.

 

5. Dunque, ha dato ordine ai suoi angeli per te di custodirti. O frumento fra la zizzania! O grano fra la paglia! O giglio fra le spine! Ringraziamo Dio, fratelli, ringraziamo Dio! Ci aveva affidato un deposito prezioso, il frutto della sua croce, il prezzo del suo sangue. Non è soddisfatto di questa nostra custodia così poco sicura, così poco efficace, così fragile, così insufficiente. Sulle tue mura, Gerusalemme, ha posto sentinelle [15], perché anche quelli che sembrano muraglie, oppure colonne inserite nelle muraglie, hanno bisogno di questi custodi. E come!

 

6. Ha dato ordine ai suoi angeli per te, di custodirti in tutte le tue vie. Quanto rispetto devono ispirarti queste parole, quanta devozione procurarti, quanta fiducia infonderti! Rispetto per la loro presenza, devozione per la loro benevolenza, fiducia per la loro custodia. Stai attento a tutto ciò che fai perché, come è stato loro comandato, gli angeli sono presenti dappertutto, in tutte le tue vie. In ogni luogo, in ogni angolo, abbi rispetto per il tuo angelo. Oseresti tu fare in sua presenza quello che non osi fare sotto il mio sguardo? O dubiti, forse, che egli sia presente perché non lo vedi? E se lo udissi? Se lo toccassi? Se ne sentissi il profumo? Pensa che la presenza delle cose non è provata soltanto dal fatto che si vedono. Se tutte le cose, anche quelle che sono corporee, non sono percepite dalla vista, quanto più lontane dalla percezione di ogni senso del corpo sono le cose spirituali; devono perciò essere ricercate con un senso spirituale. Se ricorri alla fede, essa ti prova che non manca mai la presenza degli angeli. E non mi dispiace di aver detto che la fede lo prova, quella fede che l’Apostolo definisce: Prova delle cose che non si vedono [16]. Essi sono dunque con te, e sono con te non soltanto come compagni, ma anche come aiutanti. Sono con te per proteggerti, sono con te per giovarti. Che cosa renderai al Signore per quanto ti ha dato? Giacché a lui solo si deve onore e gloria. Perché a lui solo? Perché è lui che ha comandato ai suoi angeli, e ogni dono perfetto non viene se non da lui.

 

7. Tuttavia, anche se è lui che ha comandato, non dobbiamo essere ingrati a coloro che lo obbediscono con tanto amore e’ che ci soccorrono in un così grande bisogno. Siamo, dunque, devoti, siamo riconoscenti a dei custodi così potenti. Riamiamoli, onoriamoli come possiamo e come dobbiamo. Ma tutto il nostro amore, tutto il nostro onore vada a colui dal quale sia essi sia noi riceviamo tutto quello per cui possiamo amare e onorare e per cui meritiamo di essere amati e onorati. Tuttavia quando l’Apostolo dice: Al solo Dio onore e gloria [17] non si deve pensare che contraddica alla parola del Profeta, il quale afferma di avere onorato molto anche gli amici di Dio [18]. Io credo, invece, che quella parola dell’Apostolo sia simile all’altra detta da lui stesso: Non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole [19]. Infatti, con queste parole egli non ha certamente inteso sopprimere tutti gli altri doveri, tanto più che dice: A chi il rispetto, il rispetto [20], eccetera. Per capire meglio il suo pensiero e la sua raccomandazione in ambedue questi testi, osserva come alla luce del sole gli astri inferiori non si vedono più. Crediamo forse che le stelle siano scomparse? O che si siano spente? No, certamente, ma solo che, velate in qualche modo da una luce più intensa, durante quel tempo non possono essere viste. Così è appunto dell’amore che dobbiamo a Dio. Trascendendo ogni altro dovere come se regnasse da solo dentro di noi, rivendica a se stesso tutto ciò che dobbiamo agli altri, facendoci compiere tutto per amore. Allo stesso modo l’onore che dobbiamo a Dio deve prevalere e quasi pregiudicare l’onore che dobbiamo a qualsiasi altro, cosicché sia onorato lui solo, non soltanto al di sopra di tutti, ma anche in tutti. Pensa che la medesima cosa va detta anche dell’amore.

Infatti, colui che per amore ha donato al Signore suo Dio tutto il cuore, tutta l’anima e tutta la forza, che cosa di proprio lascia per gli altri? In lui dunque, fratelli, amiamo affettuosamente i suoi angeli, come quelli che un giorno saranno nostri coeredi, mentre, in questa vita, ci sono stati assegnati dal Padre come tutori e

 

amministratori. Fin d’ora, infatti, siamo figli di Dio, anche se ancora non lo si vede, perché siamo ancora bambini posti sotto tutori e amministratori e, per adesso, in nulla diversi dai servi.

 

8. Ma anche se siamo così piccoli, anche se ci rimane da percorrere una strada così grande, e non solamente così grande, ma anche così pericolosa, che paura dobbiamo avere sotto la guida di custodi così valenti? Non possono essere vinti, non possono essere ingannati e ancor meno ingannare, quelli che ci custodiscono in tutte le nostre vie. Sono fedeli, sono prudenti, sono potenti: perché trepidare? Soltanto seguiamoli, stiamo loro vicini e dimoriamo nella protezione del Dio del cielo. Pensa com’è necessaria questa protezione, questa difesa nelle tue vie. Infatti il Profeta soggiunge: Sulle loro mani ti porteranno, perché non urti contro la pietra con il tuo piede [21]. Ché se ti sembrasse cosa da poco incontrare per strada una pietra di inciampo, pensa a quello che segue: Camminerai sopra l’aspide e il basilisco e calpesterai il leone e il drago [22]. Com’è necessaria una guida, anzi un portatore, specialmente per un bambino che deve camminare fra quelle bestie! Ti porteranno sulle loro mani, dice il Profeta: ti custodiranno nelle tue vie e condurranno un bambino per una strada sulla quale un bambino è capace di camminare. In ogni caso, non permetteranno che tu sia tentato sopra le tue forze, ma ti sosterranno nelle loro mani in modo da riuscire a oltrepassare l’ostacolo. Con quanta facilità passa oltre chi è portato da quelle mani! Come nuota dolcemente, secondo il proverbio popolare, colui il cui mento è sostenuto da un altro.

 

9. Tutte le volte, dunque, che ti incalza una tentazione violenta e incombe una grande prova, invoca il tuo custode, la tua guida, il tuo aiuto nel tempo del bisogno, nella tribolazione. Gridagli aiuto e digli: Salvaci, Signore, siamo perduti [23]. Egli non dorme, e non sonnecchia, anche se qualche volta, per un po’ di tempo, sembra che lo faccia, affinché tu non abbia da gettarti giù dalle sue mani con maggior pericolo, ignorando che è lui che ti sostiene. Queste mani, infatti, sono spirituali, e spirituali sono anche gli aiuti che gli angeli assegnati a ognuno danno spiritualmente e in varie maniere a ciascuno degli eletti, secondo la qualità del pericolo e della difficoltà che si presenta, paragonabile a un masso che blocca il cammino. Fra le altre ne citerò alcune di quelle che ritengo più comuni e che soltanto pochi di voi non hanno sperimentato. Vi è chi si inquieta fortemente per qualche incomodo fisico o per qualche afflizione temporale, oppure chi si sente privo di slancio a causa dell’accidia e languido per abbattimento d’animo? Ecco che, se non vi è chi lo soccorre, egli incomincia già a essere tentato oltre le sue forze e urterà e inciamperà nella pietra. Ma chi è questa pietra? Questa pietra di inciampo e di scandalo penso che sia quella nella quale chi inciampa rimarrà infranto e che schiaccerà colui sul quale essa cadrà, la pietra angolare, scelta, preziosa, che è Cristo Signore. Urtare contro questa pietra è mormorare contro di lui, scoraggiarsi per pusillanimità di spirito e per la tempesta. Ha, dunque, bisogno dell’aiuto angelico, del conforto angelico, delle mani angeliche colui che sta già venendo meno e ha quasi urtato contro la pietra. Effettivamente, urta contro la pietra colui che mormora e che bestemmia, frantumando se stesso e non il Signore contro il quale si lancia con furore.

 

10. Io credo che questi tali siano talvolta sostenuti dagli angeli come con due mani per attraversare, quasi senza accorgersi, quei pericoli che facevano loro tanta paura e per rimanere poi oltremodo stupiti sia della facilità con la quale li hanno superati, sia della difficoltà con cui essi si erano presentati prima. Volete sapere che cosa io penso che siano queste due mani? Sono due conoscenze per mezzo delle quali gli angeli ci mostrano, da un lato, la brevità della tribolazione e, dall’altro, l’eternità del premio, o meglio ci fanno vedere con chiarezza e sentire profondamente nel cuore che il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria [24]. Chi dubiterà che queste ispirazioni così buone vengano dagli angeli buoni, mentre è certo che quelle cattive vengono dagli angeli cattivi?

Fratelli miei, vivete nella familiarità degli angeli, rivolgete loro assiduamente il vostro pensiero e la vostra preghiera devota, perché essi vi sono sempre presenti per custodirvi e per consolarvi.

 

 

NOTE

[1] Sal 11, 9.

[2] 1Pt 5, 8.

[3] Gb 1, 7; 2, 2.

[4] Sal 9, 23.

[5] Sal 90, 11.

[6] Sal 106, 8. 15. 21. 31.

[7] Sal 125, 2.

[8] Sal 143, 3.

[9] Gb 7, 17.

[10] «aut quid apponis erga eum cor tuum?»: in ebraico il “cuore” è la sede dell’attività intellettiva, per cui l’espressione significa “fare attenzione”; Bernardo (cfr. In ded. EccI. 5, 4) la intende in senso affettivo: Dio è vicino all’uomo con la tenerezza del suo cuore.

[11] Mt 18, 10.

[12] Sal 8. 5

[13] Gb 25, 6.

[14] Mt 13, 29-30.

[15] Is 62, 6.

[16] Eb 11, 1.

[17] 1Tm 1, 17.

[18] Allusione a Sal 138, 17 secondo la Vulgata.

[19] Rm 13, 8.

[20] Rm 13, 7.

[21] Sal 90, 12.

[22] Sal 90, 13.

[23] Mt 8, 25.

[24] 2Cor 4, 17.

 

 

 


 

 

 

 SERMONE TREDICESIMO

«Camminerai sopra l’aspide e il basilisco e calpesterai il leone e il drago»

(Sal 90, 13-a)

 

1. Questo versetto che stiamo spiegando, cioè: Sulle mani ti porteranno, eccetera, possiamo ritenerlo detto a nostro conforto non soltanto per questa vita, ma anche per la vita futura. Infatti, i santi angeli ci custodiscono nelle nostre vie, ma anche finita la via, che è come dire finita la vita, essi ci sollevano sulle loro mani. E a provarlo non ci mancano testimoni degni di fede. Del nostro beatissimo Padre, veramente Benedetto sotto ogni riguardo, vi è stato letto pochi giorni fa che mentre sembrava avere gli occhi fissi nello splendore di una luce brillante, vide l’anima di Germano, vescovo di Capua, portata dagli angeli in cielo in un globo di fuoco [1]. Ma anche senza andare in cerca di testimonianze come questa, la Verità stessa dice nel Vangelo che Lazzaro mendico e piagato fu trasportato dagli angeli nel seno di Abramo [2]. Infatti, in quella regione, che ci è così nuova e quasi sconosciuta, non saremmo capaci di camminare da soli, tanto più che sulla strada vi è una pietra molto grande. Quale pietra? Colui che un tempo si soleva adorare nelle pietre, colui che presentò al Signore delle pietre dicendo: Di’ che questi sassi diventino pane [3]. Ora, il tuo piede è la tua sensibilità. Essa è il piede dell’anima, che gli angeli portano sulle loro mani, perché non urti il suo piede contro la pietra. E come farebbe l’anima a non turbarsi terribilmente se dovesse uscire dal mondo da sola, se dovesse entrare in quelle strade senza un aiuto e camminare fra quelle pietre con i propri piedi?

 

2. Ma ascolta ancora più chiaramente come le è necessario di essere portata da mani altrui e come queste mani non possano essere se non quelle degli angeli: Camminerai su l’aspide e il basilisco e calpesterai il leone e il drago [4]. Che cosa potrebbe fare il piede di un uomo fra quelle bestie? Come potrebbe reggere la sensibilità umana in mezzo a mostri così orrendi?[5]  Si tratta infatti di spiriti maligni, designati con nomi tutt’altro che inadatti. Ed è pure di questi spiriti che è stato detto (spero che non lo abbiate dimenticato): Ne cadranno mille al tuo fianco, e diecimila alla tua destra [6]. Ma chissà che non siano state assegnate a ciascuno di essi delle operazioni malefiche e dei ministeri di iniquità in modo tale che, avendo ricevuto nomi diversi, uno si chiami aspide, l’altro basilisco, un terzo leone e un quarto drago, in corrispondenza a compiti o piuttosto a malefici differenti, cosicché, operando invisibilmente e in maniera diversa, nuocciano uno con lo sguardo, un altro con il morso, un terzo con il ruggito o con l’assalto e un quarto con il soffio?

Ho letto di una certa specie di demoni che non può essere cacciata se non con la preghiera e con il digiuno, e che contro quella specie l’esorcismo degli Apostoli non aveva giovato a nulla. Quel demonio non era forse un aspide, l’aspide del Salmo, sordo, che si tura le orecchie per non udire la voce dell’incantatore? Vuoi restare imperterrito davanti a un mostro così terrificante? Vuoi camminare sicuro sopra quest’aspide dopo la morte? Bada di non andargli dietro adesso, Stai attento a non imitarlo e non avrai motivo di temerlo alla tua morte.

 

3. Ma vi è un vizio sul quale io credo che questo demonio abbia un gran potere. E se volete saperlo, esso è precisamente quel circolo vizioso da cui vi ho esortati a stare in guardia nel discorso

di ieri, e quell’ostinazione contro la quale parlavamo l’altro ieri. Difatti, ogni volta che si presenta l’occasione non mi dispiace di premunirvi contro questa peste così pericolosa, affinché vi difendiate con tutti i mezzi, perché essa è la rovina completa e, secondo Mosè, insanabile veleno di aspidi [7]. Si dice che l’aspide, da una parte, preme più fortemente che può contro la terra un orecchio, dall’altra, invece, ottura l’altro orecchio con la coda per non sentire. Che può fare allora la voce dell’incantatore? Che può fare allora la parola del predicatore? Pregherò per lui, mi affliggerò col digiuno, mi bagnerò con un abbondantissimo profluvio di lacrime per quel morto sul quale ho constatato che ogni sapienza umanamente capace di persuadere e l’insistenza più ingegnosa degli ammonimenti non giovano a nulla. Sappia, però, quell’ostinato che egli fissa il suo capo non verso il cielo, ma verso la terra, perché la sapienza che viene dall’alto non solo è pudica ma anche pacifica, mentre la sua, che si potrebbe chiamare viperina, non può essere che terrena. Ma egli non sarebbe così sordo se non otturasse l’udito anche con la coda. Che cos’è questa coda? Sono gli intenti umani che si propone. Questa è una sordità disperata perché, da una parte, piantato, per così dire, a terra, sta attaccato alla propria volontà e, dall’altra, rigirando la coda, macchina dentro se stesso un qualche disegno e vi si fissa sopra con l’animo finché non lo abbia eseguito. Non vogliate, vi prego, fratellì, non vogliate chiudere le vostre orecchie, non vogliate mai indurire i vostri cuori. Se nella bocca di un uomo ostinato la parola è tanto mordace e tanto amara, è perché egli rimane impenetrabile a qualsiasi espressione di benevolenza da parte di chi lo ammonisce. Se con tanta cura ha chiuso l’orecchio contro la lingua dell’incantatore, è perché sulla punta della sua lingua rimane ancora il veleno dell’aspide [8].

 

4. Quanto al basilisco, animale pessimo e fra tutti il più esecrabile, dicono che ha il veleno nell’occhio. Vuoi sapere che cos’è l’occhio avvelenato, l’occhio cattivo, l’occhio che uccide con lo sguardo? Pensa all’invidia. E che altro è invidiare se non vedere il male? Se non esistesse questo basilisco. la morte non sarebbe mai entrata nel mondo per causa della sua invidia. Disgraziato l’uomo per non avere previsto la cattiveria di quell’invidioso! Cerchiamo di vincere anche questo vizio finché siamo in vita se, dopo morte, non vogliamo avere paura di colui che è stato l’autore, per noi, di un così gran male. Nessuno guardi al bene altrui con occhio invidioso, perché fare così significa già, per quanto uno riesce, contaminarlo con il proprio contagio, e, in qualche modo, ucciderlo. Chi odia un altro è dichiarato omicida dalla Verità stessa. E che cos’è anche colui che odia il bene in un altro? Può forse non meritare il nome di omicida? Vive ancora certamente quegli che è l’oggetto della sua invidia, ma l’invidioso è già reo della sua morte. Arde ancora il fuoco della carità che il Signore Gesù ha mandato sulla terra, ma l’invidioso, come uno che ha estinto questo spirito, è già condannato.

 

5. Guai a noi a causa del drago! È una bestia crudele: con il suo fiato infuocato uccide tutto ciò che tocca, non soltanto le bestie della terra, ma anche gli uccelli del cielo. Io penso che esso non sia altro che la passione dell’ira. Quanti ne lamentiamo, anche di quelli che sembravano vivere una vita santissima, i quali, miseramente bruciati dal fiato di questo drago, gli sono vergognosamente caduti in bocca! Con quanto più profitto avrebbero potuto adirarsi contro se stessi per non peccare! Certamente l’ira è una passione naturale propria dell’uomo, ma per coloro che abusano di questo bene di natura essa diventa una grave rovina e una sciagura miserabile. Serviamocene, fratelli, come bisogna, affinché non prorompa in gesti inutili oppure illeciti. Un amore suole cacciarne un altro e un timore si espelle con un altro timore. Non temete coloro che uccidono il corpo, dice il Signore, e dopo non possono fare più nulla all’anima. E subito dopo soggiunge: Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo avere ucciso, ha potere di gettare nella Geenna anima e corpo. Sì, ve lo dico, temete Costui [9]. Come per dire più chiaramente: Temete Lui per non temere loro. Vi riempia lo spirito del timore del Signore, e in voi non si troverà nessun altro timore. E io vi dico, veramente non io ma la Verità, non io ma il Signore: Non adiratevi contro coloro che vi portano via i beni caduchi, contro coloro che vi oltraggiano, che forse vi gettano fra i supplizi, e non possono fare altro. Vi mostrerò io contro chi dovete adirarvi. Adiratevi contro colei che sola ha il potere di recarvi danno e di impedire che tutte quelle sofferenze vi riescano utili. Volete sapere chi è costei? La vostra iniquità. Sì, ve lo dico, contro di essa adiratevi. Difatti nessuna avversità vi recherà danno se non vi domina nessuna iniquità [10]. Chi si adira come è giusto contro il peccato non è scosso dagli altri mali, anzi li abbraccia. Io. dice il Profeta, sono pronto ai flagelli [11]. Che si tratti di danni, o di oltraggi, o di lesioni corporali, sono pronto senza esitazioni [12], perché il mio dolore mi sta sempre davanti [13]. Come non farò poco conto delle cose esteriori se considero questo dolore dell’anima? Il figlio uscito dalle mie viscere mi perseguita, dice Davide, e io mi sdegnerò contro un vile servo che mi oltraggia? [14] Il cuore mi viene meno, le forze e il lume degli occhi mi abbandonano [15], e io mi metterò a piangere i danni temporali e a dare importanza ai mali del corpo?

 

6. Da questo timore del peccato nasce non soltanto la mansuetudine alla quale il fiato del drago non può recare danno, ma anche quella fortezza d’animo che non si spaventa al ruggito del leone. Il vostro nemico è come un leone ruggente [16], dice Pietro. Siano rese grazie a quel gran Leone della tribù di Giuda: per opera sua quest’altro può ben ruggire, ma non ferire. Ruggisca pure quanto vuole; ma che la pecora di Cristo non si dia alla fuga.

Quante minacce, come esagera i mali, quante insidie tende! Non siamo come le bestie, così pavidi da venire atterrati da questo ruggito, il quale altro non è che un rumore vano. Infatti, coloro che hanno studiato con molta diligenza queste cose riferiscono che davanti al ruggito del leone nessuna bestia riesce a tenersi in piedi, neppure quella che resiste con tutta la forza contro il suo assalto e per lo più lo vince quando egli cerca di ferire, mentre non è capace di resistere quando ruggisce. È davvero una bestia, e privo di ragione, colui che si dimostra così pusillanime da cadere per la sola paura e, vinto soltanto dall’esagerazione di una fatica non ancora arrivata, è buttato a terra già prima della battaglia, non dalle frecce ma dal suono della tromba. Non avete ancora resistito fino al sangue [17], dice quel prode capitano, il quale ben sapeva com’è vano il ruggito di questo leone. E un altro soggiunge: Resistete al diavolo ed egli fuggirà da voi [l8].

 

 NOTE

[1] GREGORIO MAGNO, Dial. 11, 35. 3.

[2] Lc 16. 22.

[3] Mt 4. 3.

[4] Sal 90, 13.

[5] Per le varie forme, spesso mostruose, in cui i demoni appaiono secondo l’antica letteratura monastica, cfr. G.M. COLOMBAS, Il Monachesimo, II, 238.

[6] Sal 90, 7.

[7] Dt 32, 33.

[8] Cfr. AGOSTINO, Enarr. in Ps. 57, 7; S. 316, 2. Cfr. Introduzione, p. LIX.

[9] Lc 12, 4-5; Mt 10, 28.

[10] Cfr. QH 7, 12 e ibid. nota 38.

[11] Sal 37, 18.

[12] Sal 118, 60.

[13] Sal 37, 18.

[14] 2Sam 16, 11, secondo una versione latina anteriore alla Vulgata. Ogni sofferenza dovuta a danni temporali passa iii secondo ordine di fronte al dolore della compunzione.

[15] Sal 37, 11.

[16] Pt 5, 8.

[17] Eb 12, 4.

[18] Gc 4, 7.

 

 


 

 

 

SERMONE QUATTORDICESIMO

«Camminerai sopra l’aspide e il basilisco e calpesterai il leone e il drago»

(Sal 90, 13-b)

 

1. Ringraziamo, fratelli, il nostro creatore, il nostro benefattore, il nostro redentore, il nostro rimuneratore, o meglio la nostra speranza. Se, infatti, è il nostro rimuneratore, egli è anche la nostra ricompensa, e da lui non attendiamo altra cosa che lui stesso. La prima cosa che ci ha dato siamo noi stessi, poiché: Ci ha fatti come lui, non ci siam fatti da noi [1].Ti pare poco questo, che egli ti abbia fatto? Pensa come ti ha fatto: una creatura nobile quanto al corpo, ma molto più nobile quanto all’anima. Essa porta la bellezza dell’immagine del creatore, è partecipe della sua intelligenza, è capace dell’eterna beatitudine. Quanto poi all’unione dell’anima e del corpo, messi insieme dall’arte incomprensibile e dall’impenetrabile sapienza del Creatore, egli ti ha fatto immensamente più mirabile di qualunque altra creatura. Così questo dono è altrettanto grande quanto è grande l’uomo. E che cosa pensi della sua gratuità? È chiaro che colui che non esisteva non poteva meritare niente prima di esistere. Ma c’era forse da sperare che, dopo aver ricevuto il dono dell’essere, l’uomo avrebbe potuto dare un compenso al donatore? Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni [2]. Non c’era dunque da sperare che l’uomo potesse dare a colui che basta in tutto a se stesso una ricompensa della quale egli avesse bisogno, ma soltanto che gli esprimesse devotamente quella riconoscenza che tanto meritava. E come non ringraziarlo? Se qualcuno ti avesse restituito, in qualche maniera, la vista, l’udito, l’odorato, il movimento delle mani e dei piedi impediti nel loro uso, ovvero se, in qualche circostanza, ti avesse risvegliato l’intelligenza assopita, chi non si sdegnerebbe contro di te con estrema violenza nel trovarti immemore di un beneficio così grande e ingrato al tuo benefattore? Ora, il Signore tuo Dio ti ha donato queste membra, creandole dal nulla. E non solamente le ha create, ma le ha anche messe insieme con ordine ed eleganza, e ha nobilitato ogni membro con la propria funzione. Colui che ha fatto tutto questo non ha forse pieno diritto a una gratitudine ancora più grande?

 

2. Ma, non contento di questo dono, in sé già immenso, colui che ti ha dato l’essere quando ancora non esistevi, dopo averti creato ti ha anche dato in sovrappiù tutto ciò che è necessario perché tu possa vivere. E lo ha fatto con una generosità non inferiore all’arte mirabile che ha usato nel crearti. Egli ha detto: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza [3]. Ma che cosa ha poi aggiunto? E domini sui pesci del mare e sul bestiame [4], eccetera. Degli astri del cielo aveva dichiarato già prima di averli creati per tuo uso. È detto, infatti, che sono stati creati per servire da segni per le stagioni, i giorni e gli anni [5]. Per chi? Certamente per nessun altro all’infuori di te, perché le altre creature o non hanno affatto bisogno di tutti questi segni, oppure non li capiscono. Che ricchezza, che generosità immensa egli ha dimostrato in questo secondo beneficio! Quante cose ti ha elargito per il tuo sostentamento, quante per istruirti, quante per consolarti, quante, anche dopo il peccato, per correggerti, quante per tuo godimento! Queste due opere, poi, della creazione e della conservazione sono anche gratuite, anzi doppiamente gratuite. Che cosa intendo dire con le parole «doppiamente gratuite»? Senza alcun merito da parte tua e senza alcuna fatica da parte sua. Infatti, egli disse e le cose furono fatte [6]. Ma gli sarai meno devoto, meno obbligato, meno riconoscente perché le ha fatte dal niente e senza fatica? È da cuore perverso l’andare in cerca di pretesti per essere ingrato. Nessuno fa così, se non chi sarebbe ingrato anche senza motivo. Penso, infatti, che nessuno di quei due doni ti è meno utile per il fatto che a chi te lo ha dato non è costato nessuna difficoltà. Altrimenti, se tu giudichi più utile a te stesso quello che avrebbe potuto costargli fatica, questo criterio di giudizio viene da te e credo che tu non l’abbia imparato se non alla tua scuola. Anche tu daresti qualche cosa al tuo fratello più volentieri senza alcun tuo incomodo. Ma anche in questo caso, non vorresti certamente che chi lo riceve se ne serva come pretesto della sua ingratitudine.

 

3. Ma dopo le due opere precedenti considera anche la terza, quella della tua redenzione. Qui non puoi trovare nessun palliativo di scusa per essere ingrato: quanta fatica è costata? Tanta fatica. Sì, è stata offerta gratuitamente anche questa, ma soltanto per quanto riguarda te. Tutt’altro per quanto riguarda lui. Sei stato salvato per niente, ma non con niente. Come mai l’amore che gli devi per quello che ha fatto è assopito? Anzi, non dorme ma è addirittura morto un amore che non risponde a questo beneficio, un amore che non si effonde in ringraziamenti e in canti di lode. Questo terzo dono della redenzione avvalora in modo chiarissimo anche gli altri due della erezione e della conservazione, dimostrando che anche in essi è stato posto un vero amore da parte di Dio e che li ha dati senza fatica non perché non volesse usare altri modi, ma soltanto perché non conveniva usarli. Il tuo Dio, dunque, ti ha creato, per te ha fatto tante altre cose, per te si è fatto perfino lui stesso. Il Verbo si è fatto carne, e venne ad abitare in mezzo a noi [7]. Che cosa gli resta ancora da fare? Ecco, si è fatto una medesima carne con te, ma per fare poi anche di te un solo spirito con lui [8]. Questi quattro benefici non si allontanino mai dal tuo cuore, dalla tua memoria, dal tuo affetto. Pensaci sempre, e in essi poni continuamente le tue delizie. Con essi scuoti la tua anima, stimolandola come con degli sproni, procura con queste fiaccole di infiammarla affinché riami colui che ti dimostra in così tanti modi l’amore che egli ha per te. Ma ricorda anche ciò che ha detto: Se mi amate, osservate i miei comandamenti [9]. Osserva, dunque, i comandamenti del tuo Creatore, osserva i comandamenti del tuo Benefattore, del tuo Redentore, del tuo Rimuneratore [10].

 

4. Ma se i benefici sono quattro, quanti saranno i comandamenti? Sappiamo tutti che sono dieci. Allora, moltiplicando il decalogo della legge per quattro, tu ottieni una vera quaresima, una quaresima spirituale [11]. Però sii costante nel timore e prepara la tua anima alla tentazione [12]. Guardati dall’astuzia del serpente, osserva le insidie del nemico. Perché egli cerca di impedire la quadruplice riconoscenza che tu devi a Dio per quei suoi quattro benefici con altrettante tentazioni. Cristo le ha provate tutte, queste tentazioni, tanto che l’Apostolo ha potuto scrivere con tutta verità: Provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato [13]. Forse qualcuno si meraviglierà e dirà di non avere mai letto di una quarta tentazione del Signore. Ma penso che non lo direbbe se si ricordasse di aver letto che la vita dell’uomo sulla terra è una tentazione [14]. Chi si ricorda di questo, penserà che il Signore non è stato tentato solamente con le tre tentazioni che hanno avuto luogo durante il digiuno del deserto, sul pinnacolo del tempio, e sulla cima del monte. Certamente, in queste tre occasioni, la tentazione era manifesta. Tuttavia, quella che da allora in poi non gli mancò mai fino alla morte di croce, anche se più occulta, fu, però, una tentazione più violenta. E neppure questo sembrerà in disarmonia con lo schema dei quattro benefici di Dio proposto sopra. Infatti, i tre benefici che si sono già avverati, cioè la creazione, la conservazione e la redenzione, sono manifestissimi ed è possibile constatarne l’evidenza. Ma quello che riguarda la speranza della vita eterna non ci è stato ancora né concesso, né manifestato. Perciò nessuna meraviglia che, dove la causa della tentazione è nascosta, anche la tentazione stessa sia meno evidente 15 Ma essa è più lunga e più forte perché l’avversario tira fuori tutte le risorse della sua cattiveria contro la nostra speranza.

 

5. Dunque, in primo luogo, per renderci ingrati all’autore della natura, il maligno desta in noi una eccessiva sollecitudine per le cose necessarie alla vita, così come egli ebbe l’ardire di dire a Cristo affamato: Di’ che questi sassi diventino pane [16], come se colui che ci ha creati non sapesse di che cosa siamo fatti, e come se non si desse pensiero degli uomini colui che nutre gli uccelli del cielo. Quanto si mostrano ingrati a chi ha creato tutto questo mondo per l’uomo coloro che, per ottenere i beni terreni che sono proprietà di Dio e che la cupidigia fa loro desiderare, non si vergognano di prostrarsi in adorazione davanti al maligno! Tutte queste cose ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai [17]. O miserabile, queste cose le hai forse fatte tu? E come potrai dare tu quello che è stato creato da lui? Ovvero, come si potranno sperare da te, come chiedere a prezzo della tua adorazione quelle cose che, create da lui, sono in suo potere? Quanto poi all’altra tentazione nella quale Satana dice: Gettati giù [18], stai attento, chiunque tu sia che sei salito sul pinnacolo del tempio, stai attento tu, sentinella della casa del Signore, stai attento tu, che nella Chiesa di Cristo occupi un posto sublime. Quanto ingrato saresti, anzi, quale ingiuria commetteresti contro quel grande mistero di pietà, se nell’amministrarlo tu facessi della religione un mezzo di lucro! Come saresti infedele a colui che ha consacrato questo ministero con il suo sangue, se per mezzo di esso tu cercassi la tua gloria che non è niente, se cercassi i tuoi interessi, non quelli di Gesù Cristo! Quanto indegnamente risponderesti alla degnazione di colui che per dispensare i frutti della sua umiliazione ti ha reso sublime, di colui che ti ha affidato i divini sacramenti, che ti ha dato un potere celeste e, starei per dire, ancora più grande di quello che ha dato agli stessi angeli, se ti precipitassi giù dal pinnacolo del tempio, preso non già dal gusto delle cose del cielo, bensì da quello delle cose della terra! Ma anche tutti quelli che dalle vette della virtù si abbassano alla brama della vanagloria, indubbiamente, invece di ringraziarlo, ingiuriano il Signore delle virtù, il quale, per imprimere su di noi la forma della sua santità, ha sofferto in terra tante pene.

 

6. Consideriamo più attentamente, fratelli, se quella prima tentazione che toglie allo spirito la sua quiete a causa della sollecitudine eccessiva per le necessità corporali non la si debba forse paragonare all’aspide. Infatti questo animale violento con il suo morso ferisce, e si tura l’orecchio per non sentire la voce dell’incantatore. E che cosa cerca di fare il tentatore con questa prima tentazione, se non di chiudere e indurire l’orecchio del cuore alle consolazioni della fede? Ma il nemico non ha avuto alcun successo nel Signore, non è riuscito a chiudere l’orecchio a colui che gli rispose: Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio [19]. Nelle parole poi: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai [20], riconoscete il sibilo seducente dell’invidia del drago. Dicono che esso, nascosto nella sabbia, con il suo soffio avvelenato attira a sé anche gli uccelli che volano. Com’era avvelenato questo soffio, quando diceva: Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi adorerai [21]! Ma il Signore non era un uccello qualunque: il soffio del drago è rimasto impotente contro di lui.

 

7. E che cosa diremo del basilisco? Più mostruoso degli altri, si dice che avvelena e fa morire l’uomo con il solo sguardo. Se non erro, questo serpente è la vanagloria. Guardatevi, dice il Signore, dal praticare le vostre opere buone davanti agli uomini per essere da loro ammirati [22]. Come per dire: Guardatevi dal basilisco. Ma a chi si dice che il basilisco faccia del male? A colui che non lo ha visto. Perché, come dicono, se tu lo guardi per primo, non ti fa più nessun male, anzi, è lui che muore. Proprio così, fratelli! La vanagloria uccide quelli che non la vedono, i ciechi e i negligenti, quelli che si mettono in mostra davanti a lei, che si espongono ad essa invece di guardarla in faccia, quelli che non stanno in guardia, che non la annientano e non osservano quanto è frivola, caduca, vana, leggera. Se infatti uno guarda in questa maniera, è il basilisco che muore, e colui che guarda non rimane più ucciso dalla vanagloria, ma è essa che viene uccisa e gli cade davanti come polverizzata, anzi ridotta a niente. Mi sembra che non sia necessario di voler sapere come quella tentazione nella quale il diavolo dice: Se sei figlio di Dio gettati giù23 si riferisca alla vanagloria. Infatti, perché questo invito, se non per essere lodato, per essere visto dal basilisco?

 

8. Ma osserva come il basilisco si è nascosto, quasi per impedire al Signore di vederlo per primo. Egli dice: Sta scritto: Ai suoi angeli ha dato per te quest’ordine: e ti porteranno sulle loro mani [24] Che cosa è scritto, o maligno, dimmi, che cosa è scritto? Ai suoi angeli ha dato per te quest’ordine. Che ordine ha dato? Osservate e vedete come quell’ingannatore ha taciuto ciò che poteva distruggere le astuzie della sua frode. Infatti, che cosa ha comandato il Signore? Quello, appunto, che segue nel Salmo: Che ti custodiscano in tutte le tue vie [25]. Forse anche nei precipizi? Che via è il buttarsi giù dal pinnacolo del tempio? Questa è una rovina, non una via. E, se è una via, essa è una delle tue vie e non delle sue. Inutilmente, per tentare il capo tu hai stravolto quello che è stato scritto a consolazione del corpo. Ha bisogno di essere custodito soltanto colui che deve temere di urtare con il suo piede contro la pietra. Ma colui per il quale questo timore non esiste non ha bisogno di essere custodito. E perché taci anche quello che segue: Camminerai sopra l’aspide e il basilisco e calpesterai il leone e il dragone [26]? Questa figura riguarda proprio te. È la tua mostruosa malignità, designata con questi titoli mostruosi, a dover essere schiacciata: e non solamente dal capo, ma anche da tutto il corpo. Ma, dopo questo triplice smacco vergognoso, il diavolo non si serve più contro il Signore dell’astuzia del serpente, bensì della crudeltà del leone, giungendo fino agli oltraggi, fino ai flagelli, fino agli schiaffi, fino alla morte e alla morte di croce. Ma il Leone della tribù di Giuda ti ha apertamente schiacciato sotto i suoi piedi anche quando volevi farla da leone. Così, fratelli, anche contro di noi, quando si vede annientato in tutti gli altri suoi assalti, fa scoppiare con tutto il suo furore una persecuzione quale mai avvenne prima, per impedire, con l’asprezza della tribolazione, l’accesso al regno celeste a quelli che lo sperano. Beata l’anima la quale, calpestando con l’impeto della sua forza anche quel leone, riuscirà a impadronirsene con la violenza.

 

9. Pertanto, dilettissimi, dopo queste considerazioni cerchiamo di camminare con molta circospezione e con sollecitudine, come se si camminasse sopra un aspide e un basilisco. Guardiamoci da ogni radice amara, di modo che nessuno di noi sia trovato mordace, nessuno arrogante e violento, nessuno inesorabile e ribelle. E non buttiamoci giù, ma saliamo in alto e andiamo oltre lo sguardo letale della gloria temporale, affinché, secondo il detto della Scrittura: Invano si tenda la rete sotto gli occhi degli uccelli [27], calpestiamo insieme il leone e il drago, affinché non ci spaventi il ruggito di quello, né ci contamini il soffio di questo. Sembra che questi quattro mostri fomentino anche quattro passioni, ognuno la sua. Il drago a quale tende insidie in modo tutto speciale? Penso alla cupidigia, perché sa che è la radice di tutti i mali e che sconvolge il cuore nel più forte dei modi. Per questo, simulando di voler provvedere ai suoi bisogni, disse al Signore: Tutte queste cose io ti darò [28]. Quanto al leone, si sa che non emette i suoi ruggiti spaventosi se non alla porta di chi è già in preda della paura. L’aspide, poi, osserva le porte della tristezza, perché le ritiene facilissimamente accessibili ai suoi morsi. Per cui non si è avvicinato al Signore Gesù fino a tanto che non lo vide affamato. Invece, l’allegria bisogna che stia molto in guardia contro il basilisco, perché esso suole introdurre i raggi velenosi dei suoi occhi specialmente attraverso quel passaggio, e la vanagloria non reca danno se non quando uno si abbandona a una gioia vuota.

 

10. Ma osserva anche se forse non sia possibile opporre a questi quattro pericoli quattro virtù. Il leone ruggisce: chi mai non tremerà? [29] Se uno ci riesce, sarà certamente colui che è forte. Ma, vinto il leone, si nasconde nella sabbia il drago, per attirare l’anima con il suo soffio velenoso, ispirandole in qualche modo con esso la brama delle cose terrene. Chi pensi tu che riuscirà a evitare le sue insidie? Nessuno se non chi è prudente. Ma capita che, mentre stai attento a non degradarti con la brama delle cose terrene, c’è chi forse ti tormenta con qualche molestia. Ecco che allora compare sull’istante l’aspide. Gli sembra, infatti, di aver trovato il momento giusto. Chi riuscirà a non essere irritato da quest’aspide? Sicuramente l’uomo di animo temperante e moderato, che ha imparato a essere ricco e a essere povero. Ma penso che, quando avrai riportato questa vittoria, l’occhio cattivo della vanagloria, lusingandoti con insistenza, ti vorrà incantare. Chi sarà capace di distogliere da essa il proprio sguardo? Per certo il giusto, che non solamente non vorrà usurpare per sé la gloria che è propria di Dio, ma nemmeno accettare quella che viene da un uomo, cioè quel giusto che compie rettamente quello che è giusto, che non pratica la sua giustizia davanti agli uomini e che, pur essendo giusto, non si inorgoglisce. Questa virtù della giustizia consiste specialmente nell’umiltà, essa purifica l’intenzione e consegue un merito tanto più vero ed efficace quanto meno lo attribuisce a sé.

 

NOTE

[1] Sal 99, 3.

[2] Sal 15, 2.

[3] Gen 1, 26.

[4] Ibid.

[5] Gen 1, 14.

[6] Sal 32, 9.

[7] Gv 1, 14.

[8] Sull’unione in un solo spirito (cfr. 1Cor 6, 17) cfr. De consid. 5, V, 12. Vedi E. GILSON, La teologia, 123-154; Y. CONGAR, L’Ecclésiologie, 147-148.

[9] Gv 14, 15.

[10] Sul contenuto dei primi quattro capitoli di questo sermone, cfr.  De dil. Deo V, 14-15.

[11] Cfr. Introduzione, nota 197.

[12] Sir 2, 1.

[13] Eb 4, 15.

[14] Gb 7, 1.

[15] La tentazione contro la speranza è dovuta all’inaccessibilità, per l’intelligenza dell’uomo viatore, della beatitudine eterna: la vita nella fede è un cammino verso una mèta che per ora è sconosciuta (cfr. Eb 11, 8).

[16] Mt 4, 3.

[17] Mt 4, 9.

[18] Mt 4, 6.

[19] Mt 4, 4.

[20] Mt 4, 9.

[21] Ibid.

[22] Mt 6, 1.

[23] Mt 4, 6.

[24] Mt 4, 6.

[25] Sal 90, 11.

[26] Sal 90, 13.

[27] Pr 1, 17.

[28] Mt 4, 9.

[29] Am 3, 8.

 

 

 


  

 

 

SERMONE QUINDICESIMO

«Perché ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò, perché ha conosciuto il mio nome»

(Sal 90, 14)

 

1. Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò, dice il Signore. Prendete il mio giogo sopra di voi e troverete ristoro per le vostre anime. il mio giogo, infatti, è dolce, e il mio carico leggero [1]. Egli invita gli affaticati al ristoro, stimola gli oppressi al riposo. Ma per ora non toglie il carico e la fatica: piuttosto li cambia in un altro carico, in un’altra fatica, ma in un carico leggero, in un giogo soave, sotto il quale, anche se non sembra, si trova ugualmente riposo e conforto. Un gran peso è il peccato, più grave di quel talento di piombo di cui parla il Profeta [2]. È sotto questo carico che gemeva colui che diceva: Le mie iniquità hanno superato il mio capo, come carico pesante mi hanno oppresso [3]. Qual è dunque il carico di Cristo, il carico leggero? Mi sembra che sia il carico dei suoi benefici. Un carico dolce, ma soltanto per chi lo sente, per chi lo prova. Altrimenti, se lo ignori, se non ci fai caso, diventa ben pesante e pericoloso. L’uomo nel tempo della sua esistenza terrena è un animale da soma. Se porta ancora i suoi peccati, essi sono un peso grave; se ne è stato liberato, il peso è certamente meno grave; tuttavia, se giudica rettamente, troverà che questo stesso sgravio che ho menzionato è un carico non meno pesante di quello dei peccati. Dio ci carica quando ci scarica: quando ci scarica dei nostri peccati ci carica dei suoi benefici. Ecco la voce di chi è carico: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato? [4] Voce di chi è carico è anche questa: Signore, allontanati da me che sono peccatore [5], così com’è voce di chi è carico: Ho sempre temuto Dio come si teme d’essere sommersi dai flutti del mare quand‘è agitato [6]. Sempre, dice Giobbe, ho temuto: sia prima, sia anche dopo aver ottenuto il perdono dei peccati. Felice l’uomo che teme sempre e non è meno angustiato dalla preoccupazione di essere sommerso dai benefici che dai peccati.

 

2. A dire il vero, è per stimolarci alla riconoscenza e per invitarci all’amore che ci viene ricordata la liberalità divina così premurosa e così ricca. Ai suoi angeli ha dato per te quest’ordine: di custodirti in tutte le tue vie [7]. Che altro poteva farti che non abbia fatto? Capisco ciò che pensi, o nobile creatura. Tu gusti l’amicizia degli angeli del Signore, ma brami di possedere lo stesso Signore degli angeli. Non contento dei suoi messaggeri, tu preghi e desideri che colui che un tempo parlava per mezzo dei suoi ministri si faccia presente a te e ti baci non per mezzo d’altri, ma con il bacio della sua bocca [8]. Hai sentito che dovrai camminare sopra l’aspide e il basilisco, sopra il leone e sopra il drago, e non ignori la vittoria di Michele e dei suoi angeli sul drago. Tuttavia non è a Michele, ma al Signore, che è rivolto il grido dei tuoi desideri: Liberami, mettimi accanto a te e venga pure chiunque a combattere contro di me [9]. Questo non è soltanto afferrare un riparo più alto degli altri, ma addirittura il più alto di tutti, cosicché colui che dice: O Signore, tu sei la mia speranza, giustamente si senta rispondere: Hai posto il tuo rifugio nel luogo più alto [10].

 

3. Il Signore, che è pietà e tenerezza, non disdegna di essere la speranza dei miseri, non ricusa di farsi il liberatore e il protettore di quelli che sperano in lui. Perché ha sperato in me, egli dice, lo libererò; lo proteggerò perché ha conosciuto il mio nome [12]. Effettivamente, se il Signore non custodisce la città, invano veglia il custode [12], sia questi un uomo oppure un angelo. I monti cingono Gerusalemme, ma questo sarebbe poco, anzi niente del tutto, se non ci fosse anche il Signore intorno al suo popolo. Per questo si dice giustamente nel Cantico dei Cantici che la sposa, pur avendo trovato le guardie — anzi essendo stata trovata da esse, perché lei non le cercava —, non si è fermata né si è contentata di loro, ma essendosi brevemente informata dell’amato, volò in gran fretta verso di lui. Il suo cuore infatti era pieno di fiducia non nelle guardie, ma nel Signore, e se mai qualcuno l’avesse consigliata diversamente, avrebbe risposto: Nel Signore ho fiducia; perché dite all’anima mia: Fuggi come un passero verso il monte? [13]. I Corinzi non hanno tenuto questa condotta accorta, quando, quasi offendendo alcune delle guardie, si fermarono senza oltrepassarle dicendo: Io sono di Cefa, io invece di Paolo, e io di Apollo [14]. Ma che cosa hanno fatto quelle guardie così modeste e così circospette? Esse, santamente gelose di una gelosia divina, non potevano appropriarsi della sposa, avendola promessa a un unico sposo per presentarla quale vergine casta a Cristo. Mi hanno percossa, mi hanno ferita [15], dice la sposa. Perché lo hanno fatto? Se non erro, per spronarla ad andare oltre, affinché potesse poi trovare l’amato. Anzi, mi han tolto anche il mantello [16] aggiunge essa, indubbiamente perché potesse correre più spedita. E bisogna osservare con quanta forza l’Apostolo colpisce e con quali frecce ferisce coloro che avevano deviato verso le guardie: Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati? [17] E ancora: Quando uno dice: Io sono di Paolo, e un altro: Io sono di Apollo, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri di Colui nel quale avete creduto [18]. Perché ha sperato in me, lo libererò [19]. Non nelle guardie, non negli uomini, non negli angeli, ma in me ha sperato, aspettando soltanto da me ogni bene, anche quello che pur ha ricevuto da loro. Infatti ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto e discende dal Padre delle luci [20]. Si deve a me se la vigilanza degli uomini sulla condotta esteriore dei loro sudditi ha buon effetto, poiché sono io che ho assegnato loro degli uomini come custodi. È per mio ordine che gli angeli vegliano come sentinelle per osservare i movimenti più nascosti dell’anima, e specialmente per ispirare quelli buoni e per respingere gli istigatori maligni di cattive suggestioni. Ma la custodia dell’intenzione nel suo arcano più segreto non soltanto deve derivare da me, ma bisogna che la compia io personalmente, perché là dentro non può penetrare né l’occhio umano, né quello angelico [21].

 

4. Prendiamo atto, fratelli, di queste tre specie di custodi e comportiamoci verso ognuno di essi come si deve. Comportiamoci bene davanti agli uomini, davanti agli angeli, davanti a Dio. Sforziamoci di piacere a tutti loro, in tutte le cose, ma specialmente a colui che è al di sopra di tutte le cose. Cantiamo a lui davanti agli angeli, affinché in essi si compia a nostro riguardo ciò che sta scritto: Quelli che ti temono mi vedranno e si rallegreranno, perché io ho riposto ogni mia speranza nelle tue parole [22]. Obbediamo ai nostri capi perché essi vegliano su di noi come chi ha da rendere conto delle nostre azioni, affinché non lo facciamo gemendo. E in verità — per grazia di Dio, dal quale solamente deriva questo dono — a tale riguardo non ho da farvi molte raccomandazioni, né ho da essere molto preoccupato per voi. Qual è infatti il motivo della mia gioia e della mia gloria se non la vostra obbedienza pronta e la vostra condotta irreprensibile? E quanto più grande ancora non sarebbe questa mia gioia se fossi sicuro che neppure gli angeli vedono in voi alcunché di disdicevole, e che presso nessuno di voi sta nascosto alcunché dell’anatema di Gerico [23], che nessuno mormora, nessuno fa della maldicenza in segreto, nessuno agisce con ipocrisia o con rilassatezza, oppure rivolge nella mente pensieri vergognosi dai quali, ahimè, talvolta suole essere turbato anche lo stesso corpo? Questo mi porterebbe certamente un grande aumento di gioia, ma non ancora la sua pienezza. Infatti, non siamo ancora così perfetti da non tenere in nessun conto l’essere giudicati dagli uomini, meno ancora da non essere noi stessi consapevoli di colpa alcuna. Ché, se anche i perfetti temono il giudice che scruta gli angoli più occulti del nostro animo, quanto più dobbiamo tremare noi al ricordo di quel giudizio! Oh! Se potessi essere certo che in tutti noi non c’è nulla che possa offendere quell’occhio che solo conosce perfettamente ciò che è nell’uomo e che vede anche ciò che l’uomo stesso non vede in sé! Meditiamo con la massima serietà questo giudizio, fratelli, e consideriamolo con timore e tremore tanto più frequentemente quanto meno riusciamo a comprendere l’abisso impenetrabile dei giudizi di Dio e le sue irrevocabili decisioni. È con questo timore che la speranza diviene meritoria, è con esso che si spera con frutto.

 

5. Se si osserva attentamente, si capisce che proprio il timore è un fondamento solidissimo ed efficace di speranza. Questo timore, infatti, è uno dei più grandi doni di Dio, e il fatto che riceviamo le sue grazie nella vita presente ci conferma nella speranza dei beni futuri. Infine, il Signore si compiace di chi lo teme [24], e vi è vita nella sua benevolenza [25], e nel suo beneplacito salvezza eterna. Io lo libererò, perché ha sperato in me [26]. Liberalità dolcissima il non deludere coloro che sperano in lui! Tutto il merito dell’uomo sta nel porre l’intera sua speranza in colui che ha salvato tutto l’uomo: In te hanno sperato i nostri padri, hanno sperato e tu li hai liberati; a te gridarono e furono salvati, sperando in te non rimasero delusi [27]. Chi, infatti, ha confidato in lui ed è rimasto deluso? [28] Confida sempre in lui, o popolo [29]. Ogni luogo che la pianta del vostro piede calcherà, sarà vostro [30]. Il vostro piede è la vostra speranza. Essa otterrà tutto quello che vorrà purché si fissi tutta su Dio, restando salda senza vacillare. Perché temere l’aspide o il basilisco? Perché aver paura del ruggito del leone e del sibilo del drago? [31]

 

6. Perché ha sperato in me, lo libererò. E per di più, dopo che è stato liberato, affinché non sia più assalito, affinché non abbia più bisogno di essere liberato, lo proteggerò [32] e lo conserverò, ma a condizione che conosca il mio nome e non attribuisca a sé la sua liberazione, ma dia gloria al mio nome. Lo proteggerò perché ha conosciuto il mio nome [33]. La glorificazione ci sarà data nella presenza del suo volto, invece la protezione nella conoscenza del suo nome. Il fondamento della speranza sta nella conoscenza del nome di Dio, il suo contenuto, invece, si trova nella sua visione. Infatti, ciò che si spera, se visto, non è più speranza [34]. La fede giunge attraverso l’udito ed è, come dice lo stesso Apostolo, fondamento delle cose che si sperano [35]. Lo proteggerò perché ha conosciuto il mio nome [36]. Non conosce il suo nome colui che né lo onora come Padre, né lo teme come Signore. Non conosce il suo nome colui che volge le sue affezioni a cose vane e a folli stoltezze. Beato l’uomo che ha posto la sua speranza nel Signore, e non fissa lo sguardo sulle cose vane e su folli stoltezze [37]. Pietro aveva conosciuto questo nome quando diceva: Non vi è infatti altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere salvati [38]. Noi pure, se conosciamo il nome santo che è stato invocato sopra di noi, dobbiamo desiderare che esso sia sempre santificato dentro di noi e, secondo l’insegnamento del Salvatore, pregare così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome [39]. Finalmente, senti che cosa segue nel Salmo: Alzerà verso di me il suo grido, e io lo esaudirò [40]. Ecco il frutto della conoscenza del nome: il grido della preghiera; e poi il frutto del grido: l’ascolto da parte del Salvatore. Infatti, come poteva il Salmista essere esaudito senza pregare, e come poteva pregare senza conoscere il nome del Signore? Sia ringraziato colui che ha manifestato agli uomini il nome del Padre e che ha stabilito il frutto della salvezza nella sua invocazione, così com’è scritto: Chi invocherà il nome del Signore sarà salvo [41].

 

NOTE

[1] Mt 11, 28-30.

[2] Zc 5, 7.

[3] Sal 37. 5.

[4] Sal 115, 12.

[5] Lc 5, 8.

[6] Gb 31, 23.

[7] Sal 90, 11.

[8] Cfr. Introduzione, pp. LXVII-LXVIII.

[9] Gb 17. 3.

[10] Sal 90, 9.

[11] Sal 90 14.

[12] Sal 126, 1.

[13] Sal 10, 2.

[14] 1Cor 1, 12.

[15] Ct 5, 7.

[16] Ibid.

[17] 1Cor 1, 13.

[18] 1Cor 3, 4-5.

[19] Sal 90, 14.

[20] Gc 1, 17.

[21] Cfr. De consid. 5, V, 12. Vedi anche Introduzione, nota 244.

[22] Sal 118, 74.

[23] Cfr. Gs 6, 18.

[24] Sal 146, 11.

[25] Sal 29, 6.

[26] Sal 90, 14.

[27] Sal 21, 5-6.

[28] Sir 2, 11.

[29] Sal 61, 9.

[30] Dt 11, 24.

[31] Cfr. QH 14, 9.

[32] Sal 90, 14.

[33] Ibid.

[34] Rm 8, 24.

[35] Eb 11, 1.

[36] Sal 90, 14.

[37] Sal 39, 5.

[38] At 4, 12.

[39] Mt 6, 9.

[40] Sal 90, 15.

[41] Gl 2, 32. Per Bernardo “conoscere il nome dei Signore” significa riferire a Dio ogni successo, temerio, adempiere ia sua volontà, pregare professando nella preghiera ia sua infinita potenza e bontà.

 

 


 

 

 

SERMONE SEDICESIMO

«Ha gridato a me e io lo esaudirò: sono con lui nella tribolazione, lo libererò e lo glorificherò»

(Sal 90, 15)

 

1. Ha gridato a me e io lo esaudirò. Questo è davvero un testamento di pace, un’ alleanza di bontà, un patto di misericordia e di compassione. Ha sperato in me e io lo libererò, ha conosciuto il mio nome e lo proteggerò, ha gridato a me e lo esaudirò. Non dice: «Era degno, era giusto e retto, le sue mani erano innocenti e il suo cuore puro: per questo lo libererò, lo proteggerò, lo esaudirò». Se il Signore parlasse così o in maniera simile, chi non si perderebbe d’animo? Chi può gloriarsi di avere il cuore puro? [1] Invece presso di te è la misericordia e per questa tua legge ti ho atteso, o Signore [2]. Dolce questa legge che mette il merito dell’esaudimento nel grido della domanda. Ha gridato a me, egli dice, e io lo esaudirò. Giustamente non è esaudito colui che trascura di gridare o non chiedendo nulla, oppure chiedendo con tiepidezza e negligenza. Poiché negli orecchi di Dio un desiderio ardente è un grido forte, mentre un desiderio languido è una voce sommessa. Quand’è che il grido penetrerà le nubi? Quando sarà ascoltato nel cielo? Perché colui che prega sappia che deve gridare, è avvertito subito, all’inizio stesso della sua preghiera, che il Padre al quale sta per rivolgerla dimora nel cielo, affinché si ricordi che deve lanciarla lassù, pari a una freccia, con uno sforzo potente dello spirito. Dio è spirito [3], e chiunque desidera che il suo grido lo raggiunga deve gridare con lo spirito. Infatti, colui al quale diciamo giustamente: Dio del mio cuore [4], come non guarda l’esterno alla maniera degli uomini ma scruta il cuore, così tende i suoi orecchi alla voce del cuore piuttosto che a quella delle labbra. Per questo Mosè, anche tacendo con le labbra, fece udire il grido del cuore. Il Signore infatti gli dice: Perché gridi verso di me? [5]

 

2. Ha gridato a me e io lo esaudirò. Non senza motivo ha gridato a Dio. È la grandezza dell’avversità che gli ha strappato un grido così grande. Infatti, che cosa ha chiesto con esso se non la consolazione, la liberazione, la glorificazione? Altrimenti, com’è che viene esaudito in queste domande se ha chiesto altre cose? Lo esaudirò, dice. In che cosa o in quali cose lo esaudirai, o Signore? Sono con lui nella tribolazione, lo libererò e lo glorificherò. Io penso che questo triplice intervento divino debba riferirsi al solenne triduo sacro che ormai stiamo per celebrare 6 Anche il Signore, infatti, ha sofferto tribolazioni e affanni quando, in cambio della gioia che gli era posta innanzi, si sottopose alla croce, disprezzando l’ignominia [7]. Tuttavia gli avvenimenti della passione che lo riguardavano, com’egli predisse prima di morire, ebbero termine, e, secondo ciò che disse morendo, tutto fu compiuto [8]. Da quel momento, entrò nel riposo del sabato. Ma la gloria della risurrezione non si fece attendere: al terzo giorno, di buon mattino, il Sole di giustizia si levò per noi dal sepolcro. Così il frutto della tribolazione e la verità della liberazione si sono manifestati insieme nella gloria della risurrezione. Un triduo simile al suo sembra che possa applicarsi anche a noi. Sono con lui nella tribolazione, dice il Signore. Quando, se non nel giorno della nostra tribolazione, nel giorno della nostra croce, quando in noi si compie quello che ha detto lui stesso: Voi avrete tribolazione nel mondo [9] e quello che ha detto il suo Apostolo: Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù, saranno perseguitati [10]? Infatti, prima del giorno della nostra sepoltura non potrà aver luogo per noi una liberazione piena e perfetta, perché un giogo pesante grava sui figli di Adamo, dal giorno della loro nascita dal grembo materno al giorno della sepoltura nella madre comune [11]. È in questo giorno solamente che io lo libererò, dice il Signore, quando cioè il mondo non potrà fare più nessun male, né al corpo, né all’anima. La glorificazione, poi, è riservata all’ultimo giorno, quello della risurrezione, quando il corpo che ora si semina ignobile risorgerà glorioso [12].

 

3. Ma come veniamo a sapere che egli è con noi nella tribolazione? Dal fatto stesso che perseveriamo in essa. Chi, infatti, potrebbe sostenere, tener duro, persistere senza di lui? [13] Consideriamo perfetta letizia, fratelli miei, quando subiamo ogni sorta di prove, non soltanto perché è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio [14], ma anche perché il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito [15]. Se dovrò camminare in mezzo all‘ombra della morte, dice uno, non temerò alcun male, perché tu sei con me [16]. Così dunque egli è con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo. E quand’è che noi saremo con lui? Per certo quando saremo rapiti, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore [17]. Quando saremo manifestati con lui nella gloria? Quando si manifesterà Cristo che è la nostra vita. Ma per ora è necessario che la nostra gloria resti nascosta, bisogna che la tribolazione preceda la liberazione e la liberazione la glorificazione. Ecco la voce di uno che è stato liberato: Ritorna, anima mia, alla tua pace, perché il Signore ti ha beneficato; egli ha liberato la mia anima dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta [18].

Lo libererò e lo glorificherò. Beato colui che, per ora, possiede te come suo aiuto e come suo conforto, aiuto nel tempo del bisogno, nella tribolazione [19]. Ma quanto più beato colui che tu hai già strappato e liberato da tanti mali! Quanto più beato colui che è stato liberato dal laccio dei cacciatori e che ormai è stato rapito, perché la malizia non ne muti i sentimenti, o l’inganno non ne travii l’animo [20]! E infinitamente più beato colui che avrai accolto presso dite, colui che avrai colmato con i beni della tua casa, colui che avrai trasfigurato anche nel corpo a somiglianza del tuo splendore!

 

4. E ora, figlioli, gridiamo verso il cielo e il Signore avrà pietà di noi. Gridiamo verso il cielo perché sotto il cielo tutto è fatica e dolore, tutto è vanità e afflizione di spirito. E poi, il cuore dell’uomo è malvagio e inscrutabile, e i suoi pensieri inclinati al male. In me, cioè nella mia carne, non abita il bene. È la legge del peccato che abita in essa e che muove guerra alla legge dello spirito. Inoltre, il mio cuore mi è venuto meno [21] e il corpo è morto a causa del peccato [22]. Ciascun giorno ha abbastanza della sua pena e il mondo giace tutto sotto il potere del maligno. Com’è malvagio questo mondo in tutte le cose! Con quanta perversità i desideri mondani fanno guerra all’anima! Vi sono poi anche i dominatori di questo mondo di tenebra, gli spiriti del male, le potenze dell’aria e, fra di esse, il serpente, il più astuto di tutti gli animali. Tutto questo si trova sotto il sole, tutto questo sotto il cielo. In quale di tutte queste cose puoi tu trovare rifugio? In quale di esse speri tu di trovare un po’ di conforto e un p0’ di aiuto? Se lo cerchi dentro dite, il corpo corruttibile appesantisce l’anima [23] Se intorno a te, la dimora terrestre deprime lo spirito dai molti pensieri [24]. Cercalo allora sopra di te, ma stai bene attento a oltrepassare le schiere che abitano nell’aria25. Sapendo, infatti, che ogni buon regalo e ogni dono perfetto non può venire se non dall’alto, essi si tengono fra cielo e terra come ladri appostati in mezzo alla strada. Allora scavalca, scavalca quegli spiriti maligni che sono sempre in agguato per controllare e osservare instancabilmente il passaggio, affinché nessuno possa evadere verso quella città beata. Se ti avranno percosso o ferito, lascia loro il mantello che una volta Giuseppe in Egitto lasciò nelle mani dell’adultera, lascia il lenzuolo, come quel giovane del Vangelo, per poter fuggire via libero da loro. Forse che è stato dato nelle mani di Satana solamente il mantello di colui nei cui riguardi il Signore dice: Risparmia soltanto la sua vita [26]?

Dunque, in alto il cuore, in alto il grido, in alto i desideri, in alto la vita, in alto la tensione del cuore e ogni tua attesa venga dall’alto. Alza la voce verso il cielo per essere esaudito e perché il Padre che è nei cieli ti mandi l’aiuto dal suo santuario e dall’alto di Sion ti protegga [27]. Finché vivi, egli ti venga in aiuto nella prova, poi ti liberi dalla tribolazione, e ti glorifichi nella risurrezione. Cose grandi sono queste, ma sei tu, o grande Signore, che ce le hai promesse. Noi speriamo nella tua promessa. Per questo osiamo dire: “Se gridiamo con cuore pio, per certo ci sei debitore sulla tua parola. Amen” [28].

 

 NOTE

[1] Pr 20, 9.

[2] Sal 129, 4.

[3] Gv 4, 24.

[4] Sal 72, 26.

[5] Es 14, 15. Cfr. Introduzione, p. LXVIII.

[6] Cfr. Introduzione, pp. L-LI. LXVIII-LXIX.

[7] Eb 12, 2.

[8] Gv 19, 30.

[9] Gv 16, 33.

[10] 2Tm 3, 12.

[11] Sir 40, 1.

[12] Se con la morte cessa ogni sofferenza, la glorificazione piena per Bernardo è rimandata alla fine dei tempi. L’uomo infatti non è un’unione accidentale di due sostanze diverse, ma trova la sua verità piena quando all’anima si riunisce il corpo glorificato.

Inoltre, per la sensibilità ecclesiale di Bernardo, l’anima individuale è sposa del Verbo nella Chiesa e attraverso di essa, che è la Sposa in senso primario e proprio, per cui non può entrare “ad nuptias” prima che vi sia entrato tutto il corpo ecclesiale: cfr. In fest. omnium Sanctorum 3, 1. Vedi H. DE LUBAC, Cattolicismo, Roma 1948, 104.

[13] Cfr. QH, Praef., 1.

[14] At 14 21.

[15] Sal 33 19.

[16] Sal 22, 4.

[17] 1Ts 4 17.

[18] Sal 114 7-8.

[19] Sal 9, 10.

[20] Sap 4, 11.

[21] Sal 39, 13.

[22] Rm 8, 10.

[23] Sap 9, 15.

[24] Ibid.

[25] Cfr. nota 8 al sermone I.

[26] Gb 2 6.

[27] Sal 19, 3.

[28] Inno Summi largitor praemii, vv. 11-12, cantato dai Cistercensi a Compieta nel tempo quaresimale.

 

 

 


 

 

 

SERMONE DICIASSETTESIMO

«Lo colmerò di lunghezza di giorni e gli mostrerò la mia salvezza [1]»

(Sal 90, 16)

 

1. Ci capita una buona combinazione, fratelli, perché questo versetto del Salmo si adatta perfettamente al tempo liturgico nel quale ci troviamo. Fra breve celebreremo la Risurrezione del Signore e già fin d’ora è promessa a ognuno di noi la propria risurrezione, affinché le membra ricordino con maggiore giubilo, come già compiuto nel capo, ciò che attendono con ansia doversi un giorno compiere in esse. Come termina bene questo Salmo, quando a chi salmeggia è promessa una fine così beata! Lo si termina con gioia, quando in esso si promette una pienezza così lieta. Lo colmerò di lunghezza di giorni, dice il Signore, e gli mostrerò la mia salvezza [2]. Quante volte, fratelli, vi ricordo che, secondo il detto di Paolo, la pietà porta con sé la promessa della vita presente e quella della vita futura. Per cui lo stesso Apostolo dice: Avete ora per vostro frutto la santificazione e per fine la vita eterna [3]. Ecco la pienezza che è promessa in questo passo, ecco la pienezza di giorni. E che cosa è tanto lungo come quello che non finisce mai? È un buon fine la vita eterna, un buon fine quello che non ha fine. In effetti, quello che finisce bene è bene anche in se stesso. Lavoriamo allora per la nostra santificazione, perché essa è buona e perché termina in una vita senza fine. Cerchiamo la santità e la pace, senza la quale nessuno potrà vedere Dio. Lo colmerò di lunghezza di giorni e gli mostrerò la mia salvezza. Questa promessa viene dalla destra di Dio, è il dono di quella destra che una volta un Santo desiderava gli fosse pòrta: Tu porgerai la tua destra, egli dice, all’opera delle tue mani [4]. Delizie eterne in questa destra. Anche colui del quale il Salmista dice: Vita ti ha chiesto, e tu gli hai concesso lunghi giorni in eterno, senza fine [5] desiderò e ottenne che gli fosse data questa destra. Il Saggio ha detto ancora più chiaramente: Nella sua destra lunghezza di giorni e nella sua sinistra ricchezza e onore [6]. Chi è che brama la vita e desidera di vedere dei giorni felici? [7] In realtà, questa vita che viviamo è più morte che vita, non è una vita in senso pieno, ma è una vita mortale. Quando siamo sicuri che uno sta avvicinandosi alla morte diciamo che muore. E che cosa facciamo noi dal principio della nostra esistenza se non avvicinarci alla morte e incominciare a morire? Inoltre anche i giorni di questa vita, quali che siano, sono pochi e cattivi, come dice il santo Patriarca [8]. Si vive veramente soltanto là dove la vita è viva e vitale. I giorni felici si trovano solamente là dove essi durano per sempre. Sia ringraziato colui che dispone tutto non solo con forza, ma anche con dolcezza, perché la pochezza di quei giorni dei quali ciascuno ha la sua pena passa ben presto, mentre là dove i giorni sono felici vi sarà anche l’eternità.

 

2. Lo colmerò di lunghezza di giorni. Di ciò che prima il Signore aveva detto con le parole: Lo glorificherò, ora in questo versetto spiega chiaramente il significato. E chi non sarebbe contento di essere glorificato da colui le cui opere sono perfette? La

sua così grande immensità non può glorificare nessuno se non in grado immenso. Una glorificazione che proviene da una gloria così magnifica dev’essere necessariamente grande. Voce rivolta dalla maestosa gloria [9], dice Pietro. Davvero gloria magnifica quella gloria che glorifica così magnificamente per sempre, con tanta varietà e in pienezza di splendore. Invece, fallace è la gloria di questo mondo, vano il suo splendore, breve il giorno degli uomini. Chi è saggio non desidererà nulla di tutto questo, ma piuttosto, dal fondo del suo cuore, dirà a colui che vede nel cuore: E non ho desiderato il giorno dell’uomo, tu lo sai [10]. Per me, io desidero qualche cosa di ben più grande di quello che desidera l’uomo carnale. Questo, anzi, non voglio neppure riceverlo. Infatti, so bene chi sia colui che dice: Io non ricevo gloria dagli uomini [11]. Quanto siamo miserabili noi che cerchiamo la gloria che gli uomini si danno l’un l’altro e non vogliamo quella che soltanto Dio può darci! Infatti quella di cui facciamo poco conto è eterna e perfetta. Brevi sono i giorni dell’uomo. Il suo giorno fiorirà come l’erba del campo [12]. Secca l’erba, appassisce il fiore, dice il Profeta, ma la parola del Signore dura sempre

Il vero giorno è quello che non conosce tramonto, quello dell’eterna verità, della vera eternità e, perciò, della vera ed eterna sazietà [14]. Poiché, come potrebbe saziare quella gloria che è vana e fallace? Anzi, la si dice anche vuota, perché tu sappia che da essa puoi essere ancora più svuotato e mai saziato. Perciò, durante questa vita, è l’umiliazione che è un bene e non l’esaltazione. l’avversità e non il piacere, perché, dovendo l’una e l’altra durare poco, questa ti causerà pena e quella ti procurerà la corona [15].

 

3. La tribolazione, utile perché produce la virtù provata, conduce alla gloria. Con lui sono nella tribolazione. lo libererò e lo glorificherò [16]. Ringraziamo il Padre delle misericordie che è con noi nella tribolazione e ci dà conforto in tutte le nostre pene. Infatti, come ho detto, è una cosa necessaria la tribolazione che si cambia in gloria, la tristezza che si muta in gioia, e in una gioia così lunga da non poter essere rapita da nessuno, in una gioia molteplice, in una gioia piena. È cosa necessaria l’avversità di questa vita che produce la corona. Non facciamone poco conto, fratelli: il seme è piccolo, ma esso produrrà poi un gran frutto. Sarà forse un seme insipido, forse sarà acerbo, forse un grano di senapa. Non fermiamo lo sguardo su quello che di esso si vede, ma su quello che non si vede, perché le cose visibili sono di un momento, quelle invisibili sono eterne [17]. Pregustiamo le primizie della gloria, gloriamoci nella speranza di partecipare alla gloria del grande Iddio. E non solo questo, ma, per parlare più chiaramente, gloriamoci della tribolazione perché è in essa che risiede la speranza della gloria. Vedi se l’Apostolo non ha voluto insegnarti proprio questo aggiungendo che la tribolazione produce la pazienza con quello che segue [18]. È chiaro che egli, avendo detto poco prima che ci gloriamo nella speranza, non ha inteso dire qualche cosa di diverso, ma qualche cosa di più aggiungendo: E non soltanto questo, ma ci vantiamo anche nelle tribolazioni. Infatti, non è che venga proposto un altro motivo di vanto, ma piuttosto si spiega dove si fonda la speranza della gloria, dove va ricercato il vanto della speranza. Sì! La speranza della gloria è riposta nella tribolazione, anzi la gloria stessa è contenuta nella tribolazione, proprio come la speranza del frutto è riposta nel seme e come in esso è contenuto il frutto. Anche il regno di Dio è dentro di noi in questo modo, tesoro immenso in un vaso di argilla, in un campo povero. Dico che è in noi, ma nascosto. Beato colui che lo avrà trovato dentro di sé. E chi sarà costui? Certamente colui che avrà pensato più alla messe che alla semente. È l’occhio della fede che trova questo tesoro, quell’occhio che non giudica secondo l’apparenza. ma vede ciò che non appare e contempla quello che non si vede. Come ha trovato davvero questo tesoro, desideroso che fosse trovato anche dagli altri, colui che diceva: Il momentaneo, leggero peso della nostra tribolazione ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria [19]. Non ha detto «ci procurerà», ma: Ci procura una quantità smisurata ed eterna di gloria. La gloria, fratelli miei, non appare, ci sta nascosta nella tribolazione: in questa durata di un momento sta nascosta l’eternità, in questa pena così leggera è contenuto un peso sublime e che supera ogni misura. Allora, finché siamo quaggiù, affrettiamoci a comprare questo campo, ad acquistare questo tesoro che è nascosto nel campo. Consideriamo perfetta letizia quando subiamo ogni sorta di prove. Diciamo con il cuore, diciamo anche con le parole: È meglio andare in una casa in pianto che in una casa in festa [20].

 

4. Io sono con lui nella tribolazione, dice Dio. Allora, andrò io in questa vita alla ricerca d’altro che della tribolazione? [21] Il mio bene è stare vicino a Dio, non solo, ma anche porre nel Signore la mia speranza [22], perché egli dice: Lo libererò e lo glorificherò. Sono con lui nella tribolazione [23]. Io pongo le mie delizie nell ‘essere tra i figli dell’uomo [24]. Egli è l’Emmanuele, il Dio con noi. Ti saluto, o piena di grazia, dice l’Angelo a Maria, il Signore è con te [25]. Egli è con noi in pienezza di grazia, noi saremo con lui in pienezza di gloria. È disceso dal cielo per essere accanto a quelli che hanno il cuore ferito, per essere con noi nelle nostre pene. Ma dopo accadrà che noi saremo rapiti nelle nuvole per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore [26], a condizione che ora cerchiamo di averlo con noi, affinché colui che ci darà in premio la patria adesso ci sia compagno sulla via, o, meglio ancora, ora ci sia via colui che un giorno ci sarà patria. Essere tribolato, purché tu mi stia accanto, Signore, per me è meglio che regnare senza dite, che godere della gloria senza dite. Meglio per me abbracciarti nella tribolazione, averti con me nel crogiolo, che essere senza dite anche in cielo. Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra [27]. La fornace prova l’oro e la tribolazione gli uomini giusti [28]. Là, là tu sei con loro, o Signore, là tu stai in mezzo a coloro che sono uniti nel tuo nome, come una volta ti sei degnato di mostrarti fra i tre fanciulli anche a un pagano, tanto che egli disse: Il quarto è simile nell’aspetto a un figlio di Dio [29]. Perché trepidare, perché indugiare, perché fuggire questa fornace? Sì, il fuoco infierisce, ma nella tribolazione c’è il Signore con noi. Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? [23]. Inoltre, se egli anche ci libera, chi potrà strapparci dalle sue mani? Chi potrà rapirci dalla sua mano? E, finalmente, se è lui che glorifica, chi potrà gettare nell’ignominia? Se è lui che glorifica, chi umilierà?

 

5. Ma senti, infine, con quale gloria egli glorificherà: lo colmerò, dice, di lunghezza di giorni. E, prima di tutto, usando il plurale per indicare i giorni, ha voluto rilevare non già un qualche loro avvicendamento, bensì il loro grande numero. Perché, se tu pensassi a una successione, dovresti ricordare che un giorno negli atri del Signore è più che mille altrove. Noi leggiamo che anche oggi uomini santi e perfetti sono usciti da questa vita pieni di giorni, cioè, secondo la nostra interpretazione, pieni di virtù e pieni di grazie. Infatti, per raggiungere tale pienezza si trasfigurarono passando di giorno in giorno, di splendore in splendore, non già sotto l’azione del proprio spirito, ma dello Spirito del Signore. Se dunque la grazia è chiamata giorno, se, come abbiamo ricordato sopra, anche lo splendore che deriva dall’uomo e la gloria così poco brillante che gli uomini si scambiano l’un l’altro è detta giorno dell’uomo, quanto più si dovrà chiamare giorno vero, anzi, perfetto meriggio la pienezza della vera gloria?

Se poi diciamo che le grazie così diverse distribuite da Dio sono come numerosissimi giorni, non si potrà forse considerare quella molteplice gloria come una moltitudine di giorni? Ma ascolta, infine, come si tratti di una moltitudine di giorni senza vicissitudine: La luce della luna sarà come la luce del sole, dice il Profeta, e la luce del sole sarà sette volte di più come la luce di sette giorni [31]. Se non sbaglio, è proprio durante tutti questi giorni della sua vita che il pio Re desiderava di cantare i suoi salmi nella casa del Signore [32]. Infatti, essere riconoscenti a Dio per i singoli doni che formano una gloria così grande e così multiforme, e in ogni cosa rendere grazie, sarà come un cantare salmi al suo nome per tutta la lunghezza dei giorni.

 

6. Lo colmerò di lunghezza di giorni. È come se dicesse in termini più chiari: So che cosa desidera, so di che ha sete, so che cosa gusta. Non è nell’argento o nell’oro, non è nei piaceri, non è nella curiosità, non è in qualche dignità mondana che egli trova il suo gusto. Ha reputato tutto come perdita, disprezza tutto, considera tutto come spazzatura. Si è spogliato completamente e non è più capace di interessarsi di ciò che sa che non può saziano. Non ignora a immagine di chi è stato creato e di quale grandezza è capace, e non accetta di crescere in quello che vale poco per subire diminuzione in quello che ha un prezzo immenso. Allora io colmerò di lunghezza di giorni colui che non può essere saziato se non dalla luce vera, né riempito se non dai beni eterni, perché quella durata non ha termine, quello splendore non ha tramonto, quella sazietà non genera fastidio. Vi sarà sicurezza per l’eternità, gloria per la verità, esultanza per la sazietà. E gli mostrerò la mia salvezza. Cioè, da quel momento in poi, meriterà di vedere quello che ha tanto desiderato, quando il Re della gloria si fa comparire davanti la Chiesa gloriosa senza macchia per lo splendore del giorno e anche senza ruga per la sua perfetta pienezza [33]. Altrimenti, come non può elevarsi alla visione del fulgore di quella luce chi non è puro, così non può vederlo l’animo che è anche leggermente inquieto e turbato. Per questo, come ho ricordato sopra, ci è comandato di cercare la santità e la pace anche adesso, perché senza di esse nessuno può vedere Dio. Quando dunque egli avrà saziato di beni il tuo desiderio tanto che non ti rimane più nulla da desiderare e avrai l’animo perfettamente tranquillizzato per questa stessa pienezza, allora, divenuto simile a lui perché lo vedrai come egli è, ti sarà ormai possibile contemplare quella divina serenità, quella pienezza di maestà. Oppure, le parole e gli mostrerò la mia salvezza si possono riferire anche a questo: che il felicissimo abitante di quella deliziosissima eternità, pieno di tutta la gloria in se stesso, contemplerà anche fuori di sé tutt’intorno l’opera salvifica compiuta da Dio e la terra piena della sua maestà. L’aggiunta e gli mostrerò la mia salvezza potrà forse riferirsi anche a questo.

 

7. Ma, se si preferisce, potremmo interpretare il testo anche in questo modo, cioè che Dio manifesta i giorni che aveva promesso in questa manifestazione della salvezza. Lo colmerò, dice, di lunghezza di giorni. E come se tu chiedessi come mai possono esistere quei giorni in una città della quale si legge che in essa di giorno non risplende il sole, perché non vi è notte, egli ti risponde: Gli mostrerò la mia salvezza, perché, secondo quello stesso brano della Scrittura, la sua lampada è l’Agnello [34]. Gli mostrerò la mia salvezza, cioè non lo istruirò più nella fede, non lo eserciterò più nella speranza, ma lo riempirò con la visione. Gli mostrerò la mia salvezza: gli mostrerò il mio Gesù [35], affinché ormai veda in eterno colui nel quale ha creduto, colui che ha amato, colui che ha sempre desiderato. Mostraci, o Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza [36]. Mostraci, Signore la tua salvezza e questo ci basta. Infatti, colui che la vede, vede anche te, perché essa è in te e tu sei in essa. Questa è la vita eterna, che conosciamo te unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo [37]. E allora, Signore, lascerai che il tuo servo si stabilisca nella pace secondo la tua parola, quando i miei occhi avranno veduto la tua salvezza, Gesù Cristo Signore nostro, egli che è sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli.

 

NOTE

[1] In questo sermone riecheggiano i temi essenziali di tutta la serie. La pietà, sinonimo di vita monastica, conduce alla santificazione; nella santificazione è contenuta in germe la vita eterna, condivisione della vita divina e della gloria di Cristo Salvatore, che rifulge come mèta suprema della speranza e del desiderio del monaco e del cristiano. Ancora una volta la fedeltà alle austerità della vita cistercense è presentata come fondamento di questa speranza e pegno della presenza del Signore, adombrata nella presenza di un essere divino accanto ai tre giovani nella fornace.

[2] Sal 90, 16.

[3] Rm 6, 22.

[4] Gb 14, 15.

[5] Sal 20, 5.

[6] Pr 3, 16.

[7] Sal 33, 13.

[8] Si tratta di Giacobbe: cfr. Gen 47, 9.

[9] 2Pt 1, 17.

[10] Ger 17, 16.

[11] Gv 5, 41.

[12] Sal 102, 15.

[13] Is 40, 8.

[14] Su questa e su altre espressioni di sapore agostiniano in questo sermone, cfr. Introduzione, pp. LXX-LXXI.

[15] Cfr. RB VII. 33.

[16] SaI 90, 15.

[17] 2Cor 4, 18.

[18] Rm 5, 3.

[19] 2Cor 4, 17.

[20] Qo 7, 3.

[21] Cfr. QH Praef, 1, dove la grandezza delle avversità è presentata come “certissimum divinae praesentiae argumentum”.

[22] Sal 72, 28.

[23] Sal 90, 15.

[24] Pr 8, 31.

[25] Lc 1, 28.

[26] Ts 4, 17 (Vulgata ed. A. GRAMMATICA, 1959).

[27] Sal 72, 25.

[28] Sir 27, 6.

[29] Dn 3, 92.

[30] Rm 8, 31.

[31] Is 30, 26.

[32] Cfr. Is 38, 20.

[33] Cfr. Ef 5, 27 e nota 12 al sermone XVI.

[34] Ap 21, 23.

[35] Cfr. Introduzione, pp. LXX-LXXI.

[36] Sal 84, 8.

[37] Gv 17, 3.

 

 

FINE DELL'OPERA

 

 

 

 

 

 

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